La scuola “normale” è la grande “malata” e va cambiata
Il documento a firma di Italo Fiorin e altri esperti pone una serie di questioni che riguardano la scuola “normale” , quella di prima del covid.
La scuola dell’emergenza (cosa ben diversa dalla DaD) ha solo agito da lente di ingrandimento: in essa non vedo indicazioni innovative, men che meno la “classe rovesciata”; l’unico dato positivo è l’impegno di quella parte di insegnanti (solo una parte) che ha cercato, con approssimazioni progressive (non improvvisando “a muzzo”) soluzioni da adeguare alla situazione per mantenere un contatto significativo con gli allievi, anche sul piano dell’apprendimento.
Sono gli insegnanti che stanno “pensando”, per modificare e verificare il proprio agire in una realtà sconosciuta (qualcuno anche con i pochi colleghi più vicini, sparita già prima l’idea stessa di collegialità); moltissimi altri si sono solo buttati a capofitto sulle piattaforme, continuando imperterriti a praticare la distanza già presente in classe.
Se si vuole “sfruttare l’occasione” per individuare percorsi di rinnovamento pedagogico e didattico (diverso dall’innovazione oggi sulla bocca digitale di troppi) della scuola della relazione educativa e dell’apprendimento significativo ed emancipante, occorre avere il coraggio e la capacità (volontà squisitamente politica) di interpellare e coinvolgere gli insegnanti del primo tipo (quelli pensanti per orientarsi nell’approssimazione) in un grande confronto collettivo di esperienze e riflessività; da cui trarre “modelli” sensati e potenzialmente condivisibili su larga scala, non solo pratiche replicabili secondo l’ottica della disseminazione che non ha dato grandi risultati, se non nell’applicazione pedestre di procedure (un’ottica funzionale alla didattica della distanza, in cui le procedure possono nascondere il vuoto delle scelte metodologiche e culturali).
Ne usciremo solo se rimetteremo le mani sulla scuola “normale”, la vera malata; non se si cercherà di sfruttare gli sconvolgimenti di questo periodo emergenziale, magari per trovare un po’ di spazio all’avventurismo delle “grandi idee” di qualche pensatore individualista, utopista oppure reazionario: tipi già attivi sulla scena di una “ricostruzione radicale”, come se di decenni di sperimentazioni e di costruzione (che in fondo sono alla base, negli orientamenti e nelle persone, delle Indicazioni 2012) non vi sia più traccia.
A margine: agire l’approssimazione consapevole è una delle pratiche più efficaci della didattica delle competenze. Pessimisticamente disponibile, continuo a pensare possibile la discussione e persino non essere proni di fronte al delirio innovativo, che c’entra poco con il “cambiamento”.