L’emergenza nata a causa della pandemia da Covid 19 non accenna a diminuire, anche se fortunatamente si vede la fine dell’incubo per l’arrivo dei vaccini. In questi dieci mesi la scuola è diventata un argomento mediatico di notevole impatto, mostrando la debolezza di un grande paese come l’Italia che ha difficoltà a supportare questo fondamentale ganglio della vita sociale. I servizi di supporto alla scuola e necessari alla sua vita stanno mostrando molte ed evidenti crepe, dentro richieste di certezze che fino a dieci mesi fa non erano necessarie. Per qualche mese mi sono illuso che, davanti a questa emergenza epocale, la scuola italiana sarebbe riuscita a modificare alcuni elementi essenziali del suo sistema, certificato come carente da tutte le rilevazioni internazionali degli ultimi quindici anni. L’euforia è man mano scemata fino a diventare realismo critico nell’ultimo periodo, dove quotidianamente si sono sovrapposte soluzioni che spesso non hanno risolto nulla. L’impressione che mi sono fatto è quella contenuta in un vecchio detto cinese: noi mostriamo all’opinione pubblica la luna, ma l’opinione pubblica guarda solo il dito e su quel dito poi costruisce il suo pensiero. E’ un vero peccato perché così si rischia di non comprendere i pericoli e di non affrontare i problemi per quello che sono.
In attesa della normalità
In attesa della normalità l’opinione pubblica si è divisa e si sta dividendo tra chi vuole e spera che tutti gli studenti possano tornare quanto prima tutti in presenza anche in piena emergenza e chi invece teme che questo avvenga. Chi fa il mio mestiere sa che si viene quotidianamente pressati da genitori che vogliono il ritorno di tutti contemporaneamente a scuola e genitori che manifestano paure e perplessità per un rientro contemporaneo di tutti. Anche nell’opinione pubblica ci son i fautori del rallentamento delle misure anti pandemia e i fautori di ulteriori inasprimenti finché il vaccino non abbia fatto il suo corso, qualunque siano questi tempi. Tutto questo tocca argomenti importanti, come i trasporti, gli assembramenti davanti alle scuole, la didattica digitale integrata, le mense, i tamponi, le quarantene, i distanziamenti e tutto quello che abbiamo dovuto imparare a conoscere in questi dieci mesi. Purtroppo con tutto questo rimaniamo ad osservare il dito.
Speravo che, invece, il dibattito si sarebbe spostato su che cosa si può e si deve fare a scuola per apprendere anche in condizioni così gravi e difficili, sia nell’ambito della didattica digitale integrata, sia nell’ambito delle azioni in presenza distanziati, con le mascherine, con pause frequenti, con possibili quarantene. Invece mi pare si supponga che, una volta entrati dentro le scuole, tutto possa, per magia, ritornare come prima. Un sistema variegato e complesso viene descritto come unitario e semplice. E questo ingenera l’idea, errata e pericolosa, che le condizioni possano tornare facilmente ad essere normali e tocchi solo agli studenti e alle studentesse fare il “loro dovere”. Abbiamo modificato tutte le condizioni della vita scolastica e quindi dobbiamo fare molta attenzione a non fingere che queste modifiche non abbiano inciso nel recente passato e non incidano nel lungo futuro. C’erano alcune evidenze da affrontare: personalizzazione di tutti i percorsi degli studenti colpiti in modo diverso dalle misure per il contenimento della pandemia, modifica dell’organizzazione del lavoro dei docenti e del personale ausiliario, diversa strutturazione delle attività laboratoriali, completa ridefinizione del sistema di valutazione degli apprendimenti, analisi dei punti di crisi ed attivazione di interventi strutturali. Invece l’unica ingegneria che si è messa in atto è quella che contabilizza le possibilità, le potenzialità, le opportunità e gli obblighi del rientro. Precisa e puntuale nella discussione su come rientrare tutti a scuola, l’opinione pubblica pare molto poco interessata a come si debba fare scuola nelle condizioni che la pandemia ci impone. Credo che inseguendo il passato stiamo perdendo grandi possibilità per il futuro e che nel tentare di “far finta di essere sani” (come cantava Giorgio Gaber) non ci attrezziamo per comprendere dove e come abbiamo potrebbe crearsi un buco formativo nelle generazioni future.
In attesa del futuro
Il futuro delle scuole passerà anche da uno strumento molto nominato, ma poco analizzato come il “Next Generation Eu” meglio noto come Recovery Fund. Questa, che a me sembra una logica osservazione nei confronti di un piano che prevede 90 miliardi per la riqualificazione ambientale dell’Italia, cade nell’indifferenza generale perché non pare interessare qualcosa di specifico e vicino. E così si continua ad andare avanti come se nulla fosse accaduto. Una parte delle scuole italiane presto saranno interessate dai naturali lavori di ristrutturazione per la messa a norma in base a progetti redatti e finanziati prima dell’emergenza. Così accadrà che le scuole “nuove” saranno identiche a quelle “vecchie”. E questo le condizionerà nei prossimi 50 anni, facendole perdere tutte le possibilità del “Next Generation Eu”. E’ logico tutto questo? A me pare di no e lo sto dicendo da molto, con poca o nessuna attenzione. Mettere mano oggi alle scuole così come sono significa non comprendere il futuro e le necessità che l’apprendimento nella società della conoscenza richiede. Bisogna farlo dentro un processo di rifacimento completo e non solo di adeguamento.
Da poco più di un anno è nata una Rete nazionale che si chiama “Rete di scuole Green”, che ha tre scuola romane come capofila e che unisce circa 800 scuole italiane. Qualche giorno fa la rete ha inviato ai componenti del Governo e del Parlamento la seguente missiva: “la Rete di scuole Green è un organismo nazionale nato il 5 dicembre 2019 e presentato ufficialmente a MIUR il 12 dicembre 2019. Raccoglie Istituzioni circa 800 Istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado di tutte le Regioni italiane e di 70 Province. Lo scopo della Rete di scuole Green è quello di sensibilizzare, informare, coordinare, progettare azioni di tipo ambientale, di risparmio energetico, di transizione al verde, di ecosostenibilità nelle scuole italiane, partendo dall’educazione degli studenti fino alla trasformazione degli edifici. Le scuole italiane devono essere tutte riconvertite dal punto di vista ambientale e necessitano di investimenti massicci che coniughino la sostenibilità ambientale con la sicurezza. Per questo la Rete di scuole Green si rende disponibile a collaborare con il Governo e il Ministero dell’Istruzione e le sue varie diramazioni organizzative nella progettazione del Next Generation Eu riferito al sistema scolastico nazionale. Noi riteniamo che sia necessario il protagonismo delle scuole nella progettazione di un futuro veramente ecosostenibile, affinché non si sacrifichino le motivazioni della didattica a un concetto di ecosostenibilità che miri a progettare edifici belli, ecologicamente perfetti, ma privi di ciò che necessita per la scuola del futuro. Pertanto riteniamo che tutta la progettazione del Next Generation Eu, che ha come oggetto la scuola, debba confrontarsi con chi la scuola la vive quotidianamente, per raggiungere un grande risultato che cambi insieme al Paese anche la sua scuola. La ramificazione della Rete di scuole Green, il raccordo stretto della Rete con l’ASVIS e con tutti i territori italiani permettono di raggiungere anche la più sperduta scuola dentro un progetto che sia al tempo stesso avveniristico, anche didatticamente oltre che dal punto di vista ambientale, e al servizio del Paese. Siamo dunque a vostra disposizione e speriamo che questa disponibilità venga raccolta.” La Ministra Lucia Azzolina ha subito risposto all’appello manifestando interesse per la proposta.
Credo che serva in questo senso uno sforzo molto locale per comprendere l’importanza del momento e guardare la luna e non il dito. Non si possono ristrutturare le scuole nella loro attuale inadeguatezza, con aule piccole e corridoi grandi, laboratori da rivedere e risparmio energetico da progettare seriamente; bisogna avere coraggio di inserire le scuole del territorio dentro un reale progetto di riqualificazione ambientale, che comprenda anche gli ambienti di apprendimenti, che stanno dentro gli edifici scolastici e che attualmente sono obsoleti. Su questo argomento mi sto spendendo da molto tempo, ma a livello locale non ricevo neanche una telefonata. Speriamo che attraverso la Rete di scuole Green si riesca a sensibilizzare un’opinione pubblica distratta su un problema essenziale.
Innovazione o conservazione?
L’ultimo punto che intendo qui affrontare è il rapporto tra innovazione e conservazione. Anche in questo caso chi fa vedere la luna deve poi difendersi dalle osservazioni sul dito. Ci sono delle grosse novità per la scuola che vanno adeguatamente presidiate e messe in atto: si va dalla valutazione della scuola primaria alle nuove possibilità digitali dei Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento (ex Alternanza scuola lavoro), dall’introduzione dell’Educazione civica come materia trasversale all’integrazione tra didattica ordinaria e didattica digitale, dalla nuova forma degli esami di stato conclusivi alla richiesta di potenziare la trasversalità degli apprendimenti. Tutto questo, però, viene compresso dal dibattito sugli orari degli autobus, sulla turnazione degli studenti, sugli ovvi problemi di igienizzazione e contagi, sull’uso dei device di proprietà degli studenti sperando che siano utilizzati in modo corretto, sulla richiesta di interventi minimi e particolari difficili da attivare in regime pandemico.
Un altro elemento di grande innovazione riguarda la comunicazione. Le scuole sono diventate soggetti comunicatori e il rapporto diretto con i propri studenti, i genitori, la comunità educante e la comunità sociale è diventata una necessità ineludibile. Proprio per questo non è così semplice il silenzio, rotto solo da comunicazioni ufficiali. Le fonti di emanazione dei provvedimenti sono diverse, ognuna con un suo governo e ognuna con un suo obiettivo. Per questo è impossibile estraniarsi da un mondo della comunicazione che riceve messaggi anche dai silenzi. Per farlo bisogna sapere innovare le proprie modalità comunicative e saper utilizzare tutti i canali possibili. Qualche volte questa necessità è vista come protagonismo, ma in realtà è la fondamentale mediazione nei confronti di tutti quelli che hanno bisogno di spiegazioni e di motivazioni oltre che di semplici informazioni.
Credo sarebbe necessario mettersi un po’ d’accordo su come ragionare attorno alla scuola, perché la cosa peggiore da fare in questo momento è non rendersi conto che la scuola ha subito due riforme di fatto in dieci mesi e che questo periodo non è solo una lunga attesa al ritorno della normalità. E’ questo il momento di scegliere cosa innovare e cosa conservare. Così come per gli edifici non bisogna cercare di ristrutturare quello che è obsoleto, ma bisogna saper innovare quello che non funziona più, così anche per la didattica è necessario capire cosa mantenere e cosa modificare. Quando si parla di sistema scolastico nazionale non si deve pensare a qualcosa di lontano e irraggiungibile. Ma alla propria scuola, quella che sta vicino a casa.