Il voto è morto, viva il voto?

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di Simonetta Fasoli 

Non mi piace, di solito, iscrivermi al club dei disfattisti, tra i fautori del “benaltrismo”: il “ben altro”, per definizione, è inesauribile…
Detto questo, non mi sento neanche di entrare a far parte del coro di coloro che stanno prodigandosi in commenti a tutto tondo positivi verso le disposizioni ministeriali che regolamentano la fase attuativa del superamento della valutazione decimale nella Scuola primaria.
Leggendo l’O.M. 172 del 4/12/2020 con le allegate Linee guida che ne fanno parte integrante, parecchi sono i dubbi che mi sorgono.
Non voglio affliggere chi mi legge con una troppo lunga disamina (inadatta, a parer mio, al mezzo…). Mi limiterò a poche, sintetiche osservazioni, rinviando ad altra sede e occasione una più articolata riflessione.


L’impressione complessiva è che il ricorso a indicatori per livelli precostituiti comporti un ragionevole rischio di reintrodurre un criterio surrettiziamente quantitativo e faciliti, nelle pratiche adottate nelle scuole, la traduzione meccanica del voto in livello. Non dimentichiamo che la valutazione discorsiva in sede intermedia e finale adottata a suo tempo (L. 517/77) si è presto trasformata in giudizi alfabetici (livelli), per più versi anticipatori del ritorno al voto.
I livelli, descritti con formule che meriterebbero un’attenta analisi, comportano in ogni caso una concezione di classificazione per scala, presupponendo tra un grado e l’altro della scala medesima intervalli regolari. Ma non è questo il principio di misurazione sotteso al voto decimale?
Mi sfugge, poi, come questo strumento possa comportare, per sé preso, il vantaggio di una vera “valutazione formativa” che i testi ministeriali evocano ripetutamente, facendo eco agli entusiasti sostenitori dell’abolizione del voto. “Valutazione formativa” significa essenzialmente dar conto del processo e non sancire il prodotto (mi scuso di usare, per brevità, parole-slogan…): è questo che consentono i livelli? Mi permetto di dubitarne.
E di prefigurare, a fronte di questa vistosa lacuna, pratiche di valutazione tristemente ricorrenti.
Spero, infatti (e temo fortemente) che non si dica: “ma se diamo ‘livello avanzato’ a Tizio, dobbiamo darlo anche a Caio”…E spero altrettanto che chi è “in via di acquisizione” non resti su quella via…perché la sanzione dell’esito esime fin troppo facilmente dall’intervenire didatticamente sulle condizioni e sul processo che lo determinano.
Insomma, speriamo che morta una scala non ne nasca un’altra.
Non serve cambiare il termometro per curare la febbre.
Un capitolo a parte meriterebbe la scelta di adottare una valutazione (“formativa”, mi raccomando…) applicata alle singole discipline. Questa mi sembra una spia altrettanto significativa delle contraddizioni interne in cui si dibatte la nuova normativa. Va detto che la stessa discutibile impostazione si ritrova, esplicitamente, nelle Indicazioni nazionali 2012, come ho più volte fatto osservare nelle occasioni di formazione e riflessione sull’impianto della Scuola primaria. Una opzione appena temperata dalla motivazione addotta nello stesso documento: lasciare alle istituzioni scolastiche il compito di effettuare le opportune aggregazioni disciplinari.
Resta il fatto che le disposizioni sulla valutazione finiscono per confermare la frammentazione disciplinare, che è estranea alla natura profonda del percorso primario di educazione e istruzione. Una deriva “disciplinarista” che, ancora una volta, fa a pugni con il “valore formativo” delle discipline, evocato dai documenti istituzionali prodotti nel tempo.
Mi fermo qui. Le scuole si stanno mobilitando per rispondere alle nuove (ma quanto davvero “nuove”?) disposizioni. È congruente con il loro compito istituzionale, e certamente a certe condizioni può innescare processi virtuosi. Ma a patto che sia valorizzata la componente professionale dell’operazione, e che una responsabile e condivisa interpretazione prevalga sulla funzione “adattiva”, per non dire sulla tentazione di mera “esecuzione”.
Sarebbe davvero imperdonabile non far diventare vera occasione di cambiamento quello che, per ora, mi sembra un tentativo, significativo certo per la sua matrice istituzionale, ma proprio per questo non privo di insidie. Come ho cercato di sottolineare.