Innovazione, didattica e valutazione
La scuola italiana è entrata dentro un’emergenza pandemica di carattere mondiale e ha dovuto accelerare sull’innovazione didattica e metodologica molto al di là di quanto avrebbero permesso le forze presenti nel sistema dell’istruzione italiano.
E’, dunque, importante comprendere come l’innovazione richiesta dalla Didattica a distanza, dalla Valutazione senza possibilità di bocciatura o di sospensione del giudizio, dalle ipotesi che si susseguono di giorno in giorno senza piani di attuazione strutturali che riguardino l’edilizia e la connettività, sia entrata a regime, senza alcun periodo di sperimentazione. Inoltre non c’è stato neppure alcun precedente “stress test”, che abbia potuto permettere di verificare lo stato dell’arte in una situazione senza eguali.
C’è stata una grande improvvisazione nazionale, che ha dato esiti nel suo complesso molto positivi, ma sempre dentro scelte di carattere empirico e non legate a ricerca e innovazione didattica.
Alcune scuole sono già molto avanti nella Didattica a distanza, nella connettività, nell’integrazione del web nel curricolo: ma queste scuole sono poche e soprattutto sono del secondo ciclo. Far guidare l’innovazione di tutto il sistema dell’istruzione da esperienze forti del secondo ciclo significa solo creare un ulteriore sbilanciamento nel sistema stesso.
L’innovazione, per sua natura, richiede tempo e verifiche sul campo, ricerca-azione e protocolli analitici, mentre noi siamo entrati nell’innovazione didattica e metodologica dall’oggi al domani, senza una preparazione, senza un supporto di sistema, ma anche senza contratti del personale, senza un quadro di rifermento nazionale, senza termini di confronto con esperienze simili. Per cui è necessario dire che il sistema scolastico italiano ha reagito benissimo, ha retto come non sarebbe stato prevedibile e, soprattutto, ha mostrato sensibilità, competenze nascoste che sono improvvisamente emerse, senso del dovere, senso dello stato. Da un lato c’è stata un’innovazione imposta da un’emergenza storica ed epocale, dall’altra una risposta attiva di un sistema che è stato scosso, ma che non si è mai arreso.
Credo che di tutto questo si debba tenere conto, riconoscendo soprattutto ai docenti e agli studenti qualità di empatia e impegno molto alte, che dovranno essere potenziate da dosi massicce di competenze tecniche e valutative quando tornerà una situazione normale. E’ necessario stare molto attenti, però, a maneggiare l’innovazione con cura, a non fare salti in avanti, a rendersi conto di come le scuole abbiano imbastito la Didattica a distanza senza stress test, senza procedure verificate, senza competenze certificate, senza connettività certa, senza sicurezza della recettività anche da parte degli studenti più deboli. Il sistema scolastico, dopo questa emergenza, ha bisogno di mutamenti strutturali che lo modifichino nella sostanza. Ad esempio la scuola per piccoli gruppi non può essere realizzata con una parte di studenti in classe e una parte a distanza (anche perché vista l’edilizia scolastica il concetto di distanza in presenza diventa vago in rapporto alle singole situazioni strutturali), ma deve prevedere una revisione totale della organizzazione degli studenti, che deve avvenire per gruppi e non per classi. Questo vuol dire rivoluzionare gli organici, la struttura delle classi, la struttura degli spazi: cose che non si possono improvvisare in poco tempo. Possiamo farlo nell’emergenza? Io credo di no, perché il sistema scolastico sottoposto a troppi mutamenti rischia forti criticità potenzialmente irreversibili. A scelte didattiche radicali, vanno affiancate scelte contrattuali e organizzative radicali, altrimenti cadiamo da un’emergenza pandemica a una emergenza innovativa, resa necessaria dalle cose, ma non attuabile in un sistema non governato. Ci deve poi essere un rapporto armonico tra Ministero e Rai scuola, che coinvolga anche le autonomie scolastiche. Chi deve ragionare su questo? Direi il Ministero con tutte le sue Direzioni generali (che magari dovrebbero diventare da strutture di emanazione e controllo a strutture di supporto), i Sindacati, i Dirigenti scolastici, gli Enti Locali. Perché una volta che le innovazioni organizzative arrivano a scuola i docenti dovranno poter progettare in forma collegiale e individuale in base a dati certi e scelte chiare.
DIDATTICA A DISTANZA
E’ naturale che la Didattica a distanza abbia ingenerato molte splendide esperienze e anche qualche confusione. Alcuni paradossi non possono però essere taciuti, perché non costituiscono critica ad un sistema che ha retto benissimo, ma solo elemento di analisi per guardare avanti con lucidità:
– BYOD (Bring Your Own Device). In molte scuole fino al 21 febbraio lo studente che veniva scoperto connesso era punito. In molte scuole si firmavano protocolli per evitare anche di far portare i device a scuola. Una parte di docenti considerava virtuoso lo studente che non si connetteva e la cultura libresca prevaleva su quella del web (su questo bisognerebbe leggere con attenzione quanto in questi anni ha scritto Roberto Maragliano). Ebbene, improvvisamente alcuni insegnanti che mettevano la nota a chi usava lo smartphone in classe adesso vorrebbero mettere la nota a chi non lo usa da casa. Non si può passare dalla repressione del BYOD all’obbligatorietà del BYOD. Bisogna prima fare chiarezza su questo. E questa chiarezza deve essere fatta dalle singole istituzioni scolastiche in un territorio molto complesso e che ha visto ribaltarsi le priorità. Se prima del 21 febbraio c’era l’urgenza di proteggere lo studente dalla connettività ora c’è l’esigenza di accompagnare lo studente dentro la connettività.
– LIBRI DI TESTO. Molti libri di carta stanno da due mesi nelle scuole e la didattica è andata avanti lo stesso. Si è compreso come la Didattica a distanza per sua natura si appoggi al web e alle piattaforma, oltre che alla pubblicistica on line, che è fatta di cose ottime ma anche di cose pessime e che, dunque, necessita della mediazione del docente. Però il rapporto tra scuola italiana e libro cartaceo si è interrotto in maniera traumatica e repentina a fine febbraio. E questa interruzione ha introdotto paradigmi nuovi che vanno esplorati con molta cautela.
– TEMPO SCUOLA. Il tempo scuola prima dell’emergenza era segnato da una serialità semplice legata anche ai trasporti e ai tempi delle famiglie. L’anno scolastico si sviluppava su orari certi e tempi chiari, spesso complicati da seguire, ma comunque legati alla presenza in un edificio di molte persone. Quel tempo però era segnato anche da gite, viaggi d’istruzione, scambi, stage, attività sportive con gare scolastiche, visite a mostre o musei, conferenze, assemblee, assenze di docenti o studenti, ritardi, ecc. Tutto questo è saltato, ma una parte del sistema sta provando a ricreare tutto a distanza, con tempi e orari scanditi in modo reale in un mondo che è diventato irreale. Anche questa è una modifica di cui si dovrà tenere conto, in un anno finito dentro una convivenza che rimane attiva solo grazie al web.
Ho fatto solo tre esempi, ma ce n’è molti altri. La Didattica a distanza non è una didattica sostitutiva di quella in presenza, ma è una Didattica on line che cambia anche quella in presenza, perché cambia radicalmente il concetto di presenza.
Fino al 21 febbraio la presenza è stata per tutti una presenza di gruppo (salvo nelle splendide esperienze della Scuola in ospedale), mentre nella Didattica a distanza la presenza è una solitudine davanti ad uno schermo, che improvvisamente è diventata didatticamente sociale. Ripensare e riprogettare tutto questo non è cosa da poco, soprattutto se ci si dovrà rapportare a piccoli gruppi e non alle classi intere. In ogni caso un’integrazione tra didattiche sarà necessaria e dovrà essere ponderata, perché molte cose che facevamo in presenza ora le faremo per sempre a distanza. Una lezione frontale di un’ora può anche essere goduta o subita quando lo si ritiene opportuno, perché a quel punto, quando si è presenti sia in classe sia sul web, è meglio parlare di ciò che si è già ascoltato. Il web deve creare integrazione, perché permette una trasmissività non legata alla presenza.
LA VALUTAZIONE NON E’ UNA MISURAZIONE
La scuola italiana tende da sempre a confondere Misurazione, Valutazione e Certificazione. I tre vocaboli non sono affatto sinonimi e la media matematica è sempre una misurazione. Sorprende, ad esempio, che il ministero non tenga conto di quello che viene detto da varie persone di scuola molto illuminate (cito solo Giancarlo Cerini, Cinzia Mion, Franca Da Re e l’Andis) e non eviti in questa fase di obbligare le scuole primarie ad attribuire i voti numerici alle materie. Questo sarebbe il momento di uscire da una docimologia che andava stretta alle scuole primarie anche prima della pandemia. Credo in ogni caso che le scuole primarie possano rendere leggera la valutazione alla fine di quest’anno anche attraverso meccanismi comunicativi gestiti in autonomia, che vadano oltre il registro elettronico coi voti e il complesso giudizio analitico, che dovrebbe descrivere l’andamento dell’alunno e invece molto spesso è una difficile lettura per famiglie che alla fine si mettono a contare le valutazioni trasformandole in misurazioni. E’ necessario affiancare a questo strumento tecnico anche un qualcosa di descrittivo ed empatico che resti nella mente e nel ricordo dei bambini e che suggelli questo periodo difficile con le maestre lontane. Ai docenti dell’Istituto comprensivo che dirigo ho proposto un disegno fatto da loro e personalizzato per ogni bambino, che sintetizzi l’anno e lasci un ricordo. Non un disegno fatto dall’alunno per la maestra, ma un disegno fatto dalle maestre per l’alunno. Quella sarà la pagella aggiuntiva, che penso molti bambini appenderanno in camera.
Al di là dell’empatia va detto che la scuola italiana, confondendo misurazione con valutazione, può fare il grande errore di valutare gli studenti attraverso le misurazioni della Didattica in presenza (compiti in classe ed interrogazioni) trasferite dentro la Didattica a distanza. Soprattutto nel secondo ciclo questo altererebbe il sistema di valutazione complessivo (messo in sicurezza dal Ministero dai “colpi di testa” di chi avrebbe comunque voluto bocciare anche dentro una pandemia), perché la misurazione per sua natura tende ad aiutare i migliori (che hanno molto bisogno di misurazioni) e a penalizzare i ragazzi più deboli (che vengono mortificati dalle misurazioni standard al di là della loro debolezza). Citerei, come esempio, tre elementi utili per valutare la Didattica a distanza: il colloquio colto (cioè il colloquio tra soggetti che condividono determinati specialismi), i compiti di realtà (connessi alle competenze tecniche, al rapporto con quello che gli studenti vivono, a ciò che può essere traslato dalla teoria alla pratica), la pluridisciplinarietà attraverso argomenti di vasta portata che amplino l’orizzonte culturale dello studente e richiedano argomentazione e non ripetizione.
Chi continuerà a misurare i prodotti (compiti e interrogazioni) in questa fase semplicemente commetterà un errore più grave di quelli già commessi in passato. Quello che è cero è che la misurazione per lo studente di livello medio alto o alto è un elemento di valorizzazione, mentre per lo studente debole è la strada maestra per la dispersione. Misurare in questa emergenza è dunque un errore, ma per valutare bisogna aver compreso appieno gli elementi cardine della valutazione, che attengono al rapporto empatico del valutatore col soggetto valutato, ad una comprensione del reale valore aggiunto dalla scuola (formale) e dalla realtà (non formale e informale) nel processo di apprendimento dello studente, ad un’attenzione per i percorsi culturali personalizzati. Tutto questo è visibile anche dentro problem solving, problem posing, analisi sistematiche di dati e notizie. Il luogo della valutazione deve essere messo a contatto con strumenti qualitativi e flessibili, non con rigide prove basate su standard autoreferenziali.
Non c’è dubbio che nella formazione dei docenti ci sono buone o ottime competenze specialistiche e una notevole empatia didattica e pedagogica, ma la valutazione non è stata studiata dai docenti e tra i loro obblighi non c’è quello di formarsi sui migliori modelli di valutazione. Tutta colpa dei docenti, dunque? Direi proprio di no: genitori, studenti e società civile sono molto più lontani della scuola dal concetto di valutazione. Nessuna categoria vuole farsi valutare e infatti davanti a qualunque proposta valutativa scatta il richiamo al detto di Giovenale Quis custodiet ipsos custodes? E in quel “Chi controlla i controllori” è già specificato che la valutazione non si farà. La società civile (genitori e studenti) si sentono più al sicuro dietro misurazioni standardizzate e autoprodotte in modo artigianale, perché comunque ritenute meno arbitrarie e volubili. E questo è uno dei punti deboli del sistema dell’istruzione. Ma il Ministero e noi Dirigenti non abbiamo investito come avremmo potuto e dovuto sulla cultura della valutazione e sulla formazione alla valutazione (anche nostra). Quindi è tutto il sistema a doversi riaddentrare dentro questo elemento della pedagogia, per slegarlo da una docimologia rigida e inefficace.
In questa fase innovativa ed emergenziale una misurazione che si traveste da valutazione può diventare un peso e consegnare troppi studenti dentro una fotografia errata. E’ necessario avere ben chiaro che in una didattica nuova e sconosciuta bisogna avere sempre il polso della situazione, per aprirsi verso il prossimo anno scolastico che sarà pieno di incognite. In questo ultimo mese di scuola bisogna rallentare la didattica, ampliare gli stati di conoscenza ed empatia, analizzare competenze e valutare progressi, mettere in sicurezza gli studenti bravi e meno bravi che non devono essere coinvolti in un finale d’anno con compiti e verifiche, anche al fine di individuare le sacche di debolezza del sistema da sottoporre a rinforzo, con proposte anche estive di supporto, tutoraggio, recupero.