A scuola non si sta insieme per caso e nemmeno per fare qualsiasi cosa; a scuola gli insegnanti devono insegnare e gli alunni devono apprendere; tra docenti e alunni c’è di mezzo il sapere, che i primi devono trasmettere e i secondi devono apprendere. Un rapporto costituito dagli obblighi professionali, anche quando è pieno di rispetto e di attenzione verso gli alunni.
Nel triangolo che nell’azione quotidiana a scuola si viene a costituire tra docenti, sapere e alunni, nessuno dei vertici può essere trascurato in favore degli altri due. Devono esserci per forza tutti e tre con pari dignità. Non può scomparire l’insegnante, come talvolta si favoleggia, perchè l’alunno non impara da sè; non può scomparire il sapere, perchè non ci sarebbe più scuola e nemmeno si può immaginare che l’alunno conti così poco, come se non ci fosse, perchè è per lui che si fa scuola. Tra l’insegnante e l’alunno non c’è solo il sapere, ci sono le istituzioni con le loro ingiunzioni, ci sono le aspettative della società che hanno influenza sul modo in cui il lavoro che si svolge a scuola deve essere fatto.
La trasmissione del sapere, ma anche dei valori e delle tradizioni, alle nuove generazioni è l’atto fondatore con cui la scuola e quindi gli insegnanti per la loro parte garantiscono “la continuità del mondo”(Hannah Arendt).
Le nuove generazioni non devono inventarsi il mondo, se non altro perchè non lo possono fare e perchè già c’è a loro disposizione; bisogna, però, dare loro gli strumenti, le conoscenze, la cultura perchè lo possano abitare in modo appropriato.
E questo non avviene casualmente, ma con un’attività regolare e ordinata di istruzione/educazione.
La trasmissione dei saperi, delle tradizioni e dei valori di una comunità è un’avventura in cui si incontrano chi crede nell’educabilità dei giovani e la volontà del giovane che vuole crescere e che si mette in gioco per il piacere di apprendere e di comprendere.(Ph.Meirieu)
L’insegnante trasmette ciò che ha ricevuto, cercato e fatto proprio, ma deve commisurarlo alle capacità dell’alunno, alla dotazione di conoscenze in suo possesso, ai suoi interessi e ai suoi problemi.
Per rendere vivo ed efficace il proprio lavoro, l’insegnante deve chiedersi che cosa del suo sapere valga per gli alunni che vale anche per lui. E’ il percorso per arrivare ad accendere il desiderio di apprendere e per poterlo soddisfare.
“Partendo da questi esseri viventi deve ritornare alle materie del suo insegnamento per scoprirvi le cose antiche e nuove che sarebbero rimaste ignote al suo proprietario, se la presenza dei suoi interlocutori non gli avesse permesso di trarle fuori dal tesoro che ha acquisito col suo lavoro”(Michel de Certeau).
Le nuove generazioni hanno il diritto di aspettarsi dall’insegnante i frutti di una tradizione che avrà passato al setaccio del presente.
Certamente l’insegnante non può farsi carico di tutto il mondo delle persone che educa, di mobilitarne tutta la loro attenzione; ad una certa età c’è la responsabilità dell’alunno e questa non può essere assorbita dalla responsabilità che ha nei suoi confronti l’insegnante.
Nessuno può apprendere al posto dell’alunno.
Saperi, valori e tradizioni costituiscono un patrimonio che va discusso e ripensato, ma che non può essere abbandonato, perchè significherebbe misconoscere il prezzo pagato dagli altri per le conoscenze di oggi.
Un insegnamento calibrato sulle esigenze degli alunni, sui loro bisogni, sui loro problemi non può e non deve limitare lo spazio e il valore dei contenuti e delle discipline.
Per essere in grado di partecipare alla vita sociale ed esercitare i diritti di cittadinanza è necessario condurre l’alunno alla conoscenza delle grandi tradizioni del sapere, dell’arte, della cultura e della società a cui appartiene.
E’ necessario portarlo all’altezza delle conoscenze e dei saperi che deve possedere; nulla è peggio di una scuola e di un insegnante sottomessi alla tirannia del momento, dimentichi della forza propulsiva che oggi può avere “non la lettera, ma lo spirito di una tradizione.(…)Un presente che si pretende assoluto non si comprende più come un momento”(Michel de Certeau).
Rispetto al sapere che si ha dovere di trasmettere, a prima vista sembra che l’insegnante sia in una posizione diversa rispetto all’alunno, che è interessato e tenuto ad apprenderlo.
E invece rispetto al sapere l’atteggiamento dell’insegnante non può essere diverso da quello che si auspica per l’alunno; un atteggiamento di curiosità, di attenzione, di ricerca, di amore.
La sfida educativa è quella di fare diventare il sapere dell’insegnante oggetto del desiderio dell’alunno: è quella di proteggere e diffondere il senso dei saperi.
E’ fondamentale per una buona formazione tenere sotto osservazione il rapporto che si viene a istituire tra l’alunno e il sapere per cercare in tutti i modi di evitare che si frappongano ostacoli, remore di qualsiasi genere che possano determinare un atteggiamento difensivo, diffidente o cinico verso una disciplina,una nozione, un metodo, una posizione intellettuale(Ph.Perrenoud).
Il desiderio di apprendere è una disposizione morale che bisogna coltivare e che va accompagnata con l’orientamento al dialogo e all’ascolto. Sboccia se lo si riesce quotidianamente a suscitare nella coscienza dei giovani. E non serve molto per questo scopo mostrare gli aspetti utili e le convenienze sociali del sapere.
Il sapere deve avere un senso per chi lo deve possedere; deve inserirsi, cioè, dentro un sistema di significati personali: quelli che guidano i comportamenti e le scelte delle persone.
L’insegnante non insegna da solo; a scuola si insegna insieme, come insieme si apprende; c’è una responsabilità collegiale degli insegnanti, nella diversità degli stili in cui si esprimono i compiti professionali, nel cercare di dare un senso alla crescita degli alunni.
Nella pluralità dei linguaggi, comuni devono essere gli intendimenti; da ogni insegnante deve generarsi un contributo di senso per arricchire l’attività didattica. Le differenze bisogna renderle necessarie, coabitanti le une con le altre all’interno di un processo, che se non può essere arbitrario, non deve strozzare la fantasia e la libertà che reclama il faccia a faccia con chi apprende
Il rapporto con gli alunni, mediato dal sapere, non può essere privato del suo sapore esistenziale; non può essere spadroneggiato dall’algoritmo che stabilisce il come, il quando e il dove.
Si deve essere consapevoli che il “senso” è tendenzialmente emarginato dal funzionamento delle grandi organizzazioni alle quale appartiene anche l’istruzione e dentro il lavoro scolastico come è diventato e prescritto non sempre è garantita la possibilità di darlo a ciò che si fa in classe.
Le risposte che pretende il sistema dell’istruzione sono relative all’adeguamento al fare richiesto in ogni momento dall’organizzazione sociale del lavoro e nel migliore dei casi all’assimilazione dei valori civici; estranei spesso con la loro retorica alle domande esistenziali che bisognerebbe perlomeno ascoltare e insegnare a porre.
Nell’insegnamento ci vogliono certezze morali e certezze scientifiche e non bisogna dimenticare che ogni pratica educativa sottintende una concezione dell’uomo oltre quella dell’apprendimento e rinvia all’etica della convinzione .
Ogni insegnante in classe propone, anche inconsapevolmente, un modello educativo in cui le sue conoscenze si intrecciano con scelte di valore, evidenziate queste dai suoi comportamenti.
E’ un dovere rendere tutto esplicito e commisurarlo al rispetto dell’autonomia dell’alunno . Per educare bisogna fare lavorare la classe come comunità morale, come comunità democratica, come comunità di apprendimento.
A scuola istruire ed educare è una responsabilità condivisa.
L’impegno a fare amare il sapere non può limitarsi agli alunni che riescono; sarebbe molto facile.
L’impegno prioritariamente va dedicato a quanti incontrano difficoltà e restano indietro. Nessuno insegnante a cuor leggero può metterli da parte. Non è giustizia lasciarli al posto dove si sono fermati.
Oggi la povertà culturale priva davvero del diritto effettivo di cittadinanza e della comunicazione con gli altri; gli alunni che per varie circostanze non hanno varcato la porta del sapere saranno i poveri della nostra società, tanto più reietti, quanto più aperta sembra essere la scuola.
L’insegnante che si fa carico delle sue responsabilità educative non ha mai fretta, aspetta non solo i ritardatari, ma anche gli assenti e questi ultimi, se è necessario li va a cercare.