Sui fondi per la scuola devono pronunciarsi le scuole
E’ perfino ovvio e del tutto comprensibile che i docenti e i dirigenti scolastici, nonché le associazioni professionali che li rappresentano, siano in questo momento totalmente impegnati nella gestione di una delle fasi più delicate e complesse della storia della scuola italiana.
E’ altrettanto vero, d’altro canto, che le risorse del New Generation EU (già Recovery Fund) costituiscono un’opportunità unica e irripetibile per lo sviluppo e il rinnovamento del Paese e che istruzione e ricerca sono tra le priorità segnalate dalla Commissione europea per la sua utilizzazione.
I commentatori più autorevoli citano scuola e università come uno dei principali fattori, se non il principale, di una crescita solida e duratura.
Dopo decenni di tagli massicci e indiscriminati e di disattenzione del decisore politico, il nostro sistema formativo non si “aggiusta” con qualche intervento di ritocco, ci vogliono investimenti importanti, continuativi, programmati sulla base di un’attenta analisi delle reali esigenze.Un buon punto di partenza potrebbe essere la formazione dei docenti, iniziale e in servizio, senza la quale non c’è rinnovamento della didattica, nè contrasto alla dispersione scolastica. Formazione capillare, permanente, di qualità. Una formazione di questo tipo richiede risorse ingenti e capacità progettuale. Quando maggiore era l’attenzione verso la scuola nonché l’interesse verso la formazione e la ricerca, furono istituiti gli IRRSAE (Istituti Regionali di Ricerca, Sperimentazione e Aggiornamento Educativi) poi smantellati fondamentalmente per ragioni di risparmio.
Non si tratta, ovviamente, di riproporre la stessa esperienza ma comunque di trovare valide e permanenti strutture, a partire dalla qualità dei formatori, di supporto alle scuole.
Strettamente legato alla formazione esiste un problema di motivazione e di riconoscimento professionale e sociale: gli insegnanti italiani sono tra i peggio pagati d’ Europa.
Il tema della retribuzione è legato a filo doppio al tema dello stato giuridico e alla ridefinizione in sede contrattuale delle condizioni e delle prestazioni lavorative, nel cui ambito sarebbe opportuno definire modalità di sviluppo della carriera docente e la stabilizzazione delle figure di “middle management”; anche tutto ciò richiederà l’assegnazione di cospicue risorse.
Le scuole italiane sono in gran parte vecchie e insicure, progettate per una didattica trasmissiva e frontale. L’attuale emergenza sanitaria evidenzia ulteriormente quanto ampiamente risaputo: non è più rinviabile un piano nazionale di messa a norma degli edifici scolastici, non solo dal punto di vista della sicurezza ma anche sul piano della funzionalità pedagogica e didattica. Si tratta, a partire dalle migliori esperienze già in atto, di progettare e costruire edifici idonei ad ospitare una didattica attiva e modulare e quindi dotati di laboratori, biblioteche, palestre, spazi di incontro, internet veloce e diffusa, ecc.
Il connubio virtuoso tra insegnanti validamente formati, anche sul piano pedagogico e psicologico (ciò che oggi principalmente manca, soprattutto nel secondo ciclo) ed edifici funzionali a una didattica innovativa, potrebbe effettivamente portare a quel salto di qualità in grado di migliorare in modo significativo gli esiti dei processi formativi e di contrastare in modo sostanziale la dispersione scolastica.
Ovviamente molti altri possono essere gli interventi possibili e auspicabili: dall’estensione del tempo pieno, alla riduzione del numero di alunni per classe, alla generalizzazione della scuola dell’infanzia (almeno nell’ultimo anno) ecc., fino alla riforma degli ordinamenti, che potrebbe non comportare costi, ma inserirsi efficacemente in un contesto complessivo di rinnovamento.
Si tratta, è evidente, di trasformazioni epocali per la nostra scuola che sarebbe stato imprudente perfino sognare e che potrebbero diventare realtà a partire dal prossimo anno.
E’ fondamentale che la scuola non si lasci sfuggire questa imperdibile occasione per non ritrovarsi, ancora una volta e alla fine di tutto, in fondo se non addirittura fuori dalla lista. E bisogna che sia il mondo della scuola reale a esprimere priorità e progetti e non solo manager di successo di multinazionali, o politici esperti di scuola all’occorrenza o, ancora, funzionari amministrativi di più o meno lungo corso.
Su questo l’associazionismo della scuola, che non ha interessi particolari da difendere e che dispone di esperienza, conoscenza specifica e competenza, avrebbe molto da dire.