La promozione sicura autorizza a non studiare più?
di Aluisi Tosolini, ds del Liceo A. Bertolucci di Parma
Dal 24 febbraio, primo giorno di sospensione delle lezioni in provincia di Parma, ho dato il via ad alcune nuove routine che segnassero il tempo nella nuova dimensione della scuola fuori dalle mura.
Tra queste due mail inviate a tutto il personale del Liceo Bertolucci, una al mattino e una alla sera (intitolate Mattutino e Tramonto), dove oltre a fare il punto della giornata che si apre e si chiude fornisco sia informazioni sulle attività in corso che sull’evoluzione normativa oltre che riflessioni più ampie di matrice culturale a partire dal linguaggio poetico.
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Questo il Mattutino di oggi 3 aprile, dedicato alle riflessioni e alle informazioni in ordine alla conclusione dell’anno scolastico, in attesa dell’uscita del documento La scuola fuori dalle mura pubblicato oggi da Avanguardie educative – Indire ed alla cui stesura ho partecipato e che è centrato proprio sul tema della valutazione.
Ai docenti del Liceo Attilio Bertolucci
1. ipotesi su come avviarsi alla chiusura dell’anno scolastico
Come certo sapete, procede il dibattito sugli scenari di chiusura dell’anno scolastico.
Tra le diverse anticipazioni vi è la bozza di un articolato che il Ministero sta limando e discutendo e che dovrebbe diventare, entro la fine di questa settimana, un decreto legge (perchè per cambiare l’esame di stato occorre una legge, non bastando un semplice DM)
I media stamattina (sia tv che giornali) danno la loro interpretazione del testo evidenziando i diversi aspetti.
Al riguardo credo corretto sottolineare – dal mio punto di vista – alcuni elementi del possibile dibattito sulle norme di chiusura dell’anno scolastico e in particolare sul tema della valutazione e del senso complessivo del nostro lavoro.
Facile infatti che serpeggi, e non solo tra gli studenti ma anche tra insegnanti ed educatori, l’idea che siccome tutto rischia di finire con una sorta di 6 politico, allora tanto vale smetterla di lavorare, e far lavorare, con serietà ed impegno.
In questo mese abbiamo spesso sentito raccontare la storiella del leone e del colibrì.
Il primo scappa davanti all’incendio della foresta, il secondo ci vola sopra portando la propria goccia d’acqua per collaborare a spegnere le fiamme.
In queste settimane abbiamo anche visto e sentito moltissimi leoni da tastiera. Coraggiosissimi nel commentare (e in sostanza irridere) i molti colibrì kantiani che reputano doveroso dar senso alla propria esistenza facendo in primo luogo quanto (molto o poco che sia) è nelle proprie possibilità per spegnere l’incendio.
Rispetto al tema “come finirà l’anno scolastico” credo sia giusto porsi poche ma essenziali domande che vanno al cuore del nostro lavoro e del suo senso.
1. Se pensiamo che di fronte ad una ipotesi tipo “tutti sostanzialmente ammessi al prossimo anno di corso” non abbia molto senso continuare a lavorare con impegno, serietà e tenacia, significa che aderiamo all’idea che la scuola – e l’impegno connesso – sta in piedi solo a motivo della coercizione dei voti, degli esami, dello spauracchio della bocciatura. Ma allora, è bene dirselo, non si tratta di scuola come luogo di costruzione e creazione di cultura ma di altra istituzione totale. Su quale, nello specifico, hanno ben detto Foucault e Goffman.
2. Se fosse così significa anche che la nostra autorevolezza non deriva tanto dall’essere prima di tutto intellettuali, scienziati, persone di cultura, appassionati al sapere ma solo addetti alle istituzioni totali di cui sopra. E’ sempre un mestiere importante, sia chiaro, ma di natura decisamente diversa. Basta saperlo.
3. Di conseguenza, se pensiamo che oggi il nostro lavoro non ha più senso “perchè tanto qui si rischia che sono tutti promossi“, occorrerà pur dirsi per quale motivo il nostro lavoro avrà senso da settembre in poi e aveva senso prima di febbraio. Solo perché addetti ad istituzioni totali? Solo perché signori dei voti e delle promozioni e bocciature?
4. Onestamente credo che questa emergenza e crisi globale, che sta intaccando i paradigmi socio-culturali ed economici su cui si è costruita negli ultimi 50 anni la società nella quale viviamo, costringa ognuno e ognuna di noi di dire e a mostrare nei fatti, nei confronti dei nostri studenti e delle famiglie degli stessi, chi davvero siamo.
Di che pasta ognuno di noi è fatto.
Che genere di uomo e donna, che tipo di persona prima che di educatore, ognuno di noi è.
Oggi, e quando questa crisi sarà finita.
2. Patrizia Valduga
Poetessa irriverente e controversa, partita studiando medicina a Padova ma poi finita a Lettere a Venezia a studiare il barocco e su su fino a Pascoli, dichiarando poi il proprio amore assoluto per Manzoni.
Attorno al 2000 ha scritto questa fulminante quartina.
Credo chiuda bene il mattutino di oggi
“Io sono sempre stata come sono
anche quando non ero come sono
e non saprà nessuno come sono
perché non sono solo come sono”