I limiti della “scuola in casa”
L’esperienza della Dad (l’ormai noto acronimo della didattica a distanza) è come sappiamo nata da un’inevitabile scelta nella fase più drammatica dell’epidemia.
Molto è stato detto sulle possibilità che ha in ogni caso offerto e sugli aspetti problematici che ha fatto emergere. Sottraendomi in questa sede ad una disamina degli uni e delle altre, che esula dal fuoco tematico di questo contributo, mi sembra pertinente soffermarmi su uno dei suoi “effetti collaterali” che merita un supplemento di riflessione. Infatti, lo sviluppo delle lezioni a distanza, segnando in parallelo l’implosione della “scuola materiale” ben fissa nell’immaginario e nell’esperienza di noi tutti, ha dato vita ad una parallela diffusione di una “scuola domestica” del tutto inedita.
Insomma, è scomparso lo “spazio pubblico” che è uno dei tratti fondanti della scuola come istituzione storicamente determinata. Al suo posto, un’inedita affermazione degli spazi domestici come luoghi privati, perfino intimi, diventati lo scenario abituale dei processi di insegnamento-apprendimento. Le “aule”, di cui attualmente tanto si discute nella prospettiva dell’imminente ripresa, hanno preso i connotati degli ambienti domestici. Potremmo dire che questo fenomeno ha dato corpo a un vero e proprio processo di “privatizzazione” della scuola: su questo, ognuno potrà svolgere le proprie considerazioni, in coerenza con posizioni politico-culturali e personali convincimenti.
Al di là della prevedibile eterogeneità delle opinioni, resta il fatto oggettivo di una scuola che, arretrata dal suo “naturale” spazio pubblico, si è diffusa prendendo stabile dimora nelle case degli alunni e degli studenti. È plausibile pensare che la pervasività del fenomeno, e dei processi anche simbolici che ha innescato, possa essere all’origine di un incremento delle richieste di “homeschooling” che si va rilevando nel nostro Paese.
Opzione, come sappiamo, prevista dal nostro sistema giuridico, ma finora praticata in modo del tutto residuale; diversamente da quanto accade, per esempio, in altre aree di lingua anglosassone.
Proprio per l’emergente rilevanza del fenomeno, anche dal punto di vista quantitativo, converrà interrogarsi sui limiti e sulle problematicità in cui incorre. Partirei dal più largo e comprensivo ambito educativo, per poi fare qualche affondo sulle dimensioni della funzione di “istruzione” cui assolve la scuola per mandato costituzionale. Riguardo al primo punto, osservo che la scuola, nella sua materialità, è il primo luogo pubblico con cui entrano stabilmente in contatto i bambini e le bambine, fin dalla Scuola dell’infanzia. In questo spazio protetto e aperto al tempo stesso fanno diretta esperienza di un “altrove” rispetto alle pareti domestiche. Un altrove che ben presto assume i contorni di stimoli, routines e presenze che danno concretezza alle azioni di “cura” e di “intenzionalità educativa” predisposte dagli insegnanti.
Questa è la palestra di vita che fa parlare fondatamente di un “ambiente di apprendimento”. Qui maturano le esperienze di esplorazione percettiva, di relazionalità e di primo distanziamento dalle emozioni senza cui non si dà processo di crescita e di conoscenza.
Alla luce di queste sintetiche considerazioni, è legittimo chiedersi cosa comporta in termini educativi il permanere in una condizione di apprendimento “familiare”, per quanto accorto e sensibile alle esigenze dei piccoli. È opportuno interrogarsi sulle limitazioni che inevitabilmente gravano in un contesto di apprendimento integralmente privatizzato. E viene da chiedersi di che natura potrà essere l’inevitabile impatto con il mondo “là fuori”, se l’ingresso nei suoi contesti, formali e non formali, risulta essere procrastinato.
Superfluo sottolineare, da questo punto di vista, la difficoltà a sviluppare le competenze relazionali connesse al senso civico e alle forme più elementari della convivenza. C’è da temere che questa tendenza, magari animata dalle migliori intenzioni, di trattenere nel “nido” i piccoli possa mostrare nel tempo le sue insidie, favorendo il formarsi di personalità narcisistiche, caratterizzate da atteggiamenti auto-riferiti e, al limite, antisociali.
Non meno irto di effetti problematici il percorso di un bambino o una bambina, gestito in ambiente domestico, dal punto di vista dello sviluppo degli apprendimenti.
La prima forte riserva nasce considerando le specifiche competenze che sono in grado di mettere in campo i genitori. Non si discute che possano avere il prezioso bagaglio di competenze acquisito, come si dice, nella “scuola della vita”…ma come negare che, da sola, non basta? Non basta, se non è supportata dalle necessarie conoscenze scientifiche e psicopedagogiche sul delicato e complesso processo di sviluppo. Si dirà che a volte neanche la competenza professionale è sufficiente a garantire rispetto ad approcci non efficaci o addirittura impropri…Vero: mi viene da dire, figuriamoci senza!
Resta da considerare brevemente il nodo problematico costituito dall’assommare in una sola figura la funzione genitoriale e quella docente nei confronti dell’istruzione impartita ai propri figli. Un “corto circuito” di cui non sfuggono le molteplici implicazioni. L’apprendimento è processo complesso, nel quale elementi propriamente cognitivi e dimensioni emotivo-relazionali sono inestricabilmente connessi. Altrettanto, e forse più complesso il rapporto genitore-figlio, in cui più intensamente giocano fattori che sono stati ampiamente studiati dalle psicologie dinamiche di diverse scuole. Per questo, è quanto mai opportuno separare nettamente la figura del genitore, nella sua insostituibile funzione educativa, da quella dell’insegnante. La presenza di un “testimone empatico”, dotato di specifiche conoscenze scientifiche, è quella che più efficacemente accompagna e sostiene il soggetto in crescita nell’appassionante avventura dell’apprendimento.
E, da ultimo ma non in ordine di importanza, il ruolo fondamentale svolto dal gruppo dei pari, che nella scuola è istituzionalmente predisposto. Come sappiamo dalle più accreditate teorie dello sviluppo e dell’apprendimento, il gruppo dei pari è un prezioso referente per esplorare percezioni e conoscenze. È insieme ai pari che si co-costruisce il processo di conoscenza, si negoziano significati, si progettano azioni. I pari nel gruppo di apprendimento sono potenti vettori di nuove acquisizioni, non paragonabili ai pur preziosi “compagni di gioco” che si invitano nello spazio privato domestico.
A scuola è messo in scena il gioco sempre nuovo e aperto della conoscenza: in uno spazio pubblico, allestito intenzionalmente dai docenti e arricchito dalla creatività imprevedibile dei bambini e delle bambine. È l’anticipazione del grande gioco sociale che in modi sempre più articolati e complessi impegnerà gli adulti che saranno diventati. Perché privarli di tutto questo?