Rilanciare l’autonomia scolastica per combattere la dispersione
Mario Maviglia, in un articolo sul sito “Nuovo PavoneRisorse”, ci ricorda che la “ scuola” la fanno gli studenti e i docenti. Le altre figure, dal Ministro al Dirigente scolastico, sono secondarie, o meglio, sono importanti, ma esistono in funzione dei due protagonisti principali con il compito di supportarli e di facilitare la loro interazione. Basta un docente e un discente per fare “scuola” come provocatoriamente ci suggerisce giocando a “scegliere/salvare due-tre oggetti” da portare in un’isola deserta.
Guardando da vicino soltanto questo studente e questo docente l’uno di fronte all’altro possiamo renderci conto che la “scuola” si realizza certamente in qualsiasi luogo, non solo e non tanto se c’è la presenza fisica, ma se c’è un’interazione comunicativa che riesce a trasformarsi in relazione educativa che poi è il vero interruttore che dà avvio al processo di apprendimento.
Un processo laborioso e complesso alimentato dalla comunicazione tra i due protagonisti, dalla cui efficacia dipende l’esito di questa straordinaria magia che è l’apprendimento che permette alle persone di poter utilizzare appieno le potenzialità del proprio pensiero e di diventare risorse per la comunità in cui vivono.
A volte sfrondare la complessità ci permette di andare direttamente al nocciolo delle questioni.
Non è dunque indifferente per la qualità dell’apprendimento la condizione con cui avviene l’interazione perché ne determina la qualità: il rapporto numerico tra docenti e studenti in una classe, il numero degli studenti e delle classi che deve seguire un docente, il tempo a disposizione in aula per una comunicazione simmetrica, la possibilità di ascoltare le domande degli studenti durante la lezione, la possibilità di lavorare con lo studente ad un compito di realtà, fare la lezione frontale o lavorare in piccolo gruppo in laboratorio ecc. In altre parole l’assetto didattico-strutturale del “fare scuola”.
A fronte della situazione di sofferenza in cui versa la scuola oggi è giusto domandarsi in che condizioni avviene l’interazione nelle nostre classi e quale sarebbe dovuto essere il ruolo dell’autonomia scolastica nel migliorarne l’efficacia.
L’autonomia scolastica nasce per capovolgere la modalità tradizionale del fare scuola e di sviluppare i curricoli disciplinari. Non più un impianto didattico- strutturale con condizioni di interazione uguale per tutti con un organico solo in proporzione delle classi, ma tante strutture in base alle esigenze del contesto con tanti organici diversi.
L’autonomia va oltre la libertà di insegnamento del singolo docente perché dà alla comunità scolastica la libertà di trovare un assetto strutturale proprio e originale dove la libertà di insegnamento possa dispiegarsi in modo più efficiente ed efficace grazie alla ricerca di modalità innovative di interazione.
L’autonomia quindi è sì didattica, ma anche organizzativa e non solo, è altresì “autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo” perché senza un progetto e un’ipotesi da cui partire l’organizzazione diventa fine a se stessa.
Le tre autonomie non sono opzioni, possibilità tra cui scegliere, ma fanno parte di un unico combinato. Il “core” dell’autonomia scolastica sta nella sinergia tra questi tre piani.
Struttura e organico dei docenti sono però due elementi interconnessi nella progettazione scolastica.
Se blocchi l’organico, blocchi l’autonomia progettuale, o meglio la limiti entro un preciso recinto standard uguale per tutti. Una contraddizione rispetto alle finalità dell’autonomia. Fai parti uguali per diseguali. Questo è ciò che è accaduto all’autonomia e alla scuola italiana.
Sul piano operativo la condizione fondamentale per poter concretamente far interagire le tre autonomie è quindi di poter disporre di un organico adeguato al progetto didattico- strutturale che si deve mettere in atto.
Non un organico uguale per tutti, ma un organico su misura per tutti.
Proprio per questo motivo era stato prevista a ragion veduta dalla stessa normativa dell’autonomia la possibilità di assegnare alle scuole un “organico funzionale” .
Come è andata? Dopo i primi due anni di sperimentazione non se n’è più parlato. E’ così che nell’indifferenza di molti è avvenuto un depotenziamento tombale dell’autonomia!
La scuola autonoma che oggi vediamo non è la scuola autonoma che avrebbe dovuto essere.
E’ per questo motivo, a mio avviso, che le condizioni in cui si verifica oggi l’interazione docente-studente nello sviluppo dei curricoli disciplinari non aiuta i processi di apprendimento soprattutto nelle fasce deboli di studenti ed è una delle cause della dispersione.
Di questo scrivo ampiamente in un contributo dal titolo “Autonomia scolastica e organico funzionale. Un matrimonio che s’ha da fare!” pubblicato sulla “RIVISTA DELL’ISTRUZIONE” diretta da Giancarlo Cerini che nel numero 4/2020 affronta i temi dell’autonomia e dell’organizzazione. https://www.periodicimaggioli.it/…/rivista-dellistruzione/
Io credo che sull’innovazione didattica molto si è fatto in questi anni e lo dimostra ampiamente il “miracolo” di una DaD organizzata dal nulla grazie alle competenze di molte avanguardie presenti nelle scuole nonostante tutti i suoi limiti e lacune.
Puntare sul reclutamento degli insegnanti, sulla formazione e sulla manutenzione in itinere della competenza è una delle cose importanti da fare per sostenere la professionalità docente nella relazione, ma non è stato sufficiente e non lo potrà essere in futuro perché qui siamo ancora nel territorio della libertà di insegnamento.
Ciò che manca è l’avvio di una innovazione organizzativa e strutturale e di una semplificazione burocratica. Proprio quello che l’autonomia aveva promesso per uscire dalla sacca su cui si arena quotidianamente la didattica nonostante la bravura di molti docenti.
Perché riaprire il discorso sull’organico funzionale proprio ora ?
Mi sembra importante proprio in questa fase in cui si cerca di capire in che modo far ripartire la scuola e soprattutto in che modo investire gli eventuali fondi europei, ricordare che esiste un modo diverso di assegnare gli organici e quindi utilizzare le risorse da quello fin qui utilizzato e che si vorrebbe continuare ad utilizzare. Una modalità coerente con le finalità originarie dell’autonomia scolastica.
La scuola non ha bisogno di qualche docente in più i per fare qualche bel progetto in più. Il termine “potenziare” è fuorviante. Qui non si tratta di potenziare quello che si fa, ma di ristrutturare le modalità con cui si sviluppa la didattica curricolare in modo da poter realizzare realmente quanto suggeriscono le varie Indicazioni nazionali . Anche la didattica per competenze stenta a decollare perché non riesce a stare dentro una struttura rigida e unica per tutti! Non si può fare didattica per competenze se la lezione frontale è l’unico modo di fare lezione!
Noi non ci siamo accorti che si sono formate di fatto due scuole . Da una parte la scuola ordinaria, quella del curricolo, che va avanti imperterrita e che non guarda alle “caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti” perché non può adattare la propria struttura ai bisogni di tutti, come avrebbe permesso l’autonomia, e che di fatto marginalizza i ragazzi in difficoltà come dimostrano le statistiche della dispersione scolastica e degli abbandoni soprattutto nel biennio della secondaria, come si continua a ripetere nei convegni, negli appelli, nei webinar.
Dall’altra abbiamo una scuola parallela in continua espansione, quella dei progetti di recupero, dei corsi mordi e fuggi alla fine dell’anno per sanare le insufficienze, delle iniziative per contrastare la povertà educativa, delle partnership con il terzo settore chiamato a supplire ciò che la scuola non riesce a fare, delle lezioni private per chi ha i soldi , dei compiti a casa per chi ha la fortuna di avere genitori competenti e collaborativi. Per carità, tutte buone azioni, ma che hanno un sapore paternalistico che coprono i limiti della scuola ordinaria.
Questa scuola parallela si dedica alla “riparazione” di ciò che la scuola ordinaria della filiera curricolare non riesce a fare nonostante gli investimenti sulla formazione, sull’innovazione didattica, le classi capovolte, la tecnologia , l’abnegazione di tanti docenti e chi più ne ha più ne metta.
Per chi non se ne fosse accorto, il sistema scolastico crea oggi due categorie di studenti: i regolari e gli assistiti ; questo assorbe poi risorse finanziarie con risultati discutibili che potrebbero benissimo essere utilizzate per introdurre un organico funzionale ad una didattica inclusiva per tutti.
Dedichiamo le risorse del welfare alle famiglie affinché possano offrire ai propri figli un ambiente più sereno e adeguato alla loro crescita e allo studio, ma non facciamo del welfare una metodologia didattica!
Un sistema scolastico che produce dispersione non è efficiente né efficace e aggiungo né democratico.
Una scuola credibile è una scuola in grado di garantire il successo formativo per tutti nel percorso ordinario, non una scuola che lascia la responsabilità del successo formativo ai corsi di recupero spesso esternalizzati..
Non vanno “riparati” gli studenti, va riparato il sistema!
Non è questa forse una vera questione di politica scolastica? Di qualità dell’istruzione?
Non è un modo di dare #dignitàallascuola oltre che #prioritàallascuola ?
Diamo allora alle scuole dopo 20 anni finalmente il poter esercitare pienamente l’autonomia dando la possibilità di chiedere le risorse (docenti, assistenti tecnici, collaboratori scolastici e ovviamente anche i materiali) necessarie per attuare i loro progetti didattico-strutturali in accordo anche con i propri territori di cui sono espressione nella logica dell’autonomia, avendo fiducia nella creatività e nella professionalità degli insegnanti, liberando finalmente l’empowerment dell’autonomia scolastica che tanto spaventa chi ama il centralismo.
Dando la responsabilità alle scuole, anche il Bilancio sociale può avere quel significato e quel valore per la comunità del territorio che avrebbe dovuto avere e che oggi non ha .