- “Pensare è andare da un errore all’altro”(Alain);”Lo spirto scientifico si costruisce su un insieme di errori rettificati”(G.Bachelard).”Se gli uomini sono i soli a poter fare gli errori, sono anche i soli a poterli correggere”(G.Le Boterf).
- Di simili citazioni se ne possono raccogliere tante altre, ma a scuola anche nei momenti drammatici che stiamo vivendo e che dovrebbero indurre a ripensare tutte le procedure di valutazione, per darle un senso che faccia presa sulla realtà effettuale del lavoro svolto, non mancano gli insegnanti per i quali gli errori nei compiti, le carenze e i limiti di preparazione sono una colpa di cui si deve rendere in qualche modo conto e di cui si deve pagare pegno. Altrimenti non ci sarebbe più serietà. Soffermiamoci sugli errori, fatto salvo l’impegno degli studenti.
- L’errore diventa imperdonabile solo in un contesto in cui la conoscenza non è ricerca personale, volontà di capire e risultato del dibattito e del confronto di opinioni e di teorie, ma trasmissione vincolante e dogmatica di saperi pre-costituiti; l’errore è imperdonabile dove il rapporto educativo non è fondato sul dialogo, ma sull’obbedienza ad autorità dichiarate indiscutibili; dove non si crea, ma si ripete; dove non si parla, ma si deve solo ascoltare.
- Se l’alunno non è il vaso da riempire, ma il soggetto autonomo che deve fare in proprio il cammino che porta alla conoscenza, l’errore può diventare uno strumento straordinario per insegnare a ragionare. Bachelard affermava che una buona didattica delle discipline tenta di comprendere gli errori, prima di condannarli e combatterli.
- Perché, allora, nell’accresciuta consapevolezza pedagogica del significato dell’errore a scuola si fa fatica a cambiare registro? Credo che giochi a favore di questo stato di fatto il convincimento che per quanto riguarda le superiori debba essere mantenuto il valore legale dei titolo di studio, che in qualche modo è incline alla logica oggettivistica della misurazione e alla pretesa di rilasciare certificazioni corrispondenti alla reale preparazione posseduta da una persona al termine di un tratto o di tutto il percorso di formazione .La valutazione a scuola, però, non può fermarsi alla logica giudiziaria della prova;valutare non vuol dire istituire il tribunale delle colpe e degli errori con tutto il corredo di drammatizzazione, di stress, di angoscia( Ph.Perrenoud). Gli insegnanti non possono essere ridotti al ruolo di contabili dei punti e degli errori; sono e devono essere le guide del processo di formazione dei propri alunni, di cui devono comprendere gli ostacoli e le resistenze ad esso frapposti. Gli alunni non sono dati da giudicare, ma soggetti da conoscere, da capire e da ascoltare, perchè hanno una storia cognitiva da raccontare. Solo nelle pratiche di una valutazione che vuole essere formativa trova una soluzione pedagogica soddisfacente la gestione degli errori e dei limiti di apprendimento. Con accurata strumentazione diventano un’opportunità per la regolazione del processo di formazione, perchè danno informazioni all’insegnante sul grado di padronanza raggiunto da un alunno e sulle difficoltà che incontra.
- La valutazione formativa non ha come oggetto diretto il risultato scolastico, anche se a suo modo se ne cura, ma la relazione pedagogica del processo formativo, che viene valutata per poterla migliorare, in modo che l’alunno sia aiutato a identificare, a superare le sue difficoltà e a progredire. “La valutazione formativa mira a consentire all’alunno di sapere perchè è riuscito in un caso e non in un altro(…).L’obiettivo di questo tipo di valutazione è in effetti di confrontare l’alunno con se stesso e di aiutarlo a compensare le difficoltà identificate da lui e per lui” (A.De Peretti). Andare verso la valutazione formativa significa rinunciare a fare della selezione il nodo permanente del rapporto pedagogico. La valutazione formativa non ha una vocazione selettiva e in qualche modo suggerisce di sostituire una relazione cooperativa ad una relazione potenzialmente conflittuale tra alunni e docente.
- La valutazione formativa dovrebbe esercitarsi soprattutto sugli alunni in difficoltà; è funzionale alla differenzazione dell’insegnamento per un’educazione su misura. La buona valutazione è quella che suscita motivazione ad apprendere; è quella che valorizza lo sforzo e il superamento delle difficoltà e degli ostacoli; è quella che non tende a sorprendere in fallo e non demonizza gli errori.
- Nelle operazioni di valutazione convivono naturalmente sia l’intenzione della misurazione, per gli esiti pubblicistici di cui si è parlato, sia l’intenzione dell’interpretazione che si realizza nel giudizio di valore. Intenzioni che allo stato di fatto esistono e che bisognerebbe saper conciliare, perchè danno consistenza al significato della valutazione. Bisogna saper conciliare la prospettiva dell’aiuto e della regolazione con quella del riconoscimento sociale degli apprendimenti, dell’attestazione e della certificazione.
- Nei fatti si registra un’oscillazione costante tra una concezione democratica della valutazione ,inclusiva e a sostegno delle pari e migliori opportunità per tutti ,e una concezione elitista ,formalmente meritocratica,ma funzionale alla riproduzione delle distanze sociali esistenti ad un certo momento della storia della società. “Altro è la selezione, altro è volere che le persone apprendano ad agire con efficacia,permettendo di riflettere se sono stati ottenuti gli effetti voluti.”(G.Le Boterf) . Per preservare la dimensione educativa della valutazione è necessario considerarla come l’operazione che assume il proprio significato nel dare un valore, nel valorizzare il lavoro,l’impegno, la prestazione degli alunni.
- “Bisogna spostare il senso ultimo dell’attività valutativa dalla polarità del controllo e della sanzione, a sostegno di una logica premiale o punitiva, a quella della ricerca e sostegno dell’innovazione” (M.Ambel). Verrà il giorno in cui prove e valutazione non saranno considerate con timore e terrore?