Tre aneddoti sulla valutazione sommativa
di Rodolfo Marchisio
Perché amo la valutazione formativa che derivi da un lavoro/processo per competenze
1) Quando ancora insegnavo, non molto tempo fa, non c’erano ancora registri elettronici raffinati, ma tabelle da compilare con funzioni elettroniche autonome.
Un alunno ammesso all’esame con una media “reale” del 5,5 (questo si un 6 “politico”) dopo le prove d’esame di terza media risultava avere una media del 6,5.
All’esame siamo tutti un po’ più “larghi” e poi faceva media il voto di condotta, che ovviamente era 9.
Il foglio elettronico arrotonda per eccesso. Il 6.5 diventa magicamente un 7 senza che il C di classe ci possa fare nulla. Quindi da 5,5 a 7. L’esame tira fuori il meglio di ognuno di noi?
2) Da quando era stato introdotto questo sistema lo scrutinio era diventato, anziché una discussione sulla situazione dei ragazzi, sui loro progressi o meno, sulle motivazioni di una decisione collegiale, una compilazione di schedina, una dettatura di numeri.
Avevo chiesto di fare almeno un pre-scrutinio dove discutere dei ragazzi, ma la riduzione del numero dei Consigli per motivi sindacali (40 ore) e la fretta o il disinteresse dei colleghi, costringevano a forzare la discussione. Ma sono convinto che da allora le cose siano cambiate vero?
Io da giovane docente avevo cominciato a seguire il tema della valutazione con un corso di Don Calonghi sulla docimologia, ma presto mi ero convinto che i giudizi sintetici (numeri o lettere) dovessero essere accompagnati da una spiegazione, da una motivazione per inserire la valutazione nel processo di consapevolezza e crescita. Da masochista ritenevo utili i giudizi analitici, la spiegazione (accanto al “voto”, alla sentenza). La retorica di allora era “non tutti i 6 sono uguali.”
E ritenevo persino utili i giudizi globali, come traccia per un dialogo con le famiglie o come messaggio ai ragazzi ed alle famiglie che non venivano neanche a ritirare le pagelle.
Ero considerato dai colleghi un noioso sadomaso.
3) Ho fatto dal 1982 il formatore sulle didattiche che oggi è di moda chiamare digitali.
PSTD, FORTIC 1 e 2, PNSD e via formando…al digitale. Se guardo le statistiche sui docenti esperti di digitale di oggi mi deprimo un po’.
Per Fortic 1 in Piemonte si era fatta una graduatoria per titoli e pubblicazioni di 200 formatori in cui risultavo al 2° posto. Per questo con M. Guastavigna (al 1°) ero stato inserito in un team che doveva preparare, insieme a USR Piemonte ed UNITO (Gallino- Scienze della formazione) il programma ed i materiali per i corsi dei tutor B (leggi poi A. Digitali) che a loro volta avrebbero formato i colleghi della scuola. Tutto la regione avrebbe avuto un progetto e denominatori comuni; a differenza ad es. della formazione Animatori Digitali dove ogni regione ha fatto in modo completamente diverso (Più pedagogia nel Lazio, tutto il potere ai tecnici in Piemonte).
La preparazione prevedeva un corso con un assistente di Gallino, che tutto “goduto”, ha raccontato ad una platea tra l’annoiato e l’irritato che lui aveva inventato un programma che:
a- somministrava le prove ai suoi allievi
b- le correggeva in automatico
c- comunicava agli allievi il risultato via pubblicazione graduatoria
Gli ho fatto una sola domanda: ma lui quando ci parlava e quando vedeva i suoi allievi?
Alcune derive possibili della DaD temo puntino in quella direzione.
Mi scuseranno gli esperti di valutazione; io adesso mi occupo di cittadinanza e di cittadinanza – e soprattutto di cultura – digitali.
Con Istoreto mi occupo di didattica per competenze e quindi di strumenti ODV (Osservazione, Valutazione, Documentazione), ma non sono un esperto.
Temo siano solo i ricordi di un “anziano” in quiescenza.