Bambini e dottori dopo il Coronavirus

io_noidi Raffaele Iosa

Una previsione facile per la fase 3 del corona virus.
Ci saranno dottori strizzacervelli allupati pronti a vendere per i bambini diagnosi invalidanti e terapie consolatorie e disabilitanti. Avremo ricerche su neuroni specchio intimiditi dal confinamento in casa.
E scoperte genetiche di qualche combinazione nel DNA che diagnosticherà la noia biologica.
E teorie epigenetiche per cui il coronavirus avrebbe modificato il fenotipo dei bambini. Vedrete quante certificazioni da “stress post traumatico” arriveranno. Proprio ai bambini, che invece hanno una resilienza ben migliore di noi grandi. Bambini che sanno distrarsi e giocare con poco. A fronte di genitori narcisi che si attenderebbero dai piccoli manie adultistiche. Ci saranno miracolosi “farmaci del rientro”.
Ci vuole invece l’ I CARE don milaniano (prendersi cura) educativo e non il TO CURE medicale. Vedrete che ci saranno 5 deputati (uno di sinistra, uno di destra, un altro di centro e due di sopra e di sotto) che proporranno una legge per “tutelare” con dispense e compense a gogò bambini affetti da DCC (disturbo da casa chiusa).
Genitori ansiosi a frotte per avere la cartina medica giusta dal titolo “meglio un po’ malato che bocciato”.
Liberiamo i bambini da questi vicini pericoli. Liberi di star bene, di star male, di star così così.




Didattica a distanza. Tecnologie digitali e cambiamenti della Scuola

rete_numeridi Cosimo Quero

L’emergenza Covid 19 sta determinando la continuazione degli studi a distanza, con le nuove tecnologie che consentono le attività scolastiche, limitandone i danni di una sospensione prolungata.

Progressivamente, in Italia, le scuole adottano la didattica online; in tal modo si vanno evidenziando   le carenze di strumentazioni tecnologiche inadeguate o mancanti in numerose istituzioni scolastiche.

E’ necessario, in questa fase emergenziale e, soprattutto per il futuro post coronavirus, una riflessione profonda sui vantaggi e sui pericoli della utilizzazione delle tecnologie digitali, nonché sui profondi cambiamenti da apportare alla didattica “in presenza” e alla organizzazione dell’insegnamento.
Occorrerà riflettere sui tempi di funzionamento della scuola; sui pericoli derivanti da una iperutilizzazione dei mass-media; sulle innovazioni profonde da introdurre nella medesima “didattica in presenza”.
E’ necessario che la Scuola Italiana risolva il problema delle differenti “velocità formative” del sistema (dispersione e ritardi nella formazione) tra il Nord e il Sud e nelle zone periferiche e povere delle grandi città.

La didattica a distanza sta, inoltre, proponendo i limiti di una politica pregressa di sottrazione di fondi per l’educazione e la ricerca; di una mancata valorizzazione della funzione docente; di una formazione in servizio e della carenza di strumentazione tecnologica delle scuole.
Le tecnologie digitali propongono la riorganizzazione dell’insegnamento, la riflessione sui tempi, un modo nuovo di utilizzazione dei docenti.
Si pensi ad una utilizzazione delle competenze docenti “specializzate” anche al di là delle classi; ad una revisione profonda dei programmi di insegnamento tramite le nuove tecnologie.
L’Italia deve finalmente proporsi di superare le insufficienze del sistema formativo che emergono anche dalle ricerche valutative internazionali.

Noi proporremo due contributi nella direzione di quanto sin qui affermato, relativi alle opportunità che le tecnologie digitali offrono e ai rischi che un uso inappropriato delle stesse comporta.

LA DIDATTICA A DISTANZA

Occorre precisare, per quel che riguarda l’insegnamento a distanza, che non può ridursi ad una mera assegnazione di compiti, ma deve arricchire l’insegnamento con forme di comunicazione semplici che propongano attività di apprendimento attive da parte degli allievi.
E’ vero che viene a mancare l’interazione “in presenza”, che la valutazione diviene più complessa; ma il rapporto diretto con i docenti può ugualmente mantenersi, come sta in parte già avvenendo, con intensificazione affettiva dei rapporti docenti-alunni.
Va riconosciuta ai nostri docenti una nobile vicinanza emotiva con i loro allievi, ed uno sforzo didattico notevole anche a fronte di una carenza strutturale e di dotazioni tecnologiche delle istituzioni scolastiche.

Intanto è urgente la ricerca di tutti gli alunni che non sono nelle condizioni di seguire le lezioni a distanza che si stanno proponendo, per non aggravare le disuguaglianze educative e gli svantaggi determinati dalle condizioni socio-economiche delle famiglie.
A superamento avvenuto della tragedia che sta cogliendo l’Italia, si proporrà il problema della dotazione tecnologica delle scuole, non a “macchia di leopardo”, ma con sistematicità in tutte le scuole del Paese. Proprio in tutte!
Intanto va riconosciuto che le nuove tecnologie propongono il rinnovamento profondo della didattica e dell’organizzazione dell’insegnamento. Le classi possono restare ancora come punto di riferimento, ma le opportunità offerte da tablet e computer possono consentire “l’apertura” delle medesime con la possibilità di interventi individualizzati e personalizzati.
La composizione e scomposizione dei gruppi classe permettono l’utilizzazione di competenze specializzate dei docenti anche a gruppi di alunni allargati, con apposita riorganizzazione di tempi, gruppi, attività.
L’insegnamento in tal modo può arricchirsi di competenze docenti, di documentari, di programmi filmati. Si pensi ai grandi vantaggi per gli insegnamenti storico-geografici, scientifici, artistici et alia.

  1. I VANTAGGI DELLE NUOVE TECNOLOGIE-

Le possibilità offerte sono notevoli e vanno approfondite. Le tecnologie a scuola supportano al meglio lo sviluppo cognitivo e sociale degli allievi, facilitando la riabilitazione e il normale apprendimento.
Il software consente di esercitarsi sui punti deboli; di creare prodotti e di fruirne la comunicazione.

Le tecnologie informatiche

  • offrono ampie disponibilità di stimoli linguistici, uditivi, visivi e stimolano la motricità;
  • consentono la personalizzazione, la ripetizione dei passaggi critici e il costante monitoraggio dei progressi;
  • rispettano bisogni e ritmi degli alunni che possono assumere il controllo dei propri processi di apprendimento.

Inoltre, realtà virtuale e robot hanno applicazioni specifiche per la disabilità intellettiva e per la diagnosi e l’intervento su soggetti con autismo, stimolando competenze di imitazione, comunicazione e interazione sociale.
L’apprendimento tramite tablet, ad esempio, può essere vantaggioso per due costrutti psicologici:

  • Il flow e
  • l’apprendimento multisensoriale.

Il flow è un’esperienza ottimale dal punto di vista cognitivo ed emotivo, favorita da una attività piacevole in cui ci si sente immersi.

L’apprendimento multisensoriale attiva simultaneamente molteplici canali sensoriali e motori in maniera vantaggiosa per l’apprendimento.

Con le nuove tecnologie è possibile AUTOTESTARSI E AUTOVALUTARSI con enormi vantaggi per lo sviluppo cognitivo.
Informazioni, concetti e conoscenze non si fissano nella mente attraverso la RIPETIZIONE, ma attraverso meccanismi di ELABORAZIONE E RICOSTRUZIONE. (Teoria costruzionistica del sapere. Metacognizione ed Autovalutazione).
Non è l’ascolto ripetuto, ma l’elaborazione e soprattutto il recupero a facilitare il ricordo delle informazioni. E’ lo sforzo di ricordare (etimologicamente, “riportare al cuore”) o di ricostruire, il mezzo attraverso cui si perviene ad una forma di conoscenza duratura.
Occorre perciò rendere motivante un costante auto-testarsi e auto-interrogarsi, quindi l’elaborazione, la ricostruzione, il tentativo di recuperare le informazioni.
A ciò supportano le tecnologie che rendono piacevole il momento valutativo, fornendo un feedback immediato, dettagliato e informativo (non giudicante della persona!) ma focalizzato sulla prestazione adeguata o da migliorare.

In un prossimo contributo considereremo le modalità d’uso delle nuove tecnologie per prevenirne limiti e possibili influenze negative sullo sviluppo.
Siamo consapevoli che l’uso delle tecnologie è solo un mezzo e che urgono riflessioni ulteriori su come esse possono essere usate nella scuola in relazione alle funzioni psicologiche che l’alunno deve acquisire per un buon apprendimento sia cognitivo, sia emotivo e relazionale.




Per liberare i bambini dal confinamento serve la “scuola in comune” (sostantivo avverbio aggettivo)

spiraledi Raffaele Iosa

E’ sconcertante che per la progettazione della fase 2 e anche 3 le cosiddette “commissioni nazionali” non abbiano al loro interno competenze ed un punto di vista attivo sul ritorno dei bambini e dei ragazzi alla vita sociale, e non solo a quella scolastica. Come se il tema fosse solo materia da ministeriali, a settembre. Cioè il passare dal chiuso delle case al chiuso delle aule. E gli enti locali?

Insomma l’agenda sul futuro dei bambini non c’è. Viene lasciata ai genitori e al rischio di un assistenzialismo da 100 euro al mese per la babysitter.
Ma non funziona così, perché la scuola è parte significativa della vita non solo dei bambini, ma delle città e la sua chiusura protratta rischia di aumentare divari sociali e diseguaglianze.
Si deve quindi riflettere su cosa accadrà nelle nostre comunità civiche se le fasi 2 e 3 del dopo-coronavirus non saranno lette assieme alle esigenze dei bambini in tutte le opportunità di vita, tema che verrà aggravato dal probabile (e auspicato) ritorno dei genitori al lavoro.

Non c’è dubbio quindi che si debba lavorare insieme per costruire, sistema scuola e sistema dei comuni, un piano integrato non solo per la riapertura delle scuole, ma anche e soprattutto per la liberazione dei bambini dal rischio di regredire come solo figli confinati e per riprendere ad essere bambini tout court, quindi anche oltre la scuola, in quel territorio comune (“Comune” appunto) dove il bambino vive 24 ore al giorno. Insomma per tornare ad essere piccoli cittadini in comune (avverbio) per fare cose comuni (aggettivo) in quell’ambito civico che mette tutti insieme e che si chiama Comune (sostantivo).

Dunque è grave e dannosa la scelta di tenere i comuni fuori dalle riflessioni sul futuro, sia quello macro (la commissione Colao) che micro (la commissione Bianchi).
E’ un segno, tra i tanti di errori strategici che si stanno compiendo, perché il futuro si apra bene, avendo appreso da questa pandemia drammatica che solo se c’è collaborazione, o meglio governance tra i diversi soggetti del territorio, sarà possibile operare efficacemente per i bambini.

Non si tratta di avere qualcuno in più nelle Commissioni tanto per fare, ma per questioni dirimenti sia sul piano scolastico ma soprattutto di educazione in generale e di integrazione di tutte le opportunità del territorio, a partire dai bambini e dalle famiglie più deboli. E soprattutto per i bambini da 1 a 11 anni, cui le possibilità di autonomia come di uso delle DAD sono per forza di cose inferiori.
Quindi, è nel Comune, visto come soggetto attivo di integrazione di tutte le opportunità e non solo erogatore di meri servizi, che si colloca la cabina di regìa per liberare i bambini dal confinamento in casa, per esempio attraverso la vivibilità degli ambienti sociali, il tempo libero, le attività culturali, quelle aggregative, del volontariato e dell’associazionismo.
Tutto ciò che serve, messo insieme, a crescere. Il Comune che mette in comune tutte le risorse per offrire a tutti i bambini (tutti) le giuste opportunità.

D’altra parte l’art. 3 del Regolamento Autonomia (DPR 275/99) prevede espressamente che nella realizzazione del POTF i dirigenti scolastici siano obbligati a sentire gli enti locali, a raccogliere le loro proposte, perché la scuola autonoma è prima del tutto del e per il territorio e non del Ministero. Ce lo siamo dimenticati?

La necessità di un sistema integrato tra scuola e Comuni è dovuta non solo in epoche normali, ma più che mai oggi in quest’epoca tragica dove i rischi di regressione e depauperamento (sia economico che culturale) dei bambini sono molto alti.
Ecco dunque perché è indispensabile che sia a livello orizzontale (tra scuole e amministrazioni locali) che nazionale (per un ritorno alla normalità sano e intelligente) si operi per una progettazione coraggiosa che abbia in mente i bambini come risorse del nostro civismo, non come peso da scaricare ai soli babbi e mamme, in attesa che arrivi il vaccino.
Non parlo qui di guardianìa o babysitteraggio di massa per supplire i genitori al lavoro. Parlo di qualcosa di più importante: esistono le condizioni, o almeno un ragionamento su come crearle, per offrire ai bambini opportunità di rientro alla vita sociale “da bambini” prima che “da figli”, il più presto possibile, con le dovute protezione? Dobbiamo fare un mito catastrofico della loro corporeità vivace come “impossibilità ad uscire di casa?
La questione prima che scolastica è psicologia, sociale, direi politica, nel cercare regole che permettano di uscire e reincontrare i coetanei perché da “figli” possano ri-tornare ad essere “bambini”, perché è solo così che si cresce.

Sta accadendo purtroppo, che il rientro alla loro vita pubblica sia per ora prevista solo come tema scolasticistico, roba da calendario scolastico e quindi “da riparlarne a settembre”. L’esito di questo errore di prospettiva è che ci ci limiti a coinvolgere solo il Ministero Istruzione. Intanto confiniamoli in casa… Intanto che i babbi e le mamme tornino a lavorare…
Però in Europa va diversamente: Macron in Francia apre le scuole dell’infanzia, In Danimarca le scuole infanzia e primarie sono aperte da ieri, la Norvegia aprirà asili nido e scuole dei piccoli il 20 aprile, Il Lussemburgo il 4 maggio, la Grecia il 10 e l’Estonia il 15. La Spagna, nonostante stia peggio di noi, ci sta pensando altrettanto. Sono tutti matti? Non hanno anche loro scienziati esperti di epidemie? Ma cosa significa che tutti questi paesi abbiano pensato prima ai bambini più piccoli?

Alcuni giorni fa ho lanciato l’idea di realizzare “progetti territoriali integrati” scuola-enti locali- associazionismo-educatori delle cooperative sociali per attivare ciò che ho chiamato (tanto per dargli un nome) “scuole del sole” tipo CRE educativi allargati in spazi il più aperti possibile, in cui ci aiuta l’estate. Per prudenza epidemiologica pensavo da metà giugno ad agosto, cioè fra due mesi, periodo superiore a quello passato finora nella Fase 1, visto anche che probabilmente ben poche famiglie potranno permettersi le ferie.

E subito all’inizio di questa benedetta fase 2, per prima, gli assistenti educativi per l’autonomia e la comunicazione (variamente denominati in Italia) devono tornare fisicamente vicini ai loro alunni con disabilità perché tutti sappiamo quanto è difficile realizzare a distanza una didattica veramente inclusiva. Sarebbe anche il tempo di pensare, sulla base del caos che è accaduto con le norma che si sono sovrapposte, che queste figure educative rientrassero nell’organizzazione e nell’organico delle scuole, a pieno titolo.
Capisco che sono questioni delicate, ma pensare che per i bambini debba pensarci solo la scuola, e a settembre, senza alcuna alternativa a me pare assurdo. Le ragioni non sono quindi tanto legate solo ai genitori e al lavoro (anche se non è tema da poco), ma prima di tutto alla condizione infantile che è quella che sta pagando di più questo confinamento. Con tutte le cautele del caso, perché non pensare anche a questa ipotesi fin dai centri estivi? Perché non pensare che potrebbero esserci anche gli insegnanti, magari come volontari, per ri-prendere la vita di relazione e anche un po’ di ricostruzione di legami.

E comunque qualsiasi sia l’epoca del rientro alla vita, sarebbe ridicolo che a questo ci pensasse, per i bambini, solo la scuola. Per farlo bene il ruolo del Comune è evidente: non c’è solo la scuola, c’è una città o paese interi che deve dare tutte le opportunità per ri-vitalizzare la loro crescita in ogni luogo.

Sindaci, per piacere, fatevi sentire. I bambini sono di tutti e necessari a tutti, non solo ai loro genitori. E lo sono ancora di più per chi ha una disabilità, chi è povero, chi rischiamo di perdere.
La scuola vi aspetta per lavorare insieme, ha bisogno di voi.




La Fase 2 dell’emergenza dimentica i bambini?

spiraledi Raffaele Iosa

Riprendo qui una giustissima critica che l’amico Stefano Stefanel ha sollevato ieri sulla sua pagina FB sul fatto che nella “Commissione Corrao” sulla programmazione del rientro alla vita pubblica nella cosiddetta Fase 2 non sia presente nessuno che si occupi dei bambini, dei loro diritti di crescere in libertà, del rientro a scuola e/o alla vita di relazione quando e come.

E’ bizzarro, d’altra parte che si pensi a pianificare (con regole sicure) il rientro al lavoro dei genitori e non di come saranno seguiti i loro figli se ancora confinati in casa.
Non parlo qui di una specie di guardianìa o babysitteraggio di massa per supplire i genitori al lavoro. Parlo di qualcosa di più serio e importante: esistono le condizioni o almeno un ragionamento su come offrire ai bambini (soprattutto ai piccoli da 1 a 11 anni) opportunità di rientro alla vita sociale “da bambini” prima che da figli il più presto possibile, con tutte le condizioni garantite di protezione?


Dobbiamo fare un mito negativo catastrofico della loro corporeità vivace come “impossibilità ad uscire di casa” fino alla scoperta del miracoloso vaccino? La questione prima che scolastica è invece sociale, psicologica, di adattare ai bambini regole sanitarie che permettano loro di uscire e reincontrare i coetanei perché da figli possano tornare ad essere bambini, perché è così che si cresce. Sta accadendo purtroppo, che il rientro alla loro vita sociale sia per ora prevista solo come tema scolasticistico, cioè roba da calendario scolastico e quindi da settembre, con tanti distinguo e chiacchiere su mascherine, classi sdoppiate e bla bla.
L’esito di questo errore di prospettiva è che per i bambini ci penserà solo l’istruzione, c’è tempo: fino a settembre confiniamoli in casa. Intanto che babbi e mamme tornino a lavorare.
Leggo però cose in Europa diverse: Macron in Francia aprirà presto le scuole dell’infanzia (vedi: prima i bambini!) anche con opportunità flessibili e regolate negli spazi locali.
In Danimarca le scuole infanzia e primarie sono aperte da ieri, la Norvegia aprirà asili nido e scuole dei piccoli il 20 aprile, Il Lussemburgo il 4 maggio, la Grecia il 10 e l’Estonia il 15.

La Spagna, nonostante stia peggio di noi, ci sta pensando altrettanto. Sono tutti matti? Non hanno anche loro scienziati esperti di epidemie? Come mai lì hanno detto sì? Non è significativo che tutti questi Paesi abbiano pensato prima ai bambini più piccoli? Solo per “becere” questioni economicistiche o non anche per un’analisi sociale della condizione claustrofobica dell’infanzia?
Tre giorni fa ho lanciato l’idea di costruire progetti integrati scuola-enti locali- associazionismo-educatori delle cooperative sociali per attivare quelle che ho chiamato (tanto per dargli un nome) “scuole del sole” cioè CRE educativi in spazi più aperti possibile, in cui ci aiuta l’estate.

Per prudenza epidemiologica pensavo per luglio e agosto, cioè fra due mesi e mezzo, periodo superiore a quello che abbiamo passato finora nella Fase 1, visto anche che probabilmente ben poche famiglie potranno permettersi le ferie.

Marco Rossi Doria ha ieri su Repubblica espresso un’opinione simile, Dario Missaglia presidente di Proteo altrettanto propone di pensarci.
Sulla mia proposta ho ricevuto molti consensi ma anche molte critiche, il che è naturale perché è tema delicato, ma pensare che per i bambini debba pensarci solo la scuola a settembre senza alcuna altra alternativa a me pare non vada bene, come se per i nostri bambini il problema fosse solo i programmi, il restare indietro, le tabelline e così via. La questione dei nostri bambini chiusi in casa è invece questione prima di tutto SOCIALE e PSICOLOGICA.
Il loro essere tornati a fare i figli a tempo pieno fa perdere la bambinità orizzontale che è straordinariamente importante a questa età.
Rischiamo che la benemerita e volonterosa “didattica a distanza” (io preferisco non a caso chiamarla “didattica della vicinanza”) diventi un comodo surrogato a questa mancanza di riflessione sui bambini ridotti solo alla scolarità. Le ragioni non sono affatto legate solo ai genitori e al lavoro (anche se non è tema da poco), ma prima di tutto alla condizione infantile che è quella che sta pagando di più questo confinamento. Con tutte le cautele del caso, e tenendo conto che abbiamo tempo due mesi per prepararci (calerà questa maledetta gaussiana!), perché non cominciare a pensare anche a questa ipotesi estiva?
Perché non pensare debbano esserci anche i nostri insegnanti, magari come volontari e pagati, per ri-prendere la vita di relazione e anche un po’ di ricostruzione di un legame (non “recupero”, per carità) con la scuola?
E non sarebbe opportuno pensarci in primis per i bambini con disabilità e poveri confinati due volte nell’isolamento? Proviamo almeno ad avere la voglia di pensarci? Se qualcuno ha alternative le dica, ma restare fermi al metafisico ritorno alle scuole tradizionali a settembre mi pare corra il rischio di aumentare le diseguaglianze e i problemi evolutivi dei bambini. Se gli scienziati sanno scrivere regole serie per gli operai, non possono farlo anche per i bambini? Meglio all’aria aperta con la mascherina che chiusi nel loro confino quasi eterno.
Chiediamo dunque che la Commissione Corrao ne parli, la veda come questione strategica e non accessoria o sentimentale. E che in questa Commissione ci sia chi sa qualcuno che sa dei bambini e dell’educazione (non solo della scuola) mi pare il minimo.




La scuola riparte (anche) fuori dalle mura

spiraledi  Laura Biancato, Amanda Ferrario, Antonio Fini,
Alessandra Rucci – 
dirigenti scolastici

Nella previsione che gli effetti dell’emergenza Covid-19 impongano un distanziamento sociale che si protrarrà per diversi mesi ancora, incombe sull’anno scolastico 2020 – 2021 l’ipotesi di una riapertura graduale e/o limitata, nel rispetto delle norme di prevenzione.

Gli scenari che si aprono sono difficilmente compatibili con l’organizzazione consolidata delle normali attività scolastiche (gestione degli spazi, dei tempi quotidiani e settimanali, mobilità degli studenti…).

Il diritto allo studio dovrà quindi essere garantito mettendo in piedi modalità alternative alle usuali attività didattiche in presenza e privilegiando un sistema “misto” (a distanza / in presenza), che garantisca il rispetto del distanziamento sociale e dell’uso dei dispositivi individuali di sicurezza.
L’effetto non può che essere un ripensamento sostanziale dei paradigmi ai quali siamo abituati da decenni.

1 – La Didattica a Distanza nell’emergenza Covid-19.

In questi mesi di isolamento, la Didattica A Distanza (DAD) si è rivelata una soluzione di emergenza all’improvvisa sospensione delle attività didattiche in presenza.
Avviata con fatica o con rapidità, ben sostenuta da decisioni collegiali o improvvisata, sorretta da linee guida d’Istituto o frammentaria, la DAD non ha avuto nelle scuole italiane una qualità omogenea, forse impossibile da pretendere.

Va precisato che la DAD è comunque una metodologia nuova per tutti, anche per quelle scuole che hanno attivato da anni forme innovative di didattica digitale. È inoltre una modalità mai pensata come standard per la fascia della scuola, essendo (peraltro parzialmente) diffusa soltanto a livello universitario e per la formazione degli adulti.

La gestione emergenziale della DAD ha portato però anche a forme virtuose di reti di supporto, spontanee o indotte da organismi come Ministero e Indire, allo scambio di buone pratiche e al rapidissimo sviluppo di formazione via webinar di tutte le tipologie (formazione peraltro molto richiesta e fruita da grandi numeri).
Sono state redatte e diffuse linee guida, frutto di esperienze pregresse ma anche di ricerca nelle prime settimane di sospensione delle attività didattiche.
Ora, però, il passaggio da quello che si poteva prevedere come un periodo ragionevolmente breve a un futuro ancora incerto, richiede un salto di qualità nella progettazione, per immaginare e risolvere scenari complessi e difficili.

Se le scuole non dovessero riaprire a pieno regime, questo porterà ad effetti sociali difficilmente sostenibili, se solo si pensa alle famiglie con bambini in fascia di scuola dell’infanzia e primaria. E per le istituzioni scolastiche, all’obbligo di prevedere una didattica mista, consolidando le metodologie a distanza e nel contempo riorganizzando completamente gli orari e l’accesso agli edifici scolastici, tempi e modalità delle lezioni in presenza, puntando comunque al massimo della qualità possibile, nella consapevolezza che si tratta di una questione molto diversa (non migliore, né peggiore, ma diversa) dall’ordinaria gestione della scuola.

Per questo, è indispensabile che il centro di governo delle scuole, il Ministero dell’Istruzione, passi rapidamente da interventi di supporto tampone ad una programmazione complessiva di azioni durature ed organizzate che consentano lo sviluppo coerente e graduale dei curricoli, nei vari livelli di scolarità.
Questo supporto rappresenterebbe una base omogenea, a garanzia del diritto allo studio, che ogni istituto potrebbe poi adattare al proprio contesto, nel rispetto dell’autonomia scolastica e della libertà di insegnamento.
Non è pensabile continuare ad operare in una costante “emergenza”, e soprattutto nell’attuale condizione di disomogeneità.

2 – Non una sola “scuola”.

Comunque la si intenda, una ripresa graduale non può basarsi solo su “numeri” da suddividere nel rispetto del distanziamento, o su “classi” da dividere a metà per permetterne l’accesso alle aule, ma deve promuovere un ragionamento più mirato sulle singole situazioni.
A seconda del grado di scuola o dell’indirizzo, va articolata un’organizzazione specifica a livello di Istituto, che tenga conto di un nuovo paradigma di didattica “mista” e di diverse necessità rispetto all’ordinario. Quali sono le priorità? Ci sono attività che non si possono proprio svolgere a distanza? Quali attività, invece, anche a distanza, possono risultare efficaci quanto quelle in presenza? Ci sono anni di corso ai quali dobbiamo porre particolare attenzione? Come seguire meglio gli studenti più deboli?

Uno “standard” generico del tipo “metà classe segue in presenza, l’altra metà segue la stessa lezione a distanza” sicuramente semplificherebbe le scelte organizzative, ma produrrebbe un effetto didattico illogico, visto che le modalità di approccio ad un gruppo in presenza sono completamente diverse da quelle, ad esempio, in videoconferenza.

Dunque, il prezioso e limitato tempo in presenza va indirizzato a priorità riconosciute: le attività di laboratorio, i nuovi apprendimenti, gli studenti più fragili, la formazione dei nuovi gruppi classe…
Qualsiasi ipotesi di soluzione imporrà prima di tutto di distinguere tra i livelli di scolarità e, all’interno di questi, addirittura gli anni di corso e le singole discipline. Non è pensabile un’unica ipotesi organizzativa e metodologica, perchè le età, le competenze, l’autonomia, gli obiettivi, le metodologie e anche i docenti sono profondamente diversi.

 La scuola dell’infanzia.

Comprende una fascia di età nella quale la relazione educativa in presenza e la fisicità rappresentano elementi imprescindibili, che sostanziano e danno un senso alle attività didattiche.
Va detto chiaramente che a questo livello è improprio parlare di didattica a distanza: nella fase di emergenza si è potuto dare continuità all’anno scolastico già iniziato mediante racconti, video e varie proposte di attività da svolgere a casa, con un apprezzabile sforzo dei docenti di mantenere vivo un rapporto con i bambini e, più limitatamente, dei bambini tra loro.
Va costantemente tenuto conto che il “carico” del supporto ad ogni attività proposta grava sempre interamente sulle famiglie.
Lo scenario di riapertura a settembre è difficile da immaginare e una eventuale mancata riapertura sarebbe ardua da sostenere a livello sociale, perché è ben chiaro l’impatto sull’organizzazione delle famiglie, specialmente nel caso in cui entrambi i genitori lavorino.

Tuttavia, per bimbi di 3 o 4 anni sarà evidentemente arduo immaginare di poter garantire le distanze di sicurezza, l’igiene personale prevista dal perdurare dell’emergenza e l’uso delle mascherine.
Una possibile proposta potrebbe essere quella di riavviare l’anno per i bambini di 5 anni, con un’organizzazione per piccoli gruppi, riducendo l’orario di frequenza e prevedendo turni spalmati sull’intera giornata, mattutini e pomeridiani.

La proposta di un supporto a distanza, in accordo e con il supporto delle famiglie, potrà riguardare, per tutti, piccole sollecitazioni ad attività adatte all’età, via web o TV, come riportato nella tabella di sintesi.
Rimane aperto il problema dei più piccoli, il cui “inserimento” sembra difficilmente praticabile, alle condizioni ipotizzate.
La disponibilità continuativa di trasmissioni TV, con fascia oraria fissa ed eventuale replica giornaliera (1h è sufficiente), potrebbe rivelarsi un supporto decisivo per le famiglie.
In ogni caso, la questione “infanzia” non è risolvibile pensando esclusivamente alla scuola: dovranno essere ideate e messe in atto politiche di sostegno alle famiglie, incluse sinergie a livello territoriale, coinvolgendo tutta la comunità locale, i servizi educativi per l’infanzia, i Comuni, le associazioni ecc.

La scuola primaria.

Nell’arco dei cinque anni di scuola primaria vanno evidenziate differenti esigenze e possibilità.
Il primo anno rappresenta una fase delicata e fondamentale, nella quale il percorso degli apprendimenti e delle competenze di base (in particolare l’apprendimento della letto-scrittura) male si adattano ad una didattica a distanza.
La presenza dei docenti, lo sviluppo delle abilità sociali all’interno del gruppo classe, la possibilità di orientarsi in un ambiente di comunità sono fattori indispensabili, e impongono di assegnare una precedenza nelle eventuali scelte organizzative.
Negli ultimi due anni di corso, invece, è possibile che si integrino le attività in presenza con una maggiore incidenza delle attività a distanza, opportunamente pensate per questa fascia di età.
Dovendo individuare delle priorità, la proposta è dunque quella di dare la precedenza assoluta per la presenza a scuola ai bambini di classe prima.

L’impatto psicologico con le prevedibili restrizioni, per bambini di questa fascia di età, è difficile da immaginare. Non potersi toccare, stare distanti, di conseguenza non poter giocare o parlarsi normalmente, tra bambini ma anche tra alunni e docenti, renderà la normale vita a scuola un artificio a mala pena sostenibile.

Anche per questi motivi, e considerando i numeri medi di alunni frequentanti le scuole primarie e la necessità di distanziamento, è ipotizzabile una riduzione della giornata di scuola ad un turno mattutino o pomeridiano, escludendo per il momento le mense e articolando le classi in più gruppi.
Per la scuola primaria si potranno integrare le attività didattiche in presenza con forme di DAD opportunamente programmate, descritte nella tabella a seguire.

Vanno tenuti presente alcuni principi e vincoli, particolarmente importanti in questo segmento scolare: la ridotta autonomia degli alunni, con conseguente “carico” sulle famiglie, la necessità di un feedback continuo e tempestivo per tutti ma, in particolare, per gli alunni con BES, il mantenimento di un buon livello di socializzazione e di collaborazione tra gli alunni.

La scuola secondaria di primo grado

L’esperienza maturata in questi mesi di DAD emergenziale ha mostrato che, nella maggior parte dei casi, l’uso integrato di piattaforme e registro elettronico e, soprattutto, un corretto bilanciamento di attività sincrone ed asincrone, consente un efficace mantenimento della relazione educativa anche nella modalità DAD, con alunni che si avviano ad una certa autonomia.

Anche in questo caso, tuttavia, va prestata attenzione alla prima classe. Il passaggio dalla scuola primaria è infatti un momento particolarmente delicato, soprattutto dal punto di vista psicologico, in ragione anche delle note problematiche legate alla pre-adolescenza. La formazione del gruppo-classe, ad esempio, con alunni provenienti di solito da scuole primarie diverse (anche se generalmente appartenenti allo stesso istituto comprensivo) è una fase delicata che richiede necessariamente la presenza, almeno per alcuni mesi.
L’esperienza dell’emergenza di quest’anno, manifestatasi a metà febbraio, consente di verificare che almeno il primo quadrimestre necessita senza dubbio di attività costante in presenza.

Nelle classi seconde e terze è invece possibile limitare la presenza, proseguendo con attività di DAD. Alcuni momenti di presenza potrebbero essere opportuni per le classi terze, nella seconda parte dell’anno scolastico, anche se si spera che per quel periodo (primavera 2021) la situazione possa essersi stabilizzata.

Anche in questo segmento, è necessario tenere presenti alcuni principi, già evidenziati per la scuola primaria: il livello di autonomia degli alunni, pure più elevato ma certo non completamente acquisito, il feedback continuo e tempestivo, l’attenzione molto elevata per gli alunni con BES, anche in considerazione dell’aumento della complessità cognitiva, il mantenimento delle condizioni di socializzazione e di collaborazione tra gli alunni.
Anche per la scuola secondaria di primo grado si esclude il tempo prolungato e si ipotizza il ricorso a tempi scuola in presenza abbreviati.
Per gli alunni dell’indirizzo musicale (in particolare per le classi prime) si può prevedere una prima fase con maggiore presenza a scuola (le lezioni sono comunque già individuali o al massimo in coppia e non presentano pertanto particolari problemi di distanziamento) ed una successiva con più ampio ricorso alla DAD.

 La scuola secondaria di secondo grado.

L’esperienza della DAD nel secondo ciclo può continuare anche in previsione di una ripresa graduale. In questi mesi, è stata sicuramente agevolata, rispetto agli altri ordini e gradi di istruzione, dal grado di autonomia e di competenza digitale degli studenti. In generale, le scuole hanno fatto il possibile per organizzare una didattica a distanza sfruttando i registri elettronici e/o piattaforme cloud già in uso, oltre alle piattaforme di alcuni testi in versione mista (cartacea e digitale).

A questo livello, la mancanza di un device individuale e/o di un’adeguata connessione crea l’interferenza più sostanziale per la prosecuzione del percorso di apprendimento.
Il problema generale non è tanto l’accesso ai contenuti, ma una corretta riorganizzazione delle attività didattiche e un necessario ripensamento delle metodologie, che non devono e non possono semplicemente riprodurre pari pari le lezioni in presenza.
Gli indirizzi e le opzioni di scuola secondaria di secondo grado sono, però, molto diversi tra loro e, nell’ipotesi di una ripresa graduale e mista, impongono decisioni non generalizzate, ma calibrate sulle reali necessità didattiche.
Anche in questo segmento l’impatto delle classi prime con una condizione di riduzione della presenza a scuola richiede una individuazione di priorità, per i motivi già esposti.

Nella ormai accertata natura dei percorsi per competenze, anche di tipo trasversale, va riconosciuto che alcune attività di carattere strettamente laboratoriale difficilmente si possono adattare ad una didattica senza la presenza fisica nei laboratori.

Per dar modo agli studenti di frequentare in sicurezza, non vi è altra strada che suddividere le classi in gruppi, riducendo in proporzione il tempo scuola e creando turni mattutini e pomeridiani, ampliando di fatto gli orari di apertura delle sedi.

Ogni istituto dovrà individuare, tra le attività prioritarie da salvaguardare, quelle che non sono pensabili a distanza (per primi i laboratori professionalizzanti e/o sperimentali) e garantire un supporto didattico puntuale e attento agli studenti con difficoltà (disabili, DSA, BES…).

 L’educazione degli adulti

In questo settore rientrano le attività dei CPIA, dei corsi serali e delle sezioni di scuola in carcere. Si tratta di attività che in parte già prevedevano moduli a distanza, che andrebbero pertanto potenziati ulteriormente.
Per l’insegnamento dell’Italiano L2, si possono prevedere momenti in presenza, seguiti da attività di DAD, sempre tenendo presenti le particolarità (anche a livello locale) dell’utenza.
La scuola in carcere può beneficiare dell’istituzione di un canale TV dedicato, con contenuti in parte prelevati da quelli destinati alle classi regolari e in parte progettati ad hoc.

3 – Sintesi delle criticità e delle esperienze virtuose.

Nell’ipotesi di avviare per l’inizio del 2020 – 2021 un sistema misto (in presenza/a distanza), è opportuno mettere in evidenza gli errori e le esperienze virtuose osservati in questi mesi di DAD dovuti alla sospensione delle attività scolastiche, per definire proposte che superino iniziative “di emergenza” e privilegino una progettazione organizzata e coerente.

Criticità pressoché uniformi nei vari livelli di scuola, e che per questo non vengono riportate in tabella, sono:

  • la difficoltà di molti istituti ad avviare le attività ma anche, una volta “partiti”, a mantenere una coerenza organizzativa della DAD;
  • in ogni modo, una mancanza di qualità uniforme sul territorio nazionale (anche tra scuole dello stesso territorio);
  • la mancanza di un dispositivo individuale per ogni studente della secondaria (tablet o notebook);
  • la mancanza o insufficienza di connessione;
  • il basso livello medio di competenze digitali e didattiche, in riferimento alla DAD, di una parte dei docenti e, per quanto riguarda il digitale, anche dei genitori.

Rispetto a questi problemi, che rappresentano l’insieme delle condizioni di partenza, senza le quali non si può pensare ad una didattica “mista” omogenea e diffusa, che garantisca il diritto allo studio per ciascuno studente, vengono in tabella proposte soluzioni diverse a seconda dell’età.

 

Livello Criticità emerse Esperienze virtuose Considerazioni per l ’a.s. 2020-2021
Infanzia La scuola dell’infanzia è un segmento nel quale parlare di vera e propria DAD non ha molto senso. L’età dei bambini rende improbabile una gestione a distanza delle attività didattiche. Video incontri mediati dalle famiglie, per confermare la “vicinanza” degli insegnanti, proporre piccole attività e “incontrare” gli altri bambini.Trasmissioni TV.Mini siti di plesso, costantemente aggiornati con attività da fruire in asincrono. Prevedere condivisione ed accordi con le famiglie.L’uso necessariamente limitato del web e degli schermi digitali deve indurre all’impiego di altri supporti, quali, ad esempio la TV.Privilegiare la frequenza per gruppi, almeno per i bambini di 5 anni.

Le scuole possono valutare l’estensione delle piattaforme cloud, considerando sempre attentamente il carico attribuito all famiglie: sarebbero ovviamente i genitori a dover gestire gli account personali degli alunni.

I contenuti proposti dovrebbero comunque essere fruibili anche semplicemente attraverso smartphone.

È consigliabile, ove ancora non in uso, l’estensione a tutti del registro elettronico, come strumento massivo ed efficiente di comunicazione.

Primaria Il web può essere utilizzato solo con la presenza di un adulto. Piattaforme di tipo scolastico possono essere utilizzate in parziale autonomia solo dalle classi terminali (4^ e 5^).In questi mesi l’intervento didattico è stato prevalentemente mirato a consolidare competenze e apprendimenti già affrontati in presenza, con forti limitazioni a nuovi argomenti o competenze. Videolezioni sincrone con il supporto dei genitori, con proposte di vere e proprie attività didattiche e per “incontrare” i compagni.Trasmissioni TV.Mini siti di plesso, costantemente aggiornati con attività da fruire in asincrono.

Uso delle piattaforme cloud.

Per la scuola primaria va sviluppato un set organizzato, coerente e continuativo (non frammentato o episodico) di contenuti curricolari dalla prima alla quinta da rendere disponibili (ed eventualmente adattabili) in due modalità integrate:-          una piattaforma fruibile in asincrono-          un canale TV nazionale dedicato, con lezioni consequenziali e organizzate per orari standard

Tutto questo dovrebbe venir supportato e amplificato dai singoli istituti con piattaforme cloud, per permettere le videolezioni sincrone personalizzate e “corsi” su classi virtuali, proposti dai docenti della scuola.

L’uso di uno strumento inclusivo come la TV, rende non indispensabile un device individuale se non, forse, nell’ultimo anno di corso.

I testi cartacei (utile guida al percorso) dovrebbero necessariamente avere la versione digitale.

Individuazione puntuale delle attività da svolgere necessariamente in presenza, in particolare per i bambini più piccoli.

Conseguente organizzazione della presenza a scuola per gruppi, con contestuale modifica dell’assegnazione dei docenti alle classi.

Le scuole possono valutare l’estensione delle piattaforme cloud anche per gli alunni più piccoli, considerando sempre attentamente il carico attribuito all famiglie: sarebbero ovviamente i genitori a dover gestire gli account personali degli alunni.

È indispensabile, ove ancora non in uso, l’estensione a tutti del registro elettronico, come strumento di comunicazione immediata e massiva, oltre che individuale.

Secondaria di primo grado In questi mesi l’intervento didattico è stato prevalentemente mirato a consolidare competenze e apprendimenti già affrontati in presenza, con forti limitazioni a nuovi argomenti o competenze. Uso dell’area didattica dei registri elettronici per le attività asincrone. Uso di piattaforme cloud per la gestione delle classi virtuali e delle lezioni sincrone. Va previsto che ogni studente sia dotato di device individuale (tablet o notebook).Ogni istituto deve dotarsi diuna piattaforma cloud, per permettere le videolezioni sincrone personalizzate e “corsi” su classi virtuali organizzate dalla scuola.

È indispensabile la versione digitale dei testi in uso, da ottenere a prezzi ridotti, per dare modo alle famiglie di acquistare un dispositivo personale (tablet o notebook) ad ogni alunno.

Individuazione puntuale delle attività da svolgere necessariamente in presenza, in particolare per i ragazzi di classe prima.

Conseguente organizzazione della presenza a scuola per gruppi, con contestuale modifica dell’assegnazione dei docenti alle classi.

Si dà per scontato che per tutti sia già in uso il registro elettronico.

Secondaria di secondo grado In questi mesi l’intervento didattico è stato prevalentemente mirato a consolidare competenze e apprendimenti già affrontati in presenza, con forti limitazioni a nuovi argomenti o competenze. Uso dell’area didattica dei registri elettronici per le attività asincrone. Uso di piattaforme cloud per la gestione delle classi virtuali e delle lezioni sincrone.Canali YouTube dedicati.Altre piattaforme per le videolezioni.

Attività laboratoriali virtuali.

Va previsto che ogni studente sia dotato di device individuale (tablet o notebook).Ogni istituto deve dotarsi diuna piattaforma cloud, per permettere le videolezioni sincrone personalizzate e “corsi” su classi virtuali organizzate dalla scuola.

È indispensabile la versione digitale dei testi in uso, da ottenere a prezzi ridotti, per dare modo alle famiglie di acquistare un dispositivo personale (tablet o notebook) ad ogni alunno.

Individuazione puntuale delle attività da svolgere necessariamente in presenza, in particolare per i bambini più piccoli.

Conseguente organizzazione della presenza a scuola per gruppi, con contestuale modifica dell’assegnazione dei docenti alle classi.

Si dà per scontato che per tutti sia già in uso il registro elettronico.

 4 – Proposte operative di didattica “mista” per l’avvio dell’a.s. 2020 – 2021.

Per garantire il diritto allo studio e per il superamento di una provvisoria fase di emergenza, è indispensabile una progettazione “nazionale”, una vera e propria “pedagogia della distanza”, sulla base dell’analisi delle specifiche esigenze di ogni ordine e grado di scuola e singole discipline.
Sarebbe opportuno che il Ministero dell’Istruzione si facesse carico di predisporre linee guida dettagliate, per ciascun livello scolare e per ogni disciplina, con esempi di Unità di Apprendimento a Distanza (UdAD), basate su contenuti il più possibile standard, reperibili su piattaforma appositamente predisposta, ma diffusi anche tramite canali TV dedicati.

Nel rispetto dei singoli PTOF degli istituti scolastici e della libertà di insegnamento, si può pensare che la proposta di una piattaforma di contenuti (su esempio di quella allestita da CNED per il sistema di istruzione francese) possa rappresentare un supporto rassicurante e orientante per ciascun livello di scolarità, lasciando tempo e ampia possibilità di azione ai docenti per integrare ulteriori attività e contenuti, anche attraverso le piattaforme cloud di istituto, laddove esistenti. Per contro, le scuole che non si sono attrezzate o non hanno le competenze adeguate per avviare un proprio “sistema”, potranno trovare beneficio nel proseguire i percorsi curricolari appoggiandosi alla piattaforma “ministeriale”.

L’ottimizzazione dei tempi della docenza è uno dei fattori da rivedere alla luce di un’organizzazione di tipo misto. Se si disponesse di una piattaforma comune di contenuti e di UdAD, il tempo dedicato alla didattica (che in presenza sarà ragionevolmente ridotto a causa delle norme sanitarie e a distanza dovrà essere riorganizzato) potrebbe essere dedicato ad incrementare il supporto formativo e a migliorare la relazione educativa, seguendo anche meglio gli studenti con maggiori difficoltà e personalizzando gli apprendimenti.

L’impostazione generale potrebbe ispirarsi genericamente alla flipped classroom, con i necessari correttivi in base all’età degli alunni e alle specifiche discipline.

Nei mesi che ci separano dall’inizio del nuovo anno scolastico, potrebbero essere istituiti due gruppi di lavoro, attingendo alle migliori “menti didattiche” presenti nelle scuole del Paese:

  • un primo gruppo, con il ruolo di content manager (CM) dovrebbe dedicarsi all’individuazione e allo sviluppo di una piattaforma di contenuti da rendere disponibili a tutte le scuole, anche con la consulenza di esperti, sulla base di modelli predefiniti di pronto uso. L’obiettivo è di “coprire” almeno i nuclei fondanti di ogni disciplina, per ogni classe, per tutti gli ordini di scuola.

Il Ministero potrebbe stipulare apposite convenzioni per regolare i diritti d’autore e/o per lo sviluppo dei contenuti stessi, ferma restando l’opportunità di coinvolgere i docenti del gruppo per la realizzazione delle videolezioni. Potrebbe, infatti, affidare a consorzi di case editrici l’incarico di fornire i contenuti granulari per l’allestimento delle piattaforme.

Si tratta certamente di un impegno enorme, il cui risultato però garantirebbe una base uniforme di contenuti, a garanzia del diritto allo studio. Tali contenuti, inseriti in un repository organizzato (ad esempio su una piattaforma nazionale appositamente realizzata, con criteri di facile accesso. Anche in questo caso l’esempio è rappresentato dalle piattaforme francesi gestite dal CNED), dovrebbero consistere in materiali in formato standard, utilizzabili su tutte le piattaforme cloud delle scuole e in contenuti video facilmente organizzabili per le trasmissioni in TV. Le videolezioni dovrebbero essere brevi (max 15’) e rappresentare la fase espositiva/anticipatoria delle attività. Già il servizio Rai Play Learning, appena avviato, rappresenta una base consistente di ottimi contenuti di apprendimento.

A questo primo gruppo di lavoro potrebbero contribuire in modo significativo, oltre ad esperti del settore della comunicazione, le case editrici, fornendo materiali di base provenienti dai libri di testo già disponibili sul mercato.

  • il secondo gruppo di lavoro dovrebbe svolgere il ruolo di instructional designer (ID). Lavorando a stretto contatto con il gruppo CM, basandosi il più possibile sui contenuti sviluppati e facendo riferimento ad alcuni formati standard, la task force ID dovrebbe produrre una serie di UdAD, una sorta di lesson plan utilizzabili da tutti i docenti, naturalmente adattabili ai singoli contesti.

Il ruolo dei docenti delle scuole, a questo punto, sarebbe agevolato, nel senso di una minore necessità di produrre la maggior parte dei materiali (spesso molto dispendiosi da predisporre soprattutto se di tipo multimediale), ottimizzando le risorse (al momento, ad esempio, decine di migliaia di docenti stanno realizzando video fai-da-te sui medesimi argomenti, anche all’interno delle stesse scuole!). Avrebbero a disposizione inoltre una ricca biblioteca di UdAD e di contenuti, eventualmente da modificare, integrare e contestualizzare. Il tempo risparmiato potrebbe essere così utilmente impiegato per organizzare al meglio la didattica mista presenza-distanza, sviluppare UdAD, fornire feedback, valutare gli apprendimenti, dedicare la massima cura alla relazione educativa e alla personalizzazione, con particolare attenzione agli alunni con BES.

5 – Il ruolo della televisione.

La televisione può giocare un ruolo fondamentale, nell’ottica della diversificazione dei canali comunicativi, della possibilità di raggiungere veramente tutti e, in parte, dello sgravio parziale delle reti telematiche.
Ovviamente, la televisione è un mezzo di comunicazione unidirezionale, per cui rimangono necessari i sistemi interattivi per l’interazione e il dialogo educativo,
Per alcuni segmenti scolari (infanzia, educazione degli adulti, scuola in carcere), la TV può risultare una chiave di volta per il successo delle iniziative formative,
In funzione della realizzazione dei contenuti da parte del gruppo di lavoro CM e, naturalmente, del vasto repertorio di materiali già disponibili, potrebbe essere messo in atto un protocollo d’intesa tra il Ministero dell’Istruzione e la RAI per il dispiegamento di uno o due canali interamente dedicati ai contenuti didattici per la DAD.

6 – La questione “connessioni”.

Pur essendo al di fuori del tema portante di questo documento, che intende focalizzare l’attenzione sugli aspetti didattici e organizzativi, non si può evitare di ricordare il problema della connettività internet. Secondo le più recenti statistiche, ma anche dalla rilevazione sul campo effettuata da molte scuole durante il periodo emergenziale, la percentuale di famiglie che non dispone di connessione fissa, per vari motivi (dalla indisponibilità sul territorio a scelte economiche), è ancora elevata, con grandi differenze tra le diverse regioni. Le connessioni mobili, a loro volta, risultano spesso insufficienti. È del tutto evidente che ciò costituisce un vincolo fortissimo per la DAD, al punto da impedire, in parte o del tutto, alcune delle misure e delle attività presentate come “possibili” dal punto di vista didattico. Si tratta di una questione che, evidentemente, non può essere risolta dal mondo della scuola ma richiede un impegno complessivo da parte dello Stato per superare al più presto il divario digitale che ancora affligge vaste aree del Paese.

7 – La formazione dei docenti.

Le risorse attualmente a disposizione delle scuole polo d’ambito per la formazione dei docenti (40% del finanziamento totale), oltre a quelle già assegnate alle singole scuole (il restante 60%) sono probabilmente, in molti casi, al momento, “congelate” a seguito degli eventi emergenziali.
Certamente erano state già ipotizzate attività formative, sulla base delle priorità individuate dalla nota ministeriale prot. 49062 del 28/11/2019.
Tali risorse potrebbero essere ora concentrate su una formazione estesa e diffusa, focalizzata sulla nuova priorità della DAD e principalmente orientata agli aspetti metodologici, oltre che tecnologici. Le attività formative potrebbero essere avviate anche subito ma si può valutare di rinviarne una parte a fine agosto-settembre, in funzione della eventuale realizzazione di quanto esposto in precedenza.
Si rende necessaria una rapida sequenza contrattuale per sancirne l’obbligatorietà, peraltro già prevista, come è noto, dalla L.107/2015.

8 – Conclusione. La scuola (anche) fuori dalle mura.

La crisi del COVID-19 ha dimostrato l’importanza delle competenze digitali e della relativa infrastruttura, sia a livello generale che nel particolare delle famiglie e dei singoli individui. E’ un insegnamento imprevisto ed imprevedibile, che però conferma tutti gli sforzi fatti negli ultimi decenni per portare innovazione metodologica e digitale nella scuola italiana.
Nessuno può più tirarsi indietro.
Nel momento in cui la didattica è realizzata completamente (o in parte, come si potrebbe ipotizzare per il futuro) online, la didattica “fuori dalle mura” deve affidarsi anche ad altri contenuti, alternativi o integrativi al “libro di testo”, con una modalità diversa di “fare scuola” ed un ripensamento generale dell’organizzazione e del “corredo” di ciascuno studente.
Non si può più pensare che bastino diario, quaderni, libri e penne. Nello zaino ci dev’essere anche un tablet o un notebook, almeno a partire dagli alunni delle scuole secondarie.
Non bastano nemmeno più gli strumenti digitali “dentro le mura” della scuola.
I dispositivi digitali devono essere individuali e diffusi.

Vanno tenuti perciò in evidenza i seguenti principi:

1 – La scuola non è solo “tra le mura”. La didattica non si svolge solo in presenza, ma trova una sua dimensione anche nel cloud. L’accesso a materiali multimediali per l’apprendimento, da qualsiasi luogo e in qualsiasi momento, è garanzia di inclusione e di continuità, al di là delle emergenze, secondo una linea già attuata per la connettività negli spazi pubblici (piazze, biblioteche ecc.)

2 – Oltre “il programma” e il “libro di testo”. La didattica contemporanea si fonda sullo sviluppo di curricoli e competenze trasversali, e ha superato da tempo il concetto di “programma” e di “libro di testo” come veicolo univoco di contenuti.

3 – Le competenze digitali. E’ diventato irrinunciabile formare le nuove generazioni ad un utilizzo responsabile e consapevole delle tecnologie e del web. Ciò è possibile solo con la disponibilità e la progressiva dimestichezza che si sviluppa con un device individuale.

4 – Ogni studente, un dispositivo. Ogni alunno, almeno dalla prima classe della secondaria di primo grado, deve avere un tablet o un PC nel proprio “corredo scolastico”, esattamente come oggi ha il diario, i quaderni, penne e matite. Almeno una parte della spesa prevista per i libri di testo deve essere destinata all’acquisto di un dispositivo digitale. La spesa complessiva per le famiglie deve rimanere invariata.

5 – Ogni istituto, un sistema. Ogni singolo istituto deve dotarsi di un sistema organizzato di connessione e regole per l’accesso, di piattaforma cloud, di un progetto didattico che comprenda l’utilizzo dei device individuali e criteri per la scelta, di accompagnamento formativo per i docenti, assistenza tecnica interna (anche per gli Istituti Comprensivi) e polizze assicurative adeguate relative all’uso dei device.




Perchè il piano della Ministra per settembre non può funzionare

arcobaleno
di Rodolfo Marchisio

Dopo un primo intervento relativo alla fase 1 “Fate quello che potete e che oggi è prioritario” ho deciso di tacere, perché nella seconda fase densa di fatica, ricerca, dubbi da parte dei colleghi, più pareri e consigli non sarebbero stati uguali a più conoscenze.

Era secondo me il momento di cercare di dare un senso, suggerire una direzione ai colleghi e lasciare che con l’aiuto di quelli più esperti o di pochi affidabili esperti esterni (non interessati a venderti una piattaforma) trovassero la loro strada.
Convinto che nella eterogeneità delle scuole (livelli, ambienti, problematiche, competenze, strumenti…) e dei docenti (stili di insegnamento) o delle famiglie (competenze e possibilità) e nella assenza di una soluzione migliore di altre anche teorica fosse bene che ogni scuola scegliesse, mediando, quella più adatta alla sua situazione.
Più contestualizzata e possibile. Possibile per i docenti, per le famiglie e per i ragazzi.

Adesso siamo al passaggio dalla fase 2 alla 3.
Cosa abbiamo imparato e cosa faremo il prossimo anno? Esistono alcuni studi (Mi, Invalsi, CIDI etc…) e molti pareri cui fare, con cautela, riferimento.

Ovviamente la ottica era ed è quella che

1-   La didattica online è cosa non semplice e controversa, ma questa è una emergenza. 

2-   Non esistono ricette e offerte commerciali che risolvano e non esiste UNA soluzione. Come sempre l’ideale è che i buoni docenti (OCSE 2014,15) usino in modo intelligente quello che hanno, sanno e possono usare e che si adatta alla loro situazione. Con intelligenza, flessibilità, contestualizzazione di strumenti conosciuti e possibili. Per tutti.

3-   Le scelte tecnologiche sono importanti ma quelle educative lo sono molto di più e che la grave emergenza attuale non è un’occasione per incrementare la didattica a distanza (la scuola del futuro?), ma una situazione di assenza della scuola reale da fronteggiare con ragionevolezza. (CIDI)

4-   La chiave del nostro lavoro (e del digitale a scuola) è la relazione educativa ed è per questa che si è spesso lavorato, articolando attività diverse, che le tecnologie veicolano o permettono. Anche la attività di leggere insieme e commentare un libro
” La rete non danna e non salva”. Permette. Rodotà

Che occorra condividere un senso, in mezzo a tante proposte ed esperienze diverse, radunando quelle condivisibili e in sintonia, non solo su “con che tecnologia, ma su cosa ci faccio, come, perché” , che sono problemi strettamente collegati.

Poche osservazioni mentre sta per uscire una analisi più completa

È mancata una regia dall’alto
La prima osservazione è che è mancata una regia tempestiva dall’alto. Meno male, così i bravi docenti hanno trovato bene o male (dati MI,CIDI, Tecnica della scuola, le osservazioni Invalsi) la sua strada. Non sempre una “buona strada”. Sulla soddisfazione di docenti e allievi le prime ricerche sono discordanti. Vedi dati parziali indagine CIDI su 750 docenti

Il MI è intervenuto 2 volte (per dare un contributo prima e la ultima per il problema della valutazione finale soprattutto).
La sua conclusione è che la situazione “è a macchia di leopardo” (?)

Diritti, piattaforme, privacy e garante. Non siamo in Cina.
La privacy dei cittadini e le conseguenze delle scelte delle piattaforme sono stati oggetto di 2 interventi di Soro. In una democrazia (seppur malata) la privazione di diritti (una decina) deve essere: 1- Decisa dal governo (e quindi non dalle Regioni o dai Comuni) 2- Ben definita 3- Limitata nel tempo.

Per quanto riguarda le scuole:
Le istituzioni scolastiche e universitarie dovranno assicurarsi (anche in base a specifiche previsioni del contratto stipulato con il fornitore dei servizi designato responsabile del trattamento), che i dati trattati per loro conto siano utilizzati solo per la didattica a distanza.”

Dice anche che quei fornitori che permettono l’uso dei servizi (gratuito) solo se si accetta che i dati vadano altrove sono nell’illegalità: E’ peraltro inammissibile il condizionamento, da parte dei gestori delle piattaforme, della fruizione dei servizi di didattica a distanza alla sottoscrizione di un contratto o alla prestazione– da parte dello studente o dei genitori – del consenso al trattamento dei dati connesso alla fornitura di ulteriori servizi on line, non necessari all’attività didattica.”
Rispetto a questo la scuola è stata lasciata sola, perché la scelta e il pagamento dei fornitori (dai 3 ai 9 mila euro) spetta alle scuole. Come la responsabilità connessa.

Didattica a distanza e Privacy.
“Il Coronavirus ha impresso un’accelerazione al processo di implementazione del digitale a scuola. Questo però richiede un chiarimento e la conferma di quanto già contenuto nella letteratura giuridica, nella legislazione europea e italiana (GPDR, decreto attuativo 101/18).
E il provvedimento del Garante per la Privacy (30 marzo 2020) non si è fatto attendere. Sono confermati tutti i principi che girano intorno al trattamento del dato personale. E’ ribadito il principio della correttezza (=legittimità) della scuola nel trattare dati personali, purché questi siano coerenti (non esorbitanti) con le sue finalità (art. 18 D.Lvo196/03 e “Privacy a scuola” 2016).  Il medesimo principio, unito a quello della non eccedenza, è applicabile ai servizi di supporto (Didattica a distanza).”

“Il trattamento di dati svolto dalle piattaforme per conto della scuola o dell’università dovrà limitarsi a quanto strettamente necessario alla fornitura dei servizi richiesti ai fini della didattica on line e non per ulteriori finalità proprie del fornitore”.

Perché i doppi turni non possono funzionare

1-    Fare i doppi turni, per esperienza di docente ed allievo è un passo indietro. Ma è una emergenza…
2-    Per dividere ogni classe in 2 o 2/3 + 1/3 e rispettare le distanze, non potendo abbattere i muri, occorrono più locali (fino al doppio) o che durante il pranzo si disinfettino tutte le aule, bagni, etc. Il personale è sufficiente? Piantiamo delle tende in cortile?
3-    Visto che dopo la “riforma” Moratti” ma soprattutto la Gelmini/Tremonti è stato equiparato orario in organico con orario frontale (più la dotazione postuma di alcuni colleghi tuttofare) dove prima bastava un docente adesso ne occorrerebbero 2. LI assumiamo? Chi le ha volute le “classi pollaio”
4-    Si può pensare di fare gruppetti interclasse con gli “avanzi”, ma salta la continuità didattica, le relazioni ed il clima di classe quando la relazione educativa ed il rapporto coi compagni è più necessario. E poi con quali docenti?
5-    Le conseguenze sulle famiglie prevedono una modifica di orari rispetto agli attuali. Tornano in pista i nonni, quelli sopravvissuti agli errori di governo e regioni ed alla immunità del gregge?

Una scuola depredata sino ad ora, che insieme alla sanità è stata oggetto dei maggiori tagli indiscriminati, avrebbe bisogno di tante risorse e solo con abnegazione ammirevole sta reggendo una crisi grave e imperscrutabile.
Scopriamo che i “fannulloni” di ieri sono gli “eroi” nei tempi di crisi?

Didattica a distanza
I MI precedenti hanno scelto le attrezzature (ed oggi proporrebbero una piattaforma) dietro la spinta di industrie, esperti di turno, per moda o scambiando la innovazione per progresso Gui (nuovo è sempre meglio?). Ma a parte una costosa formazione mirata all’uso dello strumento di moda, dalla LIM al coding (4 milioni in sospeso anche ora?), non hanno costruito nella scuola una cultura del digitale, quella che adesso ci manca. Né nei docenti, né nei ragazzi. Dove sono i presunti nativi digitali che ne sanno più di noi?

Questa esperienza se meditata e vissuta come un enorme e tragico laboratorio dal vivo di cittadinanza agita (rispetto degli altri e delle regole, solidarietà…) e di cittadinanza e cultura digitale, invece di aggrapparsi ad un programma non più credibile, potrebbe aiutare a farlo. Di questo vorrei riparlare la prossima volta.




Valutare è necessario, ma c’è modo e modo

abcdi Giancarlo Cavinato

Il tema della valutazione è cruciale. Ed è cruciale il perché della valutazione.
Sottende un’idea di insegnante, di scuola, di società.
La valutazione, pur espressa in modi e forme diversi, é comune a tutte le scuole.
La valutazione è necessaria? Una scuola può non valutare?
Si può tranquillamente rispondere che la valutazione non è solo necessaria, ma che non è pensabile una scuola che non valuti. Ma c’é modo e modo, finalità e finalità, criteri e criteri.

Quando si cominciano a porre e porsi domande di tipo:
-Chi valutare?
-Cosa valutare?
-Come valutare?
-Perché valutare?
subito cominciano le differenziazioni.

Il valutare non è un fatto semplice e i fini, le modalità, le tecniche della valutazione non sono così definiti da non lasciare margini di dubbio e incertezza. [1]
Risale agli anni 70 la critica pedagogica e politica a una scuola selettiva che respingeva ed emarginava gli alunni più ‘lontani’ dal tipo di cultura che essa intendeva trasmettere. Colpevolizzando sempre e solo l’alunno e mai mettendo in conto le eventuali carenze dell’istituzione (assenza di strutture e risorse adeguate, povertà di strumenti didattici, brevità dei tempi di lavoro, carente formazione degli insegnanti). Una scuola che valuta l’alunno ma non valuta se stessa.

La scuola ‘moderna’ auspicata da Freinet è, viceversa, la scuola del successo, non una scuola dello scacco o degli errori.
Il bambino è della stessa natura dell’adulto… Non c’é una differenza di natura ma soltanto una differenza di grado. Prima di giudicare un bambino o di sanzionarlo, fatevi la domanda: se fossi al posto suo, come potrei reagire? E come agivamo quando eravamo come lui?”
Nessuno ama girare a vuoto , agire come un robot fare degli atti, piegarsi a dei pensieri iscritti in meccanismi ai quali non si partecipa. Se un bambino gira i pedali di una bicicletta immobile, si stancherà presto»
Ogni individuo vuole riuscire. La bocciatura è inibitrice, distruttrice dell’andatura e dell’entusiasmo[2]

Per attuare un insegnamento coerente, Freinet mette a punto una serie di dispositivi e di pratiche. Di alcune tecniche si tratta in altre rubriche di questo ‘alfabetiere: l’assemblea, il metodo naturale, il piano di lavoro, gli schedari autocorrettivi, il tentativo sperimentale. Altri strumenti verranno esemplificati in seguito (la messa a punto collettiva dei testi, i brevetti, i profili pedagogici,…).
Sono ‘tecniche di vita’ fondate sull’autovalutazione degli alunni e degli insegnanti, sulla discussione (chiedendo ai propri alunni cos’è secondo loro la valutazione’ per cosa è utile,..), sull’attivazione di processi di gruppo accanto a quelli individuali.

In una classe organizzata in forma cooperativa in cui il successo di ognuno è legato al lavoro e all’impegno di tutti. E le modifiche delle percezioni reciproche attraverso la registrazione dei progressi sono di stimolo e motivazione a cooperare superando competitività e individualismi.

Paul Le Bohec, maestro bretone collega di Freinet, utilizzava le puntine da disegno colorate. Ogni alunno aggiornava i propri istogrammi personali nelle diverse attività registrando gli esiti e i progressi, confrontandosi così con se stesso, non con gli altri e quindi evitando frustrazione e gerarchie di valore.
A sua volta la corrente della pedagogia istituzionale francese ha messo a punto strumenti e tecniche per la valorizzazione dei soggetti, del loro bisogno di essere considerati e di valere modificando le relazioni d’aula e considerando i soggetti in grado di darsi autonomamente regole e istituzioni della classe (‘da istituiti ad istituenti’). Oury introduce le cinture di capacità di diversi colori secondo il modello del judo. I possessori di colori più alti sono invitati ad aiutare i compagni.

Tocca a noi trovare le organizzazioni adatte per far lavorare ogni bambino, per farlo riuscire, progredire, senza per questo rinunciare ai lavori collettivi che assicurano la coesione e il dinamismo del gruppo-classe e che fanno della cooperativa una realtà generatrice di impegni personali. Ci sembra difficile parlare di cooperativa, di gruppi, di istituzioni o di qualsiasi altra cosa, se prima di tutto nella classe ogni bambino non ha la possibilità di lavorare al suo livello e al suo ritmo.’[3]

Così come A. De La Garanderie ha condotto ricerche sui diversi stili di apprendimento e le modalità (lui li definisce ‘gesti’ mentali) di elaborazione, memorizzazione, evocazione di contenuti, riflessione personali, suggerendo di condurre con gli alunni un dialogo pedagogico per farle emergere e rispettare.[4]

Il ritorno dei voti numerici e della possibilità di bocciare con l’epoca Gelmini ci conduce a riprendere quel lungo percorso che aveva portato, grazie a tante maestre e maestri, alle motivazioni sociali e culturali di una pedagogia attiva e cooperativa.
Tanto più che oggi la presenza nelle classi di alunni portatori di culture, lingue, contesti di appartenenza diversi, rende necessario ripensare l’impianto complessivo di contenuti e attività.
La mia incapacità a esprimere con un numero quella complessa realtà che è il bambino a scuola, ha diverse motivazioni. La pagella, così com’è oggi, è uno strumento di valutazione impreciso e soggettivo. Il numero che dovrebbe essere scritto nelle caselle corrispondenti alle “materie” o a gruppi di attività, è il risultato di una strana miscela di sensazioni riguardo alle attività del bambino, che il maestro compie sulla base di un modello di sufficienza che varia da insegnante a insegnante.[…] La prima scoperta che fa l’educatore quando instaura un rapporto non autoritario con gli alunni, è che essi sono tutti diversi. […] L’educatore che ricerca e utilizza le diverse attitudini e capacità personali nel contesto sociale della classe, realizza attività collettive nelle quali ogni bambino, stimolato dagli altri, dà il meglio di sé. Viene così innalzato il livello collettivo della ‘produzione scolastica’ realizzata sulla base degli interessi dei bambini e non dell’imposizione del maestro. In questo caso non è possibile valutare l’apporto individuale sia qualitativo che quantitativo, perché ogni intervento è legato agli altri. E’ un tipo di intervento che la pagella non considera…’[5]

IL MOVIMENTO DI COOPERAZIONE EDUCATIVA E LA VALUTAZIONE

a) la valutazione è attribuzione di valore per l’autostima e la motivazione al successoè riconoscere:

  • LE CONDIZIONI SOCIALI E PSICOLOGICHE DEI SOGGETTI
  • I BISOGNI FORMATIVI E LE CONDIZIONI PER ESPLICITARLI
  • IL GRUPPO COME RISORSA PER L’APPRENDIMENTO

b) la valutazione attesta i livelli di apprendimento, le competenze raggiunte e orienta l’azione didattica e la progettazione della scuola descrivendo gli apprendimenti effettivamente realizzati in termini di conoscenze e competenze;

c) è una valutazione “per l’apprendimento” e non “dell’apprendimento” nel senso che riconosce le potenzialità e facilita l’autovalutazione da parte dell’alunno;

d) non si limita a “registrare” i successi o gli insuccessi ma accompagna il processo di apprendimento attraverso modalità di valutazione che supportano la motivazione di ciascun alunno e registrano i processi personali e di gruppo ;

e) descrive le competenze e gli apprendimenti effettivamente raggiunti superando il concetto di valutazione come misurazione degli apprendimenti: valutare un alunno non è calcolare la media aritmetica delle singole verifiche, ma individuare le sue reali competenze.

f) per questo il MOVIMENTO DI COOPERAZIONE EDUCATIVA ha lanciato la campagna di sensibilizzazione ‘Voti a perdere’ coinvolgendo oltre 20 associazioni, organizzando giornate di studio e incontrando centinaia di insegnanti e genitori

La campagna si inserisce in un percorso di riflessione e di ricerca-azione attorno ai temi più complessivi della valutazione formativa, e delle competenze. Resta forte la nostra attenzione all’innovazione delle metodologie, al superamento della lezione frontale e di una didattica trasmissiva, alla ricerca di pratiche didattiche volte al riconoscimento della dimensione formativa nella valutazione,in un’ottica di scuola inclusiva.

Per aderire alla campagna www.mce-fimem.it

[1] Malfermoni B., ‘La valutazione’, supplemento a ‘La vita scolastica’, fascicolo n. 11, 1977
[2] Freinet C., Les invariants pédagogiques- Oeuvres pédagogiques’, Seuil-Paris-1994 vol. 2 pp 383-413, traduzione di Alain Goussot
[3] A. Vasquez, F. Oury ‘Tecniche e istituzioni nella classe cooperativa’, Emme ed., Milano, 1979
[4] De La Garanderie A., ‘I profili pedagogici’, La Nuova Italia, Firenze, 1991
[5] Lodi M., ‘Le pagelle’, in Cooperazione Educativa n.5-6, la Nuova Italia, Firenze 1974 (questo e altri testi nel blog ‘finedeivoti’)