Ho virgolettato una parte del mio titolo, perché non ho coniato io quella formula, ma il professor Franco Frabboni.
E ho la buona abitudine di non appropriarmi di ciò che non è mio, ma di citare la fonte, sempre.
Parto da qui, in questo fitto discutere su come potrebbe o dovrebbe essere la scuola prossima ventura, in questo ricorrente prefigurare “patti territoriali” con l’impegnativo intento di mettere in relazione scuola e risorse del territorio sotto il medesimo orizzonte educativo.
Perché mi sembra utile riprendere quella formulazione, che trovo più che mai attuale? Perché penso che possa definire il perimetro della funzione della scuola, non in termini difensivi ma progressivi; perché “integrazione” significa concettualmente ed operativamente incontro di diversi e non con-fusione.
“Aula didattica decentrata” ci suggerisce almeno due riflessioni:
1) L’aula come spazio fisico strutturato non coincide necessariamente con un ambiente dell’edificio scolastico, come invece un consolidato immaginario collettivo, ampiamente confermato dall’esperienza, ci induce a pensare. Teniamolo ben presente, in questo particolare frangente in cui i vincoli e le restrizioni del dopo-Covid chiamano in causa uno sforzo comune di ri-progettazione e innovazione sensata.
2) In qualunque contesto materiale collochiamo questo ambiente fisico, nella scuola o negli spazi più ampi del territorio, la sua connotazione essenziale risiede nell’attività di mediazione didattica di cui la scuola e gli insegnanti restano, e a mio avviso devono restare, ESCLUSIVI titolari e responsabili.
Se l’attività didattica propriamente detta viene “ceduta” a soggetti terzi, non siamo di fronte ad un processo di integrazione tra educazione formale e non formale (obiettivo irrinunciabile di qualsivoglia “patto educativo” territoriale) ma ad una interpretazione distorcente del compito di istruzione/educazione che la carta costituzionale assegna in via esclusiva alla scuola. Articolo 34 della Costituzione: “La scuola è aperta a tutti”.
LA SCUOLA, infatti.
Fatta chiarezza su questo punto dirimente, ben vengano le iniziative e le forme di collaborazione sistematica tra le scuole e le agenzie che nel territorio svolgono attività di tipo educativo e culturale. Agenzie, appunto, soggetti del terzo settore, non istituzioni. Leggo documenti articolati ed esaustivi che invito a considerare con grande attenzione. Vorrei trovare, in queste proposte animate da una “vis” pedagogica innegabile, punti chiari e inequivocabili attorno a queste questioni che sto richiamando. Assunti espliciti, per sgomberare il campo da una confusione che non giova certo ad affrontare il difficile passaggio che ci si impone, e a sostenere l’interlocuzione con i decisori politici. I quali, per inciso, sembrano ad oggi navigare a vista, indecisi a tutto.
La privatizzazione a me sembra il principale nodo politico di questa tematica: insidia da troppi anni il sistema pubblico di istruzione, veicolata da processi strutturali che hanno investito il nostro sistema produttivo e le forme di organizzazione sociale. Non vorrei (nel senso che temo fortemente) che lo spazio aperto dall’emergenza Covid-19 che ha colpito in pieno la scuola fosse un capitolo ulteriore, e definitivo, di questa “lunga marcia” cui assistiamo da tempo.
Per questo guardo con molta preoccupazione all’assenza di interventi governativi di tipo strutturale, quali quelli da più parti sollecitati, all’incertezza che continua a dominare le prospettive di riapertura dell’anno scolastico. Combinate con una ambigua o fin troppo allusiva progettazione di un malinteso rapporto tra la scuola e le altre risorse del territorio, preparano scenari di rilevante gravità per il presente e il futuro del sistema pubblico di istruzione.
Attenzione, il rischio è più che un’ipotesi: la “torta” delle risorse finanziarie destinate alla scuola è limitata, ma gli appetiti dell’universo che le gira intorno sono tanti.