Per una politica scolastica “banale”

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di Mario Maviglia

Avete presente quel gioco in cui vi si chiede di scegliere/salvare due-tre oggetti da portare con voi in un’isola deserta? Se dovessimo applicare questo gioco al nostro sistema scolastico la risposta è fin troppo semplice e scontata: le “cose” da salvare sono i docenti e gli studenti.
In fondo, a pensarci bene, se non ci sono gli alunni le scuole non possono esistere (e infatti chiudono, letteralmente, con il calo demografico), e gli alunni hanno bisogno di docenti che li seguano nel loro percorso di apprendimento.
Tutte le altre figure (dirigenti, provveditori, direttori generali, ministri ecc.) sono (dovrebbe essere) a supporto di questa primigenia relazione educativa, ma se non sono presenti nella nostra ludica isola, la scuola può funzionare lo stesso.
Quanto stiamo dicendo rasenta l’ovvietà, se non addirittura la banalità. Eppure è incredibile come nel nostro sistema scolastico questa asserzione così pleonastica, lapalissiana, prevedibile, banale, appunto, venga continuamente sconfessata nei fatti.

Non ci si lasci però trarre in inganno: la nostra non è una semplice boutade, ma costituisce (dovrebbe costituire) una sorta di programma politico-istituzionale che il Paese si impegna a realizzare. Il Paese nel suo complesso, e non solo le singole forze politiche o le coalizioni.
In altre parole, il tema “scuola” dovrebbe rappresentare un motivo di forte attenzione per ogni schieramento politico, indipendentemente dal colore ideologico. Di conseguenza, tutta la filiera “produttiva” e decisionale dell’apparato amministrativo e burocratico della scuola, ad ogni livello, dovrebbe – sciententemente e coscienziosamente – essere finalizzata a far sì che quella relazione primigenia funzioni in modo ottimale e consegua gli obiettivi prefissati, primo fra tutti quello di assicurare il successo formativo ad ogni studente
. Fuori da questo orizzonte vi possono essere anche delle buone azioni, ma rischiano non solo di configurarsi come fuorvianti rispetto all’obiettivo prioritario, ma anche di trasformare il sistema scolastico in un carrozzone burocratico o tecnocratico.

Prendiamo l’esempio dell’autonomia scolastica. L’idea di fondo che dovrebbe sollecitare le scuole ad assumere un ruolo più attivo e consapevole nel processo decisionale in ordine all’ambito curricolare, organizzativo, didattico e dell’innovazione, non risponde tanto all’esigenza di essere à la page rispetto ai temi dell’innovazione, quanto di soddisfare in modo più efficace ai bisogni educativi specifici di quell’utenza, inserita in quel contesto territoriale, utilizzando al meglio le opportunità e potenzialità interne ed esterne alla scuola. L’autonomia è quindi un mezzo, una opportunità di cui la scuola può disporre per qualificare in modo più incisivo i processi di insegnamento-apprendimento.
Gli interventi che vengono apportati sul piano didattico-organizzativo o gestionale o curriculare dovrebbero dunque ispirarsi a questo principio e non a questioni di mera ingegneria organizzativa.

Se si assume per valido quanto fin qui “banalmente” esposto, ne discendono delle conseguenze facilmente immaginabili sul piano politico-istituzionale (per questo parlavamo di una sorta di programma).

  1. Una classe politica che voglia sostenere lo specifico della scuola e la peculiare relazione che rende possibile il conseguimento degli obiettivi, secondo quanto detto sopra, predisporrà delle strutture adeguate affinché ciò sia possibile e dunque fornirà degli edifici non solo sicuri sul piano delle norme, ma anche accessibili a tutti, inclusivi, funzionali ed adeguati sul piano didattico e tali da consentire vari tipi di aggregazioni (piccoli gruppi, classi, grandi gruppi) e varie e diversificate esperienze (laboratori, spazi interni ed esterni pensati ad hoc). Può darsi che non tutti gli edifici rispondano a questi standard (secondo l’Istat 2018 il 30% degli edifici scolastici presenta barriere architettoniche per i disabili, e questo a 40 anni dalle prime leggi sull’integrazione dei disabili nelle classi comuni), ma il decisore politico elaborerà un programma pluriennale, pubblico e definito, per raggiungere l’obiettivo della piena funzionalità delle strutture. In altre parole, le scuole saranno luoghi gradevoli, esteticamente piacevoli, stimolanti sul piano cognitivo e relazionale, per adulti e minori, in grado di alimentare positivamente la relazione educativa di cui sopra.
  2. Queste strutture saranno dotate di tutte le attrezzature necessarie per far sì che le scuole possano esplicare al meglio la loro offerta formativa e dunque non mancheranno infrastrutture informatiche in grado di sostenere tutto il traffico telematico in caso di ricorso alla didattica a distanza e di altre operazioni di carattere didattico e amministrativo. Va da sé che le risorse finanziarie assegnate alla scuola saranno certe ed accreditate in tempi definiti e noti.
  3. I docenti saranno professionisti competenti, in grado di gestire in maniera efficace la relazione educativa. La loro selezione avverrà in modo che accedano al ruolo persone motivate e capaci di sostenere con padronanza i processi di insegnamento-apprendimento, attente a sollecitare e sviluppare la curiosità e la passione degli studenti nei confronti della conoscenza. Che siano di ruolo o supplenti, i docenti saranno in servizio dall’inizio delle lezioni, non essendo previsti aggiornamenti o cambi di graduatorie nel corso dell’anno scolastico. Per la delicata funzione da essi svolta, a tali professionisti viene riconosciuto un trattamento economico in linea con la media dei Paesi più avanzati. Obviously, i docenti (come tutte le figure del sistema scolastico, a tutti i livelli) saranno sottoposti periodicamente a valutazione per verificare l’idoneità alla gestione della relazione educativa e ai risultati conseguiti.
    Salvo situazioni di “scarso rendimento” derivanti da negligenze del docente o da inadempienze contrattuali (passibili di licenziamento disciplinare), il sistema prevede forme di uscita assistita e morbida dal lavoro d’aula per quei docenti che non sono in grado (o non sono più in grado) di gestire in modo adeguato la relazione e dunque di garantire il conseguimento degli obiettivi istituzionali.
  4. La manutenzione della formazione avviene in forma obbligatoria, stabilizzata e ricorrente, all’interno di un quadro certo e definito di regole e in relazione alle esigenze formative espresse dai docenti stessi, oltre che in riferimento ad esigenze di carattere istituzionali legate all’incremento delle competenze degli studenti in particolari ambiti.
  5. Il sistema scolastico nel suo complesso è impegnato a valorizzare lo specifico della professionalità docente e dunque prioritariamente il lavoro d’aula. È dunque la dimensione didattica e relazionale con gli studenti che gli insegnanti devono curare con particolare attenzione perché è quella che esprime lo “statuto epistemologico” dell’essere docente. La complessità della scuola richiede che vi siano delle figure intermedie per meglio gestire l’impresa educativa in tutti i suoi vari aspetti, ma non va trascurato che queste figure sono comunque a supporto del lavoro d’aula, ossia della dimensione più genuina dell’essere docente. Sotto questo profilo il sistema dovrebbe premiare prima di tutto e innanzi tutto chi esprime una didattica incisiva, inclusiva e performante, ribaltando l’ottica attuale che tende a premiare chi si impegna fuori dall’aula.
  6. Il management scolastico, a tutti i livelli, è al servizio e a supporto dei processi di insegnamento-apprendimento. In particolare i dirigenti scolastici vengono selezionati e formati affinché siano in grado di creare le migliori condizioni all’interno del loro istituto perché la relazione educativa tra docenti e studenti sia quanto più possibile incisiva e produttiva. In questo senso, le competenze comunicative e relazionali dei dirigenti scolastici, unitamente alla conoscenza dei meccanismi attraverso cui si sviluppano i processi di apprendimento, costituiscono temi prioritari della formazione in servizio dei dirigenti. L’organizzazione scolastica nel suo complesso (dall’articolazione della settimana scolastica delle lezioni, all’allestimento degli spazi, alla scelta delle attrezzature e dei materiali didattici) è ispirata a questa esigenza.
  7. L’apparato burocratico del Ministero, in tutte le sue articolazioni, ha come obiettivo prioritario quello di definire le linee generali di esplicazioni del servizio scolastico e di fornire supporto, servizi e strumenti perché le scuole possano curare al meglio i processi di insegnamento-apprendimento. Le richieste di eventuali monitoraggi, relazioni, report e quant’altro deve perseguire questo scopo prioritario, limitando al minimo indispensabile altre richieste burocratiche che distolgono l’attenzione delle scuole dai loro obiettivi istituzionali.
  8. Il decisore politico utilizza gli esiti delle prove Invalsi, o altri risultati derivanti da indagini internazionali, per elaborare piani di miglioramento e di sviluppo, anche pluriennali, riguardo le conoscenze o competenze più compromesse a livello nazionale o a livello di singole zone del Paese. Ogni indagine nazionale o internazionale deve prevedere, già in fase di elaborazione, eventuali interventi migliorativi che possono tradursi in attività formative per incrementare le competenze dei docenti negli ambiti compromessi, o in misure perequative di tipo finanziario o strumentale.

I punti esposti sopra non esauriscono le molteplici esigenze e istanze finalizzate a riportare l’attenzione sulla natura specifica della scuola e sul core della sua funzione sociale e istituzionale, ma costituiscono già un programma di lavoro ambizioso, e forse anche in controtendenza rispetto ad un dibattito che sempre più spesso punta l’attenzione sugli aspetti collaterali e di contorno del fare scuole. Ça va sans dire, questo programma “banale” non ha alcuna possibilità di essere realizzato, perché talvolta la realizzazione di cose banali richiede non solo coraggio, ma anche un atteggiamento visionario che vada oltre il gretto orizzonte temporale del tirare a campare. “Ed elli a me: “Questo misero modo / tegnon l’anime triste di coloro / che visser sanza ‘nfamia e sanza lodo” (Inferno, Canto III).