Si riprende scuola, ma con poca pedagogia.
Il ruolo del dirigente scolastico è molto cambiato negli ultimi anni, assumendo connotazioni, anche pubbliche, che non erano state previste da nessuno dei legislatori che si sono occupati di normare la materia. Chiuso l’anno scolastico finora più difficile, se ne sta per aprire un altro che sembra essere ancora più difficile di quello precedente e chi, come me, entra nel suo ventesimo anno da dirigente scolastico si trova davanti alla necessità di aumentare il grado di riflessione in rapporto ad avvenimenti e novità impreviste, che di giorno in giorno stanno cambiando scenari già fragili. Mi accorgo, però, che il raggio della riflessione è diventato così ampio, che è difficile anche soltanto mettere in ordine le cose, sia sulla scrivania fisica dell’ufficio, sia sulla scrivania virtuale del proprio computer, sia sulla scrivania mentale, che è quella più importante. Soprattutto perché il dibattito sulla scuola va in direzioni opposte a quelle che dovrebbero animare il dibattito: pedagogia e apprendimenti, non sanificazioni e mascherine. In questo breve contributo mi permetto di sollevare alcune questioni e di cercare di riflettervi sopra.
EDILIZIA SCOLASTICA, MES, RECOVERY FUND
Con mia grande sorpresa vedo che il problema dell’edilizia scolastica è stato improvvisamente rimosso. Durante la chiusura delle scuole è apparso evidente a tutti che gli edifici scolatici italiani hanno tali e tante carenze, che non possono essere considerati un patrimonio adeguato alle esigenze della scuola italiana. Mi sono illuso che almeno dieci miliardi del MES sarebbero stati spesi quest’estate per costruire, creare, progettare nuovi spazi per garantire quel distanziamento che ha una certa ricaduta sanitaria ( e che quindi autorizza l’uso del MES). Invece si è andati nella direzione delle misure e dei beni mobili (banchi) senza che ci fosse da parte dei dirigenti scolastici, degli insegnanti, del personale ata, degli enti locali, delle regioni, dei parlamentari, delle opinioni pubbliche una richiesta di costruire subito nuove scuole leggere, adattabili, eco compatibili capaci di entrare nell’emergenza e di aprire possibilità per il dopo. Addirittura sono andati avanti progetti già finanziati, ma assolutamente obsoleti, pensati per scuole vecchie prime e diventate improvvisamente vecchissime.
Tutta la progettualità nazionale prescinde dalla scuola e, infatti, di uomini di scuola non se ne sono visti nella “Commissione Colao”, ma non se ne vedono neppure oggi nelle varie commissioni che stanno sorgendo per il Recovery Fund. Forse sarà solo il Ministero dell’istruzione a parlare per conto delle scuole autonome. Questo è grave perché se c’è un soggetto che non ha il polso della situazione nazionale è proprio il Ministero dell’Istruzione, capace di attivare monitoraggi che cercano di far stare le grandi diversità della scuola italiana dentro una semplice modalità numerica e che comunque da un centro così lontano, situato in una grande metropoli, non conosce le realtà degli ottomila istituti autonomi statali. E non la conoscono neppure gli Uffici periferici del ministero, occupati ad applicare norme generali e a richiedere di non manifestare alcun dissenso.
NORME COVID E DIDATTICA
Un altro fronte molto sorprendente è quello che tende a ridurre il problema della scuola agli ingressi, alle uscite e alle permanenze negli spazi comuni, ma non a che cosa insegnare o apprendere in quegli spazi e in quei tempi. La questione delle mascherine sta tutta qui: è possibile imparare con la mascherina addosso? è possibile insegnare con la mascherina? Legato a questo problema c’è quello di una scuola statica a fronte di una gioventù dinamica. Ma l’importante pare sia solo garantire distanze che permettano di ritornare tutti a scuola e procedure che siano a prova di giudice. Qui si apre il fronte del grande equivoco italiano, ingigantito dall’emergenza, ma presente da molto tempo: scambiare il diritto allo studio per il diritto a fare tutti le stesse cose, con gli stessi orari, dentro gli stessi edifici e tutto contemporaneamente.
Dopo le esperienze traumatiche della Didattica a distanza, dell’esame di stato modificato dalle necessità e della promozione generalizzata, si è entrati in un’estate in cui tutti hanno cominciato a fotografare (in senso metaforico e non) la realtà modificata delle scuole al fine di far tornare tutto come prima. Il distanziamento è necessario per diminuire la pericolosità del virus e limitare i contagi: a questo distanziamento non è stata legata alcuna riflessione sulle modifiche necessarie alla didattica, ma solo un serrato dibattito sulle procedure da adottare in attesa del vaccino.
Il curricolo che si insegnava prima non era molto efficace (visti gli esiti delle rilevazioni internazionali e nazionali) e quindi questa inattesa emergenza poteva aprire un vero “cantiere” analitico su contenuti, metodologie, valutazioni. Invece si è cominciato a misurare e a organizzare quella che sarà probabilmente una grande attesa statica di tornare tutti alla dinamica e spesso caotica normalità precedente.
Scuole vecchie e didattica vecchia: tutti lo diciamo, ma tutti, alla fine, non facciamo niente per cercare di cambiare quel “vecchio” in “nuovo”, anche perché se il “vecchio” produceva risultati non esaltanti, magari col “nuovo” qualcosa si migliora. Questo bloccarsi davanti al progetto pur in presenza di ingenti risorse economiche (MES e Recovery Fund) mi ha molto sorpreso, ma mi ha portato alla riflessione per cui il mondo della scuola e l’opinione pubblica sono molto più interessati a rientrare a scuola, piuttosto che a discutere su cosa fare una volta rientrati.
PERSONALIZZARE IL PERCORSO
La necessità del distanziamento, le nuove norme igieniche, le precondizioni per ritornare a scuola (assenza di problemi respiratori e febbre), lo smart working, la derubricazione dell’importanza della didattica rispetto alle norme di prevenzione, i lavoratori deboli, i mezzi di trasporto, le nuove potenzialità del web, avrebbero potuto portare ad una sospensione dell’idea di una scuola uguale per tutti, contemporanea e ripetitiva per portare verso un’idea di Curricolo dello studente, in cui ogni studente certifichi il suo reale percorso, fatto di competenze proprie, di tempi non omogenei, di presenze e assenze bilanciate dall’aiuto del web, di un’integrazione tra Didattica in presenza e Didattica a distanza, di una personalizzazione assoluta che tenga conto delle reali esigenze di tutti. Questo avrebbe potuto portare ad un’azione di verifica e valutazione interessata al processo e all’esito e non agli stanchi e stantii riti dei compiti in classe e delle interrogazioni.
Per gli Istituti professionali qualcosa del genere è nato l’anno scorso, ma mi sembra che questa giusta modifica non sia stata colta nella sua reale portata. Siamo tutti diversi e abbiamo tutti esigenze diverse, ma dentro queste esigenze i curricolo hanno spazio per ognuno di noi. Si tratta di diversificare per non disperdere, di personalizzare per non bocciare.
Dentro un’idea moderna di personalizzazione poteva trovare spazio il rapporto tra obiettivi della scuola ed esigenze delle famiglie: spesso le due cose non coincidono, perché le famiglie vogliono che i figli possano passare 5-8 ore al giorno a scuola, mentre le scuole vogliono ottimizzare il processo di apprendimento degli studenti dentro quelle 5-8 ore. Classi troppo numerose, studenti troppo disomogenei, orari troppo rigidi, necessità della scuola sottomesse a quelle delle parrocchie, dello sport, dell’associazionismo, degli enti locali, delle mense, del mondo del lavoro hanno reso difficile strutturare un servizio così vasto in maniera veramente efficiente ed efficace. Ma, invece di usare l’emergenza per intervenire su almeno alcuni di questi problemi, li si è tutti aggregati dentro un’idea di ripartenza in cui leggi, note, linee guida, faq, ordinanze andassero a costruire un coacervo di norme spesso inapplicabili, sulla cui applicazione, però, risponde alla fine solo il dirigente scolastico.
Per cui sembra che lo scopo sia quello di riaprire per far entrare tutti contemporaneamente a fare le stesse cose il più fermi possibile e non quello di individuare obiettivi didattici ed educativi, strutturare alleanze locali, creare dei meccanismi di personalizzazione del curricolo che integra il lavoro a scuola con quello casalingo, con quello on line e con quello delle agenzie che sul territorio si possono occupare di operare con bambini e ragazzi quando la scuola e la famiglia non ce la fanno. Qui non sto parlando di sorveglianza, ma proprio di contenuti: quelli che la scuola deve trasmettere al fine di migliorare gli apprendimenti, quelli educativi che la famiglia deve dare in piena serenità, quelli che i vari soggetti sociali devono poter elargire a supporto o in aggiunta e che a questo punto possono essere pagati perché i soldi ci sono e ci saranno.
Sto pensando (ma elenco in maniera semplice a livello di esempio) a scuole dell’infanzia con meno bambini e più maestre supportate da centri comunali di supporto che agiscano in parallelo in modo da operare su più spazi; parlo di scuole primarie che si colleghino al territorio e possano sdoppiarsi all’esigenza (più organico, quindi), parlo di scuole secondarie collegate al territorio in forma omogenea e complementare, con ampie possibilità di diversificare. Per fare questo servirebbe uscire dalla logica del tutto uguale per tutti ed entrare in quella personalizzazione dei tempi, delle metodologie, degli spazi che porterebbero ad un vero Curricolo dello studente, che rispetterebbe le necessità dell’apprendimento, collegherebbe queste alle esigenze delle famiglie e alle offerte della società civile. Però bisognerebbe abbandonare l’idea degli orari rigidi, dei tempi scuola obbligatori uguali per tutti, della didattica frontale come base fondativa dell’azione scolastica. I soldi ci sono, ma la volontà mi pare non ci sia.
Un rinnovamento della scuola passa dal transitare dall’orario settimanale ripetitivo ad un monte ore annuale mobile e personalizzato per studenti e lavoratori della scuola, in cui la funzione docente accompagni i tempi di apprendimento e non li condizioni. Dentro l’idea di Curricolo dello studente va rivista completamente anche la procedura valutativa, che attualmente vuole agire per standard e non per azioni valorizzanti. Un esempio lo abbiamo avuto sia nella valutazione di fine anno, sia nell’esame di stato conclusivo del secondo ciclo: tutti promossi e in complesso con voti migliori e un esame di stato interessante e meno oppressivo del precedente. Il flebile dibattito sull’argomento ha sottolineato che l’emergenza ha creato un aumento delle valutazioni, senza però far venire in mente a nessuno che fossero sbagliate quelle di prima, non quelle di quest’anno. Come è noto qualunque misurazione altera l’oggetto o il soggetto misurato e noi scambiamo la misurazione per valutazione. E una volta tanto che, a causa dell’emergenza, abbiamo dovuto valutare e non misurare, poi storciamo il naso perché abbiamo dato più valore ai nostri ragazzi. Da professionista riflessivo dico: se un metodo di valutazione mi da risultati migliori forse è il caso di verificare se non era il metodo di valutazione precedente (mnemonico, ossessivo, nozionistico) ad alterare il sistema.
GIORNALISMO ADDIO
Credo che mai come in riferimento alla scuola il giornalismo abbia mostrato la sua crisi strutturale, nella sua disperata rincorsa ai social. Tra titoli scandalistici, argomenti affrontati con superficialità, ossessione nel cercare il negativo, accentuazione degli elementi generali partendo da situazioni particolari, spazio dato ai molti narcisismi (mio incluso), sintetizzazione di documenti corposi in poche righe e disegni impropri, rapporto non mediato con esperienze estere, predilezione per lo scontro e non per il confronto tutto è scivolato nel gossip, nello sconto, nella polemica, nella trasformazione del problema pedagogico italiano in una questione di banchi e centimetri. E qui la scuola è caduta nel tranello, fidando su giornalismo e social e aprendosi con parti di comunicazione ad un’opinione pubblica che della scuola e dell’istruzione non capisce nulla, dentro terminologie sbagliate, richieste inapplicabili, proteste in cui alla fine si chiede solo più rigidità, disinteresse per i risultati modesti del sistema. Tutto questo ci ha portati qui, nel punto in cui solo la riflessione ci può salvare dalla confusione.