La Fase 2 dell’emergenza dimentica i bambini?

spiraledi Raffaele Iosa

Riprendo qui una giustissima critica che l’amico Stefano Stefanel ha sollevato ieri sulla sua pagina FB sul fatto che nella “Commissione Corrao” sulla programmazione del rientro alla vita pubblica nella cosiddetta Fase 2 non sia presente nessuno che si occupi dei bambini, dei loro diritti di crescere in libertà, del rientro a scuola e/o alla vita di relazione quando e come.

E’ bizzarro, d’altra parte che si pensi a pianificare (con regole sicure) il rientro al lavoro dei genitori e non di come saranno seguiti i loro figli se ancora confinati in casa.
Non parlo qui di una specie di guardianìa o babysitteraggio di massa per supplire i genitori al lavoro. Parlo di qualcosa di più serio e importante: esistono le condizioni o almeno un ragionamento su come offrire ai bambini (soprattutto ai piccoli da 1 a 11 anni) opportunità di rientro alla vita sociale “da bambini” prima che da figli il più presto possibile, con tutte le condizioni garantite di protezione?


Dobbiamo fare un mito negativo catastrofico della loro corporeità vivace come “impossibilità ad uscire di casa” fino alla scoperta del miracoloso vaccino? La questione prima che scolastica è invece sociale, psicologica, di adattare ai bambini regole sanitarie che permettano loro di uscire e reincontrare i coetanei perché da figli possano tornare ad essere bambini, perché è così che si cresce. Sta accadendo purtroppo, che il rientro alla loro vita sociale sia per ora prevista solo come tema scolasticistico, cioè roba da calendario scolastico e quindi da settembre, con tanti distinguo e chiacchiere su mascherine, classi sdoppiate e bla bla.
L’esito di questo errore di prospettiva è che per i bambini ci penserà solo l’istruzione, c’è tempo: fino a settembre confiniamoli in casa. Intanto che babbi e mamme tornino a lavorare.
Leggo però cose in Europa diverse: Macron in Francia aprirà presto le scuole dell’infanzia (vedi: prima i bambini!) anche con opportunità flessibili e regolate negli spazi locali.
In Danimarca le scuole infanzia e primarie sono aperte da ieri, la Norvegia aprirà asili nido e scuole dei piccoli il 20 aprile, Il Lussemburgo il 4 maggio, la Grecia il 10 e l’Estonia il 15.

La Spagna, nonostante stia peggio di noi, ci sta pensando altrettanto. Sono tutti matti? Non hanno anche loro scienziati esperti di epidemie? Come mai lì hanno detto sì? Non è significativo che tutti questi Paesi abbiano pensato prima ai bambini più piccoli? Solo per “becere” questioni economicistiche o non anche per un’analisi sociale della condizione claustrofobica dell’infanzia?
Tre giorni fa ho lanciato l’idea di costruire progetti integrati scuola-enti locali- associazionismo-educatori delle cooperative sociali per attivare quelle che ho chiamato (tanto per dargli un nome) “scuole del sole” cioè CRE educativi in spazi più aperti possibile, in cui ci aiuta l’estate.

Per prudenza epidemiologica pensavo per luglio e agosto, cioè fra due mesi e mezzo, periodo superiore a quello che abbiamo passato finora nella Fase 1, visto anche che probabilmente ben poche famiglie potranno permettersi le ferie.

Marco Rossi Doria ha ieri su Repubblica espresso un’opinione simile, Dario Missaglia presidente di Proteo altrettanto propone di pensarci.
Sulla mia proposta ho ricevuto molti consensi ma anche molte critiche, il che è naturale perché è tema delicato, ma pensare che per i bambini debba pensarci solo la scuola a settembre senza alcuna altra alternativa a me pare non vada bene, come se per i nostri bambini il problema fosse solo i programmi, il restare indietro, le tabelline e così via. La questione dei nostri bambini chiusi in casa è invece questione prima di tutto SOCIALE e PSICOLOGICA.
Il loro essere tornati a fare i figli a tempo pieno fa perdere la bambinità orizzontale che è straordinariamente importante a questa età.
Rischiamo che la benemerita e volonterosa “didattica a distanza” (io preferisco non a caso chiamarla “didattica della vicinanza”) diventi un comodo surrogato a questa mancanza di riflessione sui bambini ridotti solo alla scolarità. Le ragioni non sono affatto legate solo ai genitori e al lavoro (anche se non è tema da poco), ma prima di tutto alla condizione infantile che è quella che sta pagando di più questo confinamento. Con tutte le cautele del caso, e tenendo conto che abbiamo tempo due mesi per prepararci (calerà questa maledetta gaussiana!), perché non cominciare a pensare anche a questa ipotesi estiva?
Perché non pensare debbano esserci anche i nostri insegnanti, magari come volontari e pagati, per ri-prendere la vita di relazione e anche un po’ di ricostruzione di un legame (non “recupero”, per carità) con la scuola?
E non sarebbe opportuno pensarci in primis per i bambini con disabilità e poveri confinati due volte nell’isolamento? Proviamo almeno ad avere la voglia di pensarci? Se qualcuno ha alternative le dica, ma restare fermi al metafisico ritorno alle scuole tradizionali a settembre mi pare corra il rischio di aumentare le diseguaglianze e i problemi evolutivi dei bambini. Se gli scienziati sanno scrivere regole serie per gli operai, non possono farlo anche per i bambini? Meglio all’aria aperta con la mascherina che chiusi nel loro confino quasi eterno.
Chiediamo dunque che la Commissione Corrao ne parli, la veda come questione strategica e non accessoria o sentimentale. E che in questa Commissione ci sia chi sa qualcuno che sa dei bambini e dell’educazione (non solo della scuola) mi pare il minimo.