Scuola-servizio o scuola-diritto?
Non mi convince affatto l’espressione “servizi alla persona”, che accomuna nel burocratese Sanità e Scuola: non sono “servizi”, sono “diritti”. In più di un’occasione pubblica o in incontri di riflessione ho ritenuto opportuno sottolinearlo. Non è una questione terminologica, ma politica, per ragioni che mi sembrano dirimenti. Il “servizio” si modula seguendo la logica economicista del rapporto costi/benefici. Il “diritto” non è modulabile: o c’è ed è garantito, o non c’è.
Questo passaggio epocale della pandemia, che è ben più di una semplice contingenza, sta dimostrando con drammatica evidenza la stortura di quella impostazione. Servizi tagliati, dunque diritti negati. Parliamo di vite, non di casistica.
I tempi sono maturi per innescare una vasta e articolata riflessione collettiva, “dal basso”, capace di condizionare le scelte dei decisori politici, in quanto libera dalla preoccupazione del consenso, o addirittura del successo elettorale, che da troppi anni affligge e distorce il quadro politico.
In caso contrario, c’è da temere che tutto si riduca ad una gestione dei problemi, senza andare a rimuovere le cause strutturali che li hanno determinati.
Temo in particolare che, nella scuola, di tutto quello che l’emergenza ha sollevato, resti qualche aula o spazio in più (non classi, non tempo scuola, non risorse docenti!) e la didattica a distanza come organizzazione ORDINARIA, parallela ad una didattica in presenza sempre più residuale. Un processo che significa, al suo esito estremo, descolarizzazione. E nel frattempo, una politica di tagli alle risorse umane e materiali, in perfetta continuità con il passato recente e meno recente.
Non bisogna ignorare le difficoltà in cui si stanno dibattendo le scuole e gli insegnanti in queste difficili settimane tutt’altro che concluse. Proprio per il riconoscimento che è dovuto all’impegno profuso, è essenziale che la scuola entri nella sua specifica “Fase 2”: no, non mi riferisco in questa sede al quando e al come riaprire…Mi riferisco piuttosto agli orientamenti che devono caratterizzare il passaggio, in un’ottica di largo respiro e di visione lungimirante.
Da questo punto di vista, le elaborazioni dell’universo culturale e professionale che si muove attorno alla scuola-istituzione, le relative concrete iniziative, sono preziosi strumenti di intervento: tanto più efficaci, quanto più frutto di condivisione e di progettazione partecipata.
Sul punto, ritengo che non sia davvero utile in questa fase dare alle singole scuole le “istruzioni per l’uso”: penso sia piuttosto opportuno assumere iniziative coordinate, volte ad incalzare chi ha responsabilità politiche di governo affinché siano superati in modo generalizzato e strutturale modelli iniqui.
Le diseguaglianze sociali e culturali non sono una scoperta della didattica a distanza, che semmai le ha drammaticamente evidenziate e accentuate. Sono la sfida incessante e sempre aperta, perché non definitivamente vinta, di una scuola che sia davvero a misura dei diritti costituzionali.
Dieci…cento scuole “politicamente corrette” non fanno un sistema politico-istituzionale che sia finalmente ed inequivocabilmente impegnato nel superamento di modelli culturali e pedagogici iniqui. E che persegua l’obiettivo con gli strumenti legislativi di cui dispone. Di questo c’è urgente bisogno.
Se non ora, quando?