Contro la lezione frontale, per l’apprendimento cooperativo
Per come è stata la storia della scuola italiana, nessuno metterà in questione l’uso della lezione frontale da parte di un insegnante.
Per quanto questi sia un fuoriclasse, non credo però che possa riuscire a far partecipare TUTTI i suoi allievi in modo attivo e soddisfacente, cioè per un tempo realmente significaticvo sul piano dell’apprendimento, se si limita a fare fa lezione frontale .
Per una questione di tempo.
Con questo obiettivo riesce invece l’apprendimento cooperativo, con quella che Kagan chiama interazione simultanea: nei piccoli gruppi TUTTI non solo POSSONO ma DEVONO parlare e lo fanno in contemporanea, ciascuno all’interno dei suo piccolo gruppo.
Alla fine dell’ora di lezione tutti sono stati attivi e lo sono stati per un tempo significativo, almeno dai 5 ai 10 minuti, a seconda se il gruppo è composto da 2, 3 o 4 studenti. Nel contesto della lezione frontale in genere parla solo qualcuno quando fa una domanda e il prof, per forza di cose, può al massimo limitarsi a far provare a rispondere o chiedere che ne cosa ne pensa a solo a qualche altro prima di intervenire lui.
Nello stesso tempo in cui parlano questi pochi, in una classe di 30 oraganizzata in gruppi di 3 sono 10 persone che possono provare a formulare ciò che hanno capito o a far domande o a dare risposte ai compagni. E hanno a disposizione per fare questo non solo qualche minuto ma almeno sei-sette minuti a testa. E non solo ascoltano e prendono appunti (quando va bene) come nella lezione frontale, ma fanno anche tante altre cosine: leggere, parlare, usare il linguaggio in funzione esplorativa (che è la forma fisica del provare ad apprendere, soprattutto quando si ha a che fare con discipline che implicano un linguaggio specialistico come le sue) in una situazione reale come è l’insegnare ai compagni, discutere, provare a formulare la propria comprensione, provare a riformularla se i suoi compagni non l’hanno capito), porsi e sentirsi porre domande, domande e provare a dare e a darsi risposte.
E questo non per un paio di minuti al giorno ma per gran parte delle ore che si passano a scuola.
Se è lezione frontale, sarà l’insegnante a parlare più di tutti e alla fine la maggioranza degli studenti o impara attraverso l’ascolto o non impara. Imparare solo attraverso l’ascolto spesso non arriva alla comprensione profonda, che ha bisogno di molte altre operazioni, e si ferma alla memoria. Imparare attraverso la molteplicità di operazioni che si compiono nel lavoro in piccoli gruppi cooperativi delinea un modello di apprendimento molto più complesso ma paradossalmente brain friendly, perché in fondo fondato sul tentativo e la verifica del tentativo, la prova e l’errore.
Credo che la massima attribuita a Confucio colga nel segno quando recita: “Se ascolto, dimentico”, “Se ascolto e vedo, ricordo poco”, “Se ascolto, vedo e pongo domande o discuto con qualcun altro, comincio a comprendere”, “Se ascolto, vedo, discuto e faccio, acquisisco conoscenza e abilità”, “Se insegno a un altro, divento padrone”.
Certo non è colpa degli insegnanti se i documenti ministeriali in fondo in fondo sottendono il tipo di studente che impara con la fretta e la superficialità che in molti lascia la lezione frontale. Ma certo non fa tanto onore a chi fa l’insegnante il fatto di continuare a pensare per un’intera carriera che al modo di apprendere implicato dalla lezione frontale non esista alternativa.
Il segreto delle didattiche non trasmissive e non frontali è che mettono gli studenti in condizione di fare una notevole quantità di operazioni per l’apprendimento (non solo l’ascolto) e che alla fine tutti sono messi in condizioni di insegnare qualcosa agli altri in modo da diventare REALMENTE PADRONI di quello che studiano per insegnare ai compagni.
William Glasser ha formulato questo punto in un modo ancora più chiaro, quantificando: “Noi impariamo il 10% di ciò che leggiamo; il 20% di ciò che ascoltiamo; il 30% di ciò che vediamo; il 50 % di ciò che insieme ascoltiamo e vediamo; il 70% di ciò che è discusso con altri; l’80% di ciò che sperimentiamo di persona; il 95 % di ciò che insegniamo a qualcun altro”