Veneziani, un pensatore che ha un debole per i presidi. E ce lo racconta
Non è da tutti rendere esplicita la propria identità culturale in poco più di quattro righe. E farlo senza ambiguità e camuffamenti.
E non è da tutti, perché non tutti possono vantare, come fa lui sul suo blog[1], qualifiche di scrittore, giornalista, polemista e grossista (nel senso che le spara grosse: ci sta), oltre che di intrattenitore e, soprattutto, pensatore.
Anche pensatore, pensate.
Se ancora non l’aveste dedotto, si sta parlando di Marcello Veneziani (EmmeVu, per gli amici) e del suo ultimo pezzo di bravura, Presidi e bidelli espulsi dalla video-scuola – da qualche giorno sul suo blog –.
Nel quale pezzo riprende e approfondisce da par suo il tema della clandestinità e inutilità soprattutto dei capi di Istituto (‘cripto-presidi’ li definisce) in questa fase della “video-scuola”, causa pandemia.
Non so chi gli ha fornito questo tipo di informazioni; comunque, meglio mettersi il cuore in pace: essendo lui anche un polemista creativo, non lo si può neanche denunciare.
Probabilmente – si mormora in giro, ma non si sa con quale fondamento – ha voluto far satira, con venature umoristiche, per far colpo soprattutto la sua nuova fidanzata – una prof. che per questo lo apprezza incondizionatamente.
Eccovi comunque il passo:
“Ho una personale statistica sui cripto-presidi incontrati in questi ultimi anni: 4 su 5 meridionali, 4 su 5 di sinistra, 4 su 5 incapaci.”
E chiarisce: 1.“La loro etichetta di sinistra la capivi dopo due frasi, quasi come la loro inflessione meridionale, oltre al cognome; 2. la loro idea della scuola e il loro spessore erano subito chiari; 3. Tra i migliori conosciuti, un preside cieco, che usava un docente come cane lupo, e una preside paralitica, in carrozzella, ambedue del sud: i più validi erano due invalidi.”
Uno può obiettargli: – Ma ce l’hai con i presidi?”
Chi pensa così sbaglia di grosso. E infatti lui ci tiene a chiarire subito. “…ho un debole per loro. Perché mio padre era preside…”.
Un preside di una volta, ovviamente; di quelli, sembra di capire, dei quali si è rotta la macchinetta: autorevole, superprofessore, umanista, educatore. Tanto che uno si chiede: – E il figlio Marcello, per come pensa e scrive? Come si spiega? Qualche trauma di cui è stato inconsapevole causa? O addirittura consapevole e quindi colpevole? Oppure è il caso di uno schiribizzo della natura? E lui, poverino, non ha potuto farci niente? Indagare.
Comunque, sembra accertato: Marcello non ce l’ha con i presidi come categoria. Lui distingue. E infatti – sembra di capire – nella lista dei ‘no bbuon’, ci mette quelli che sarebbero l’opposto di suo padre; cioè: i meridionali, quelli di sinistra, gli incapaci.
A questo punto, per non arrivare subito a giudizi affrettati, bisogna sempre ricordarsi che lui è un intellettuale e, per giunta, un pensatore: non ama le generalizzazioni, come è giusto. E infatti ne salva, per ciascuna delle tre categorie, 1 su 5.
Ma è troppo – sembra gli abbiano detto gli amici del suo giro (a destra).
Non però la sua nuova fidanzata – quella di prima -: che apprezza la di lui umanità e sempre la di lui assenza di pregiudizi. Ed EmmeVu sta giustamente con lei. Non cede cioè, da pensatore, a quel che pensano i suoi amici.
Qualcuno dovrebbe rendergliene merito.
Nella sua considerazione pensosa sulla lista variegata, introduce poi una ulteriore criterio classificatorio (come ogni pensatore, è chiaramente un analista), suggeritogli, questo, dalla figura del suo preside, quand’era liceale, che si dovrebbe, a ragion veduta, definire sollazzevole.
“Il nostro preside – sempre testuale – era pure la nostra ricreazione. Interrompeva le lezioni e arrivava lui a cantare le canzoni napoletane. Si faceva precedere dalla bidella che portava in classe la chitarra, e tra noi scoppiava l’euforia. Poi veniva lui e tra lezioni di latino e dialetto locale, ci infilava le canzoni del repertorio classico napoletano. Un sollazzo.” Un simpaticone, quindi. Una vera, autentica macchietta. Un quadretto di sapido colore partenopeo, per dirla elegante: napoletano piacione e ovviamente canterino.
C’è – evidente, per come il quadro è pennellato – tutto l’intellettuale superiore agli stereotipi, che sa quel che dice e lo dice in tutta sincerità e senza pudore. Ammeterete che ce ne vuole. E lo dice, il pensatore, quasi invogliandoci a trarne sollazzo come fa lui. Ma capite?
Cosa pensare alla fine della sua identità culturale? per riprendere la categoria da cui siamo partiti. Mah!
Personalmente eviterei solo conclusioni affrettate – che sarebbero ovvie -: qui ci troviamo, ve ne sarete accorti, di fronte ad un intellettuale rigoroso e per giunta pensatore.
Comunque, fate voi.