Sopravvivere, e non solo.
I suggerimenti dubbiosi per la nostra scuola
nell’ultimo libro di Mario Maviglia
L’ultimo libro di Mario Maviglia, ‘Sopravvivere a scuola’ – Edizioni Conoscenza -, mantiene in toto quel che promette nel titolo.
Ma alla fine la percezione che ti rimane dentro è qualcosa di più profondo e importante di un semplice discorso sulla ‘sopravvivenza’ a scuola. Non ci si lasci pertanto ingannare dal titolo e neanche dal tono umoristico e ironico – e a tratti scoppiettante – che ne favorisce la lettura.
I sei quadri, di cui si compone il ‘mosaico’ raccontato, vedono come protagonisti, assieme all’Autore, le ‘figure interne’ che la scuola la fanno o che ne sono co-protagoniste: lo Studente, l’Insegnante, il Dirigente, il Personale ATA, il Genitore e la Scuola stessa.
Nel primo, quello dello Studente, come era prevedibile, prevalgono le immagini della scuola che animano l’immaginario più diffuso tra gli studenti, soprattutto della Secondaria (ma parecchio sapidi sono anche i ‘consigli per sopravvivere’ per i ragazzi della primaria). Quelle che rinviano soprattutto alla fatica di ‘carburare’ al mattino, alle difficoltà a starsene ingessati nel banco per ore o a fare a meno del telefonino, ma soprattutto alla pesantezza delle ‘ritualità’ fastidiose che ancora caratterizzano il fare scuola. Il riferimento esplicito è qui alla triade: lezione / interrogazione – prova – esercitazione / voto.
Rispetto a tali immagini, la ricerca di stratagemmi per venirne fuori con il minor danno possibile, si colora di una vèrv a tratti irresistibile.
Lo stesso meccanismo narrativo, che associa l’Autore alle figure previste dallo scenario generale, lo si ritrova a proposito dell’Insegnante.
E così anche il tono empatico e brillante che si apprezza in quasi tutto il capitolo dedicato a questa figura. Soprattutto quando parla della gestione della classe. A proposito della quale non si fa difficoltà a cambiare il punto di vista sugli studenti del capitolo precedente, qui rappresentati, tra l’ironico e l’affettuoso, come ‘massa di bipedi che – per quel che si dice – costituiscono la versione più recente dell’homo sapiens sapiens’.
L’Autore qui si rimette nei panni dell’uomo di scuola e avanza suggerimenti che sanno poco di semplice sopravvivenza e molto di suggerimenti di valenza pedagogica, pur nella loro semplicità: “Al mattino quando entri in classe, ci saranno tante cose a cui badare; ma non dovrai mai dimenticare di compire un’azione fondamentale (…). Un’azione molto semplice che non richiede un grande tirocinio …. Parliamo del sorridere ai ragazzi …. Perché è un preludio di buon lavoro (…). Ovviamente da solo il sorriso non basta, -aggiunge – ma è un buon viatico per iniziare ogni giorno l’impresa educativa”. E aggiunge: per generare interesse, mobilitazione di energie, vale di più la disponibilità a “spendersi con passione con gli studenti”. Se mancano – insiste – disponibilità e passione (che escludono comunque improvvisazione o utilizzo – nella relazione – del solo registro affettivo), “la classe diventerà per il docente una sorta di 41 bis molto sgradevole”. E non invece il luogo della relazione paziente, senza la quale – è chiaro il messaggio – ogni apprendimento farà difficoltà a svilupparsi e strutturarsi in modo efficace.
Tra i suggerimenti volti a legare lo spirito di sopravvivenza ad atteggiamenti più attivi e produttivi, quelli che l’Autore riporta qui in primo piano – ed è scelta che, chi sa di scuola, apprezza particolarmente – riguardano alcuni comportamenti professionali che tendono a vivere la relazione coi propri colleghi come una importante opportunità di crescita; non, come di frequente accade, come ‘una fastidiosa incombenza da sbrigare in modo riluttante e superficiale’. Non c’è niente di peggio nell’insegnamento a scuola – richiama – che indulgere in atteggiamenti individualistici e autoreferenziali – rispetto ai propri colleghi -.
Le conseguenze di tali comportamenti sulle classi – sottolinea – sono spesso evidenti: disorientamento e difficoltà degli studenti a sintonizzarsi su traguardi presentati dai diversi insegnanti della classe in termini, se non contrapposti, almeno fuorvianti.
E Insegnante chiama Dirigente Scolastico. Nel capitolo dedicato a questa figura vengono opportunamente tirate in ballo – e fortemente sottolineate – le responsabilità di una Amministrazione che anziché sostenerla – questa figura – nei suoi compiti istituzionali, spesso e volentieri si mette di traverso, diventando essa stessa un elemento di inciampo. E qui l’Autore, che pure è stato, fino a ieri, autorevole dirigente dell’Amministrazione scolastica, non esita a denunciarne limiti e carenze. Come non ci sono sconti anche per quei dirigenti scolastici che credendosi eredi della monarchia assoluta – e negandosi anche solo il dubbio che la scuola in fin dei conti la fanno in buona sostanza gli insegnanti – si rendono spesso impossibile, di conseguenza, la loro stessa vita professionale.
Si segnala infine per questo stesso capitolo – ‘e nella speranza che nel frattempo non si sia pensato [da parte di qualche ds] ad avviare la procedura per un suicidio assistito’, come brillantemente ironizza – una pagina intera di suggerimenti interessanti tratti dal ‘Decalogo per i nuovo dirigenti scolastici’[1], ma che possono valere per tutti.
Di non minore interesse le pagine dedicate alle ‘figure’ del Personale ATA e del Genitore
L’ultimo ‘quadro’ è un capitolo a sé stante. La figura a cui è dedicato è proprio la Scuola, come soggetto complessivo. Vi si focalizzano – in un registro comunicativo che evita i toni brillanti dei primi capitoli – i mali vecchi e meno vecchi che pesano sul suo stato di salute – e che ne danno spesso, un’immagine sconfortante e su alcuni aspetti addirittura inquietante -; ma si suggeriscono, come già si anticipava, anche alcune possibili soluzioni, rispetto alle quali rimane comunque piuttosto dubbioso. E non certo per il valore in sé delle stesse, ma perché sa che “la bontà della sua azione [sua di sé scuola] dipende da tanti altri soggetti” che ne dovrebbero garantirle “un’esistenza dignitosa, se non ottimale: politici, amministratori, dirigenti, insegnanti, personale della scuola, famiglie, studenti, comunità territoriali’. Sui quali l’Autore – e con lui chissà quanti altri – non si sente di mettere la mano sul fuoco come Gaio Muzio Scevola.
Da segnalare infine la preziosa Prefazione al libro di Dario Missaglia, Presidente Nazionale di Proteo Fare Sapere.
[1] In La vita scolastica – Web magazine – Edizione Giunti, 2019.