Per un piano nazionale contro l’analfabetismo funzionale
e per l’apprendimento permanente
di Fabrizio Dacrema
Dopo la pandemia non c’è futuro per una paese con 11 milioni di analfabeti funzionali, a meno che non ci si rassegni a una società più povera, disuguale e autoritaria.
Le stesse nuove politiche sanitarie post covid centrate sulle capacità di prevenzione (telemedicina, informazioni su contagi, tracciamento, responsabilizzazione dei cittadini) incontreranno gravi difficoltà a causa dell’ampia fascia di popolazione penalizzata dal digital divide e in condizioni di analfabetismo funzionale.
L’analfabetismo funzionale è incompatibile con le politiche per la ripartenza
Ciò vale in particolare per la popolazione più a rischio, la fascia di età over 65, dove gli analfabeti funzionali e digitali sono più della metà. La maggioranza delle persone anziane dovrà rassegnarsi a una vita inattiva e dipendente? Quale sistema di welfare potrà reggere i costi assistenziali derivanti dal crescente invecchiamento della popolazione destinato a generare una massa enorme di persone marginali, passive e sempre più bisognose di assistenza domiciliare ?
Anche dal punto di vista economico la ripartenza italiana dovrà fare i conti con un sistema produttivo a crescita zero da oltre un ventennio, perché povero di innovazione e conoscenza, e ora messo in ginocchio dalla crisi da covid. Senza una strategia di innalzamento delle competenze della popolazione attiva non sarà possibile puntare su digital e green economy che produrranno nuovi e buoni lavori se le persone saranno in grado di sviluppare le proprie potenzialità cognitive.
La pandemia, inoltre, ha posto ancora più al centro dell’attenzione il tema della sorte della democrazia nella globalizzazione. Yuval Noah Harari nel saggio “Il mondo dopo il coronavirus” ricorda come le emergenze facciano avanzare rapidamente i processi storici e come le alternative tra grande “Grande Fratello” e “più potere ai cittadini”, tra autoritarismo e civismo, tra isolamento nazionalista e solidarietà globale, siano sempre più attuali. La vicenda politica italiana ha già evidenziato il ruolo determinante dei bassi livelli di competenze (in Italia il doppio della media Ocse) nella popolazione adulta nella diffusione di populismi e sovranismi. Cosa che non può non allarmare di fronte al prossimo prevedibile ulteriore aumento di impoverimento, rabbia e ansia per il domani su cui faranno leva le campagne populiste tese ad alimentare paure e odio verso i diversi e a esaltare l’autoritarismo nazionalistico.
La politica è di fronte, sempre citando Harari, “a scelte oggi che potranno cambiare le nostre vite negli anni a venire”: le politiche per l’apprendimento permanente e per il miglioramento delle competenze dei cittadini sono fra queste.
Le scelte per la ricostruzione: l’apprendimento permanente tra le priorità
L’indifferenza politica nei confronti del deficit cognitivo italiano non è più possibile. Se non lo affronteremo non riusciremo a realizzare le politiche socio-sanitarie necessarie alla vivibilità della società post covid e alla sostenibilità del welfare. Perderemo larga parte del nostro sistema produttivo obsoleto senza riposizionarci nelle filiere più innovative dell’economia, ci impoveriremo e aumenteranno le disuguaglianze tra la minoranza di high-skilled con professionalità competitive a livello internazionale e low-skilled destinati alla gig-economy e al precariato, diventeremo un paese sempre meno europeo e sempre più chiuso, autoritario e nazionalista.
Cambiare rotta è indispensabile: riforme strutturali, cittadinanza attiva, apprendimento permanente sono le direttrici da seguire per salvarci da questo incubo.
Dall’Europa, con il Recovery Fund, arriverà una quantità davvero consistente di risorse (173 miliardi di cui 81 a fondo perduto) che si aggiungerà a quelle nazionali e a quelle della nuova programmazione 2021-27 dei Fondi Europei: un’opportunità epocale da non sprecare distribuendo denaro a pioggia o, peggio ancora, non riuscendo a spendere.
È urgente un grande dibattito pubblico e un patto tra istituzioni, parti sociali, enti locali per riuscire a spendere tutte le risorse disponibili, selezionare gli investimenti e realizzare le riforme strutturali necessarie allo sviluppo del paese: digitalizzazione, ambiente, educazione, infrastrutture.
Le politiche per l’apprendimento permanente giocano un ruolo cruciale: un piano contrastare l’analfabetismo funzionale e digitale e la costruzione di un sistema integrato per garantire il diritto al lifelong learning sono indispensabili per la ricostruzione del paese.
Segnali positivi vengono dal mondo del lavoro dove gli interventi di cassa integrazione verranno associati ad azioni di formative e i sindacati rivendicano un piano nazionale di formazione permanente per la transizione digitale e ecologica. La formazione alle nuove professionalità non può però prescindere da percorsi di miglioramento delle competenze di base per tutti quei soggetti in stato di analfabetismo funzionale. Il paese non può più permettersi di perdere altre occasioni come è accaduto con il reddito di cittadinanza che, privo di condizionalità formative, non ha investito la consistente dotazione finanziaria disponibile per contrastare la principale povertà, quella educativa.
Una strategia per le competenze
Secondo l’ultima indagine Ocse-Piaac il 28% della popolazione italiana tra 16 e 65 anni è analfabeta funzionale contro una media Ocse del 15,5%. Essere analfabeti funzionali significa essere privi delle competenze indispensabili per vivere e lavorare oggi, significa incontrare grandi difficoltà a leggere, scrivere, fare semplici calcoli, usare un computer o uno smartphone, risolvere problemi della vita quotidiana. L’analfabetismo funzionale è oggi il principale degli ostacoli che, secondo la Costituzione, la Repubblica deve rimuovere perché “limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
L’Unione Europea, già dal 2016 con la Raccomandazione “Upskilling Pathways” ha indicato l’obiettivo di garantire agli adulti “low-skilled” l’accesso a percorsi di miglioramenti per acquisire un livello minimo di competenze alfabetiche, matematiche e digitali, puntando a raggiungere una qualifica o un diploma.
In Italia nel gennaio 2018 si è tenuta una Conferenza nazionale organizzata dal Ministero dell’istruzione su proposta del Gruppo Nazionale per l’Apprendimento Permanente di cui fanno parte i sindacati confederali, il Forum del Terzo Settore, le Reti dell’istruzione scolastica e universitaria per gli adulti (Ridap, Ruiap, Edaforum). La Conferenza si è conclusa con la proposta rivolta all’intero Governo, ai Ministeri competenti e alla Conferenza delle Regioni di un Piano Nazionale di Garanzia delle Competenze. Purtroppo i Governi della nuova legislatura, iniziata pochi mesi dopo, hanno ignorato questa proposta che, dopo due anni, è ancora affidata a tavoli di elaborazione tecnica.
Di qui l’Appello lanciato dal Gruppo Nazionale per l’Apprendimento Permanente per un piano strategico di innalzamento delle competenze: le risorse ora ci sono, manca la decisione politica.
Il successo del Piano dipende dall’efficacia di alcune azioni. Occorre, innanzi tutto, promuovere la partecipazione con campagne di sensibilizzazione, introducendo condizionalità e conti individuali di formazione, rimuovendo gli ostacoli di tempo e di spazio attraverso congedi/permessi formativi e la formazione a distanza. È importante anche la definizione chiara dell’esito di apprendimento dei percorsi: un pacchetto essenziale di competenze di base e trasversali, una sorta di passaporto per la cittadinanza attiva, utile anche come riferimento per la personalizzazione dei percorsi sulla base della valutazione delle competenze possedute in ingresso. Infine, il sistema della certificazione delle competenze, finalmente avviato anche in Italia, deve essere implementato sviluppando i servizi territoriali: il riconoscimento e la spendibilità degli apprendimenti realizzati nella vita attiva e nei percorsi non formali di apprendimento rappresenta, infatti, una delle più forti motivazione per continuare a imparare.
Un piano di questa portata può riuscire se riconosce il ruolo essenziale dei soggetti del Terzo Settore, le organizzazioni di cittadinanza attiva che, come ha messo in luce l’emergenza sanitaria, sono decisive nello stare accanto ai più vulnerabili e nel coinvolgere le fasce più deboli della popolazione.
Alle istituzioni locali il compito di organizzare reti per l’apprendimento permanente finalizzate al contrasto dell’analfabetismo funzionale e digitale, fondate sull’alleanza tra i contesti di apprendimento formali dell’istruzione degli adulti e quelli non formali del terzo settore.
Queste esperienze di partnership progettuale potranno rappresentare anche un primo nucleo stabile per la costruzione delle Reti territoriali, previste dalla Legge 92/2012 per garantire a ogni persona il diritto all’apprendimento permanente.
Un diritto al centro del “sogno europeo” che, ancor più oggi nel mondo post pandemia, continua a rappresentare l’unica utopia concreta alternativa agli incubi populisti e sovranisti.