• La scuola esiste per trasmettere valori, saperi e competenze; la sua funzione costitutiva e intrascendibile è quella conoscitiva e l’insegnamento è il lavoro che se ne occupa e la rende operante presso le nuove generazioni.
Protagonista indiscusso di questo processo di trasmissione è l’insegnante col suo bagaglio di esperienze e di saperi.
Mediatore tra la cultura, le conoscenze del passato e del presente, e il bisogno e il dovere di apprendimento delle nuove generazioni. In questo spazio si costruiscono il suo ruolo e la sua legittimazione sociale. E’ il sapere il punto d’origine del lavoro scolastico e tutto il resto è strumentale alla loro acquisizione.
• Le scienze cosiddette dell’educazione entrano in servizio per favorire e rendere efficace questo compito. Sono convocate per farci conoscere l’alunno e per offrire i mezzi più adeguati per consentire il successo dell’apprendimento.
Sono scienze funzionali all’insegnamento e al diritto di formazione delle nuove generazioni. Nessuno purtroppo sa stare al proprio posto.
La tentazione delle scienze dell’educazione è quella di dirigere il lavoro scolastico e non di servirlo, di proporre la propria strumentalità in finalità di tutto il processo di formazione. Questo succede in modo evidente con la docimologia, per lo spazio egemonico assegnato alla valutazione nell’intero sistema di istruzione; senza adeguate garanzie e tutele rischia di essere la vera regista di tutto il sistema di istruzione.
• Della valutazione si possono distinguere diversi aspetti, colti e differenziati nel corso degli ultimi decenni ed esercitati secondo le necessità contingenti dei sistemi scolastici.
E’ innegabile, però, che da quando il sistema scolastico è diventato un servizio sociale di massa, che copre per intero ogni classe d’età, alla valutazione è stato assegnato in via prioritaria il compito di garantire al mercato del lavoro la quantità e la qualità di forza lavoro necessaria al suo funzionamento.
A maggior ragione questo si verifica nelle società dove ancora sopravvive e funziona il valore legale del titolo di studio. La valutazione con le relative certificazioni serve a legittimare le posizioni sociali dei detentori di un titolo di studio e a gestire forme di controllo istituzionale sulla formazione della classe dirigente del paese. A rigore di logica, quindi, alcuni modi di esercitare la valutazione non sono essenziali all’insegnamento e tantomeno al diritto allo studio.
• La valutazione, ancorchè sofisticata o grossolana, è stata e viene ancora esercitata in funzione della selezione degli alunni e spesso senza mettere in discussione la legittimità delle operazioni compiute e senza mettere in discussione gli imperativi che la vogliono in azione. La valutazione può essere scientificamente smaliziata, più o meno tollerante e aperta, ma spesso è praticata in via esclusiva per individuare ed esaltare le competenze professionali e le attitudini sociali che si ritengono conformi a scopi che non elabora la pedagogia, ma l’amministrazione; che non sono frutto di ricerche e di dibattiti teorici, ma di scontri e di rapporti di forza politico-sociali.
• C’è molta cura e non solo in chi gestisce il sistema scolastico nel nascondere le responsabilità sociali della valutazione, nel renderle impalpabili, trincerandola dietro la cortina fumogena della scientificità, con la quale si potrebbero e si dovrebbero condurre le sue operazioni. Molti modi di esercitare la valutazione sono funzionali solo alla carriera dei singoli studenti, alla scalata sociale di un certo tipo di studenti: quelli provenienti da ambienti sociali molto attenti ai punteggi e inclini a considerare la selezione un’operazione normale e dovuta in una scuola dove si vorrebbe di norma la competizione tra gli alunni, per abituare a quella che viene praticata con tanta ferocia nella società.
• L’incontro tra scienze dell’educazione e insegnamento nel luogo cruciale della valutazione rischia di non dare un buon servizio alle finalità dell’educazione e della promozione umana, che si proclamano scritte nel frontone di ogni scuola della nazione. E’ necessario depurare la valutazione di tutte le scorie che la rendono inadatta a migliorare la scuola. In quanto giudizio di valore, il giudizio di valutazione è problematico per costituzione, nel senso che non può arrogarsi la facoltà di dire qualcosa con certezza o come verità incontrovertibile sui risultati di apprendimento.
Dire qualcosa con certezza è stato ed purtroppo ancora l’obiettivo di quelle correnti della docimologia, che hanno coltivato e coltivano il sogno della misura esatta nella valutazione.
• “Per essere misurato un oggetto deve essere definibile su una sola dimensione. Se l’oggetto ha parecchie dimensioni, ciascuna deve essere isolabile e dovrà essere stimata separatamente.(….).Si potrà stimare l’insieme, cioè l’oggetto considerato nelle stesso tempo in tutte le dimensioni, se queste possono essere ridotte ad una nuova, unica scala”(Gh.Hadji). Operazione impossibile per un oggetto multidimensionale come l’apprendimento, a meno che non si ricorra alla semplice quantificazione e alla semplificazione dei dati che si prendono in considerazione.
”La valutazione non si riduce mai ad una semplice misura ed è sempre cosa diversa dalla semplice osservazione”(Ch.Hadji).
• C’era e c’è del buono, che non bisogna dimenticare, nei tentativi di fondare “oggettivamente” le decisioni che si prendono nell’assegnare un valore preciso ai risultati di apprendimento. Sono le intenzioni di assicurare trasparenza, equità, credibilità pubblica alle pratiche di valutazione e alle certificazioni che vengono rilasciate. La ricerca docimologica ha evidenziato i rischi e i limiti che vi sono connessi e che si annidano nelle varie tipologie di prove (orali, scritti, esami etc.). Ha squarciato la presunzione di innocenza e di validità di decisioni, prese a volte senza fondamento o senza adeguata giustificazione.
• La ricerca affannosa della misura esatta, però, ha finito talvolta per privare un atto del processo di formazione di parte significativa del suo valore educativo, perchè di fatto la valutazione viene fatta fermare davanti al risultato di apprendimento e finisce per trascurare i processi intellettivi sottostanti che l’hanno reso possibile, inattingibili agli strumenti di tipo statistico di cui spesso si compiacciono certi cultori della ricerca docimologica.
Gli apprendimenti non sono dati da contabilizzare, ma una realtà da comprendere e interpretare. Valutare senza interpretare equivale a fermarsi ai puri dati fattuali.
La valutazione è invece prelievo di dati della realtà per dare loro un senso in funzione di un’ipotesi di interpretazione. La complessa strumentazione della docimologia può tornare utile (con tutte le riserve espresse) in funzione del raccordo tra formazione e mercato del lavoro, ma in misura decisamente minore in funzione della maturazione e dello sviluppo delle doti, delle attitudini della persona degli alunni. Le scorie di natura scientistica che si porta appresso la docimologia possono essere di intralcio alla responsabilità di un’educazione integrale della persona.
• Nella valutazione il nemico da combattere non è la soggettività, ma l’arbitrarietà, tenendo presente che alla valutazione si deve richiedere un modo cosciente, rigoroso e critico di procedere.
”Il progresso non va dalla soggettività all’oggettività, ma dall’inadeguato al pertinente”(Ch.Hadji).
Dice ancora Hadji: “Bisogna comprendere che essere oggettivo non vuol dire cogliere scientificamente un oggetto misurabile, ma sostenere un giudizio sicuro sul valore di quest’oggetto ,considerato da un punto di vista oggettivabile, cioè esplicabile”. Nella valutazione non bisogna farsi illudere da una analogia ingannevole con le scienze esatte, che possono misurare o pesare gli oggetti di loro pertinenza.
”Valutare non è pesare un oggetto che si potrebbe isolare sul piatto di una bilancia e apprezzare questo oggetto in rapporto ad altra cosa rispetto ad esso”(Ch.Hadji).
• Per preservare la dimensione educativa della valutazione è necessario considerarla un’operazione che assume il proprio significato nel dare un valore, nel valorizzare il lavoro, le prestazioni, il comportamento degli alunni. Occorre rinunciare a fare della selezione il nodo cruciale del rapporto educativo.
Occorre andare verso la valutazione formativa, sostituire una relazione tendenzialmente conflittuale con una relazione cooperativa. Nella valutazione formativa emerge la prospettiva della regolazione e dell’aiuto, ma non viene delegittimata l’esigenza di dare garanzie sulla validità delle certificazioni e degli attestati.
• Nella fase attuale si sente l’esigenza di cercare la convergenza tra la valutazione come atto ermeneutico e la valutazione incline alla logica oggettivistica della misurazione, evocata in qualche modo dalla volontà di mantenere il valore legale dei titoli di studio. Non si può scegliere una sola prospettiva perchè c’è sia la necessità di conoscere e di attestare il grado di padronanza delle competenze da parte dei soggetti in formazione, sia quella di conoscere, capire e sostenere i processi cognitivi che le hanno prodotte.
• La valutazione non può essere usata per stigmatizzare ed escludere. Non c’è buona scuola senza buona valutazione: quella che suscita un’autentica motivazione ad apprendere; quella che valorizza lo sforzo e il superamento delle difficoltà e degli ostacoli; quella che dà opportunità di rimediare ai ritardi e di sostenere l’apprendimento; quella che non tende a sorprendere in fallo e non demonizza gli errori.