Didattica digitale integrata: visione cercasi disperatamente
Parto dal Decreto sulla Didattica Digitale Integrata (DDI) del 26 giugno scorso (in GU dal 20.8), per cercare di capire qualcosa in più sullo stato dell’arte della nostra scuola a tre mesi dall’inizio dell’anno scolastico: con l’Infanzia, la Primaria e le prime classi della secondaria di I grado aperte da settembre, ma con alterna fortuna e non ovunque (dal 30 novembre, anche le seconde e le terze di quest’ultima); e le ‘Superiori’ che continuano con la Didattica da remoto, con le varianti previste dal Decreto.
Decreto la cui ’sostanza’, come è noto ai più, può essere così sintetizzata:
l’obiettivo: fornire indicazioni (Linee Guida) sulla DDI – intesa come metodologia innovativa di insegnamento-apprendimento” (?!) –;
il compito: “integrare la didattica in presenza” (con attività laboratoriali e interventi sugli studenti con BES, ove possibile, entro però spazi orari delimitati), garantendo comunque un “bilanciamento tra attività sincrone e asincrone”;
i destinatari: “tutti gli studenti della scuola secondaria di II grado, nelle situazioni in cui c’è Didattica a Distanza” (DaD).
La DDI – si stabilisce – può però essere estesa anche agli altri ordini e gradi scuola, ma solo in caso di un nuovo lockdown generalizzato.
Questo, in buona approssimazione, il quadro generale delle disposizioni entro cui la nuova metodologia della DDI dovrebbe poter esprimere la sua carica innovativa. Se, ovviamente cercandola, la si trovi.
Il passaggio principe previsto, perché l’operazione si concretizzi: “Elaborare un Piano Scolastico di Didattica Digitale Integrata”. Di questo in effetti, in tanti tra ds e docenti, avvertivano acuta mancanza.
Il quale Piano però, per essere elaborato come si deve, deve qualificarsi con ‘ingredienti’ di peso puntualmente indicati nel Decreto. Tra questi, si segnalano, a ben leggere, soprattutto i seguenti tra i fondamentali:
– “integrare il Regolamento d’Istituto con specifiche disposizioni in merito alle norme di comportamento da tenere durante i collegamenti ….” (guai – si sottintende – a evitare questo imperdibile passaggio);
– “disciplinare le modalità di svolgimento dei colloqui con i genitori, degli Organi Collegiali … e di ogni altra ulteriore riunione” (la cui urgenza e significatività, chi la può negare?);
– “Individuare gli strumenti per la verifica degli apprendimenti inerenti alle metodologie utilizzate” – e qui siamo nell’ordinario – e specificare (è la nota qualificante) che “… qualsiasi modalità di verifica di una attività svolta in DDI non [può] portare alla produzione di materiali cartacei …” (non sia mai …)
Una perla a sé è la seguente:
– preoccuparsi (soggetto, gli insegnanti) “di salvare gli elaborati (sic!) degli alunni medesimi e di avviarli alla conservazione (sic! Sic!) all’interno degli strumenti di repository a ciò dedicati” (No comment)
C’è da chiedersi, anche solo con questi richiami, e senza voler tirare in ballo l’autonomia e altro: ma, un Ministro come fa a pensarle così e tutte insieme o a consentirle? Ce ne vuole!
Se oggi siamo messi così. I terreni scoperti
Ironia a parte, quello che si intende qui mettere in evidenza è che alla base del disorientamento e delle difficoltà che si percepisce tra docenti, dirigenti e personale scolastico in generale, c’è certamente la confusione sull’apertura delle scuole a livello nazionale, ma ha il suo peso anche la poca chiarezza di idee chiare sulla Didattica digitale – a cui tra l’altro il Decreto di agosto è intestato – e la sua collocazione in un discorso di prospettiva. Per tacere d’altro.
Si sconta evidentemente su tali questioni non solo la sottovalutazione di una riflessione, condivisa tra i vari livelli istituzionali, sui mesi della prima ondata della pandemia, ma anche la disattenzione – chiamiamola così – alle condizioni primarie per la ripartenza di settembre. Quando le cose sono andate come sono andate, e in parte continuano ad andare, proprio perchè a tali condizioni non si è lavorato con la necessaria determinazione e chiarezza di prospettiva.
Il riferimento è soprattutto alle tre questioni su cui ancora oggi la partita non appare conclusa[1]:
quella degli organici, a partire dall’organico di scuola, ancora oggi, in alcune realtà ancora ballerino, e dalla previsione e garanzia di un organico aggiuntivo di supplenti, per fronteggiare le prevedibili assenze dei docenti delle scuole perchè contagiati o in quarantena per l’emergenza: senza queste disponibilità è chiaro che è difficoltosa anche la gestione delle scuole ‘aperte’ e la previsione/garanzia di un orario scolastico ridotto il meno possibile.
Ma anche la questione dei trasporti per i ragazzi delle scuole superiori; terreno sul quale andavano studiate per tempo e rese effettive le intese con le amministrazioni territoriali, ma che ancora adesso appare confuso e diversificato; e quella dei tracciamenti del contagio, per fronteggiare al meglio il prevedibile lento sfaldamento delle classi e il silenzioso processo di abbandono da parte degli studenti più ‘deboli’, di cui scrivono un po’ tutti i giornali.
Appiattire invece, come di fatto fa il Decreto, la D.D. sulla DaD (questa sì, misura emergenziale), non fa cogliere le direzioni di marcia da individuare in questo momento.
Prima fra tutte, quella che si pone come traguardo: far crescere in modo diffuso, contestualmente alle necessarie competenze, una cultura digitale capace di andare oltre la pur fondamentale padronanza delle tecnologie informatiche, per farla diventare soprattutto motore di integrazioni metodologiche e tecnologiche delle attività di insegnamento[2].
Occorre però, per questa problematica, essere consapevoli che in buona parte del personale della scuola c’è ancora la convinzione diffusa che le trasformazioni indotte dalla rivoluzione digitale interessino solo marginalmente il sistema di istruzione. E che pertanto la D.D. va trattata essenzialmente come un optional, se non proprio come il dono dei Danai ai Troiani del quale temere (il famoso ‘cavallo di Troia’ dell’epopea omerica, ripresa da Virgilio). Convinzione ancora maggioritaria, anche se sappiamo essere, per fortuna, in decrescita, come si dice adesso.
Se è cosi, allora, il progetto sulla cui base costruire il Piano per la D.D. di cui parla il Decreto andrebbe sostanzialmente riscritto con attenzioni e finalità più chiare e congruenti; puntando in primo luogo a sviluppare preliminare consapevolezza
- che la rivoluzione digitale (rete, internet, connessioni) si sta dimostrando sempre di più come una grande risorsa anche sui terreni dell’istruzione, della formazione e della comunicazione;
- che con essa ci tocca comunque fare i conti; ma anche
- che le tecnologie informatiche, come tutte le tecnologie, hanno sempre e comunque una natura strumentale; che, se si perde, fino a diventare causa e fine a se stante, fa correre il rischio, molto prevedibilmente sul fronte scuola, di oscurare il patrimonio di ricerche, esperienze, acquisizioni che in non pochissime nostre scuole continuano a dimostrare senso e vitalità.
E sempre a proposito di consapevolezze da promuovere, andrebbe anche richiamato
– che comunque la D.D., perchè abbia valore nella scuola, o è integrata – e quindi si collega e coniuga con le esperienze e le acquisizioni più significative, innovative e qualificanti a cui si faceva sopra riferimento – o non è. E lo è, non nel senso che integra la didattica da remoto con attività in presenza – come fa il Decreto che qui si considera – ma nel senso che si integra con le funzioni e le pratiche più innovative della nostra cultura scolastica[3];
– che, pertanto, la formazione digitale per il mondo della scuola, se non sa alimentarsi di una cultura pedagogica dei processi di istruzione ed educazione, corre il rischio di non essere alleata preziosa dell’auspicabile rinnovamento, ma piuttosto fattore di snaturamento dei suoi aspetti identitari più preziosi.
Cultura pedagogica, va sottolineato, che sia in grado di riportare in primo piano la dimensione educativa del fare scuola – assieme alla centralità del soggetto che apprende nella sua interezza – e la curvatura dell’insegnamento sulla linea dell’apprendimento (per sviluppare potenzialità e competenze inespresse).
Un’ultima non secondaria consapevolezza da promuovere: che i miglioramenti più significativi dei processi cognitivi e del funzionamento della mente si verificano – come chiariscono studi e ricerche [4] – quasi esclusivamente se – tra allievi e tecnologie e reti – c’è intermediazione da parte del docente. E questo è un punto che va enfatizzato. Anche perché dovrebbe essere motivo di riflessione, ma anche di orgoglio per una categoria che, per le più diverse ragioni, sembra averlo perso.
La D.D. nel piano formativo di istituto. Le offerte sul web, numerose e di qualità, una miniera preziosa per le scuole.
Una considerazione finale a proposito del Piano formativo di Istituto (PFI) rilanciato dal Decreto.
Si moltiplicano, in queste settimane, iniziative di formazione e approfondimento da più parti sulle tematiche del digitale, con l’intento di fornire strumenti da utilizzare in aula per una didattica ibrida e funzionale. A leggere i titoli di iniziative e pubblicazioni si coglie l’intento di assumere le tecnologie informatiche come possibili e importanti alleate per un fare scuola in modo più vario e accattivante; senza comunque nessuna sottovalutazione dei rischi di cui si è prima detto.
Perché queste iniziative non si disperdano in rivoli poco efficaci, sarebbe importante che i PFI in questa fase nascessero – è la proposta sensata di una dirigente dell’area milanese – dalla selezione mirata (e contenuta) tra le diverse iniziative – e ovviamente tra le altre di Istituti come l’INVALSI e l’INDIRE – senza pesare sul budget delle scuole e senza appesantimenti particolari, per le stesse, sul piano organizzativo (dove l’impegno sarebbe riservato soprattutto alla ricerca di webinar e piattaforme più in uso da parte delle scuole e alla messa a punto del loro utilizzo).
Scontato criterio base per la ricerca: cogliere le rispondenze migliori ai diversi bisogni formativi del personale della scuola in generale e degli insegnanti in particolare. Per meglio interpretare le esigenze dei propri studenti e assicurare loro le risposte più promettenti. Così ci mettiamo in regola anche con …. una Linea Guida indicata dal Decreto.
[1] Anche se adesso c’è qualche elemento positivo in più: la Nota ministeriale del 9 novembre in cui si raccolgono le proposte sindacali di maggiore attenzione alle condizioni del lavoro docente in questa fase; ma anche una maggiore concretezza per le previsioni di apertura anche delle scuole superiori dopo le festività natalizie. Ma comunque, la sensazione di disagio e anche di confusione per molti versi permane.
[2] Interessanti le annotazioni sul punto di Cesare Rivoltella, Superare facili contrapposizioni. In presenza o a distanza la didattica merita di più, in Avvenire.it (27 novembre 2020). “La scuola ha sicuramente bisogno di formazione e sviluppo professionale in tema di innovazione. Che non vuol dire, però, training all’uso dello strumento. Occorre non confondere le competenze informatiche di base con l’expertise nelle tecnologie educative: è un problema di pedagogie e di didattiche, non di icone da cliccare”. In questo stesso articolo, l’Autore, a proposito del valore dello ‘sguardo pedagogico’, dopo aver richiamato l’importanza della relazione e il suo stretto rapporto con l’intenzionalità educativa , annota opportunamente che “Posso essere in aula e totalmente non relazionale. Posso lavorare in rete ed essere vicinissimo ai miei studenti.”
[3] Da ciò la percezione che le Linee Guida per la DDI si collochino al di sotto della prospettiva attesa; percezione avvalorata già dal senso attribuito al termine integrata che nel decreto appare riferito alle attività che le scuole possono organizzare in presenza (attività di laboratorio, interventi per BES …) nei periodi di sospensione delle lezioni e non invece alla integrazione tra la DD e Didattica agita da molte nostre scuole che fanno bene il loro mestiere.
[4] R. Baldascino, Google, in “Voci della scuola”, Tecnodid X- 2011, p. 284 riporta studi e ricerche al riguardo.