COVID-19: come si rovescia un sistema

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io_noidi Ariella Bertossi, dirigente scolastico.

“C’era una volta una scuola con tanti bambini dove ogni giorno si insegnavano e raccontavano tutte le meraviglie del mondo…
Poi arrivarono i sussidi didattici, le lavagne interattive, i computer, internet, la didattica digitale, le flipped classroom, le piattaforme interattive, le banche dati e tutto il mondo on line e gli insegnanti, che facevano il mestiere più bello del mondo, si trasformarono in tanti piccoli videoterminali”.

Potrebbe essere l’inizio di una favola del futuro, ma per fortuna così ancora non è.
La rapida evoluzione del COVI-19, culminato in pandemia, ha scosso profondamente il nostro mondo e in pochi giorni anche il complesso meccanismo che regola l’istruzione nel nostro paese.


La crescita esponenziale del contagio non va d’accordo con la lentezza dei sistemi, tanto più se si parla di sistema scolastico italiano, dove ogni sperimentazione ed innovazione, qualora non bloccata sindacalmente ancor prima della sua nascita, necessita di tempi molto lunghi.
Dopo i primi percorsi di alfabetizzazione digitale e incrementati anche dall’introduzione massiva del registro elettronico e della segreteria digitale, i docenti negli ultimi dieci anni sono stati bombardati di iniziative a carattere tecnologico, con proposte a partire dall’infanzia. Parlare di coding, pensiero computazionale, digital story-telling, e-book, fumetti e bacheche digitali non dovrebbe essere più un mistero per un docente che vuole essere al passo con i tempi.
Non si tratta di affermare la vittoria di una didattica nuova rispetto a quella tradizionale, ma di convenire che la rete e il digitale in genere consentono un livello di interazione e di interattività che una lezione meramente espositiva non offre.
Certamente avere una LIM o un monitor in classe non significa fare innovazione, se il video è solo sostituzione di una lezione espositiva, ma si può affermare che le tecnologie sono le uniche strategie didattiche veramente inclusive in quanto possiedono tutti gli strumenti compensativi e dispensativi che agevolano il lavoro di ciascuno, non solo dei BES.
Consentono inoltre di recuperare i contenuti quando gli studenti sono assenti, mantengono il contatto con gli alunni ricoverati in ospedale o a casa per patologie varie. Sono democratiche perché, data una rete, aiutano tutti nella partecipazione. Si affiancano al ruolo essenziale del docente, non più detentore del sapere, ma come colui che lo organizza, lo struttura e lo rende assimilabile. La sua funzione è determinante e le tecnologie un supporto al suo servizio.

Molti docenti, in genere i più conservatori, sono stati tuttavia spesso riluttanti ad accogliere le tecnologie in classe. Alcuni si sono opposti fieramente al digitale vuoi per pigrizia, vuoi per reale difficoltà dimostrata anche dalla ritrosia nell’uso del registro digitale, che invece ha notevolmente agevolato le operazioni burocratiche, soprattutto durante gli scrutini. In effetti non è semplice cimentarsi con questi strumenti, che per noi spesso sono tutt’altro che intuitivi e per i quali c’è bisogno di assistenza costante soprattutto all’inizio. Pensiamo a tutte le volte in cui abbiamo cambiato un cellulare o un PC negli ultimi anni: le difficoltà nella comprensione
dell’uso c’è stata, magari risolta con un click se in mano ai nostri figli. Ultimamente ho comprato un forno nuovo e ho pensato che se l’avesse comprato mia mamma, che pur cucina bene, a mala pena avrebbe saputo accenderlo.
Il digitale ormai è intorno e dentro di noi e dobbiamo farcene una ragione. Invece non è scontato nella scuola, creando in alcuni casi scuole a più livelli e diversi livelli di stili di insegnamento, dal docente più smart a quello che invece va avanti a fotocopie (con buona pace della tendenza Green).
Gli studenti devono adeguarsi a quanto ogni insegnante propone, nonostante ce ne siano molti ormai che si avvalgono di supporti digitali grazie ai quali parte del lavoro può essere agevolato. Anche nel primo ciclo ci sono tantissime possibilità e stimoli da questo punto di vista, ma certamente è bene che soprattutto i piccoli consolidino le abilità di base che non necessariamente hanno a che fare con il digitale.
È possibile aderire a piattaforme che consentono di iscrivere gli studenti a classi virtuali, offrendo non solo la possibilità di interagire con modalità simili a Facebook (bacheca per commenti, invio di materiali, foto, chat ecc.), ma anche e soprattutto di inviare e ricevere materiali di lavoro, verifiche on line e altri compiti che i ragazzi possono svolgere in classe e a casa. I sistemi consentono di reperire contenuti video, audio, accesso a quotidiani di tutto il mondo per svolgere delle lezioni in classe in modo molto più coinvolgente della lezione frontale e soprattutto, forse, più in linea con le modalità di approccio dei nostri studenti, che per la loro natura sono più avvezzi alle modalità digitali rispetto a quelle cartacee e frontali.

Da tempo dunque i docenti si misurano con le tecnologie e, anche a seguito della con il Piano Nazionale della Scuola Digitale, L. 107/2015 si è dato un grande slancio moltiplicando le proposte di didattica digitale. Tutti i docenti hanno a disposizione un buono acquisto annuo per poter dotarsi di attrezzature informatiche e aderire a corsi di aggiornamento per adeguarsi alle novità che la professionalità docente, sempre più complessa, continuamente pone.

Poiché tuttavia da alcuni l’aggiornamento non è considerato un dovere, l’adesione a tutte le proposte è stata subordinata alla propria professionalità e al singolo desiderio, quindi non generalizzata. Nella scuola si viaggia a più velocità, esercitando la pazienza da parte dei nostri studenti che, come sempre, si adeguano a quanto viene loro proposto. Su che basi poi però tutti i docenti debbano certificare la competenza digitale dei propri studenti non sempre si sa…
In questa situazione di estrema variabilità succede però che ad un tratto arriva un virus che si espande con una velocità e pericolosità tale da causare la sospensione prolungata delle attività didattiche.
Dopo l’euforia dei primi giorni, durante i quali nessuno si è particolarmente preoccupato pensando che la situazione si risolvesse in tempi brevi, ora lo scenario è cambiato, creando la necessità di dover agire per sopperire a quanto gli alunni stavano perdendo con la mancata frequenza scolastica. Da un timido inizio con l’invio di materiali via mail o tramite registro elettronico, la forza della didattica digitale si è riversata nell’ordinario come un fiume in piena, facendo nuotare con stile i fautori dell’innovazione e ad annaspare chi invece di digitale proprio non ne ha voluto sapere. Nel giro di poche settimane, a guardarla dal di fuori, la scuola sembra totalmente stravolta: aule vuote, docenti a registrare videoconferenze, materiali digitalizzati, connessioni potenziate, tecnici costantemente impegnati in supporto e tanto, tanto mutuo insegnamento.

È stata la più grande formazione sul campo mai vista, che ha stanato i più “conservatori” costringendoli a produrre digitale, fosse anche una foto, ma digitale. Il trionfo dei docenti più giovani, contro i “dinosauri” che sicuramente possiedono competenze disciplinari e professionali maggiori, ma che dal punto di vista strumentale si sono affidati anima e cuore al collega appena arrivato, ma competente. Sì competente, perché di fatto in questa situazione è stata la competenza digitale a salvare da un annegamento certo.
Ed è questa stessa competenza che è posseduta maggiormente dagli studenti che dai docenti: sono spesso loro a poter guidare i docenti che iniziano, sanno come risolvere i problemi e dove andare a cercare i tasti giusti. Docenti e studenti ritrovano un terreno comune, sul quale forse è il docente a sentirsi meno sicuro, ma che invece fa sentire a suo agio il nativo digitale.
Quando tutto sarà finito, l’emergenza da COVID -19 ci avrà lasciato delle grandi opportunità, un nuovo modo di fare scuola, il conoscersi dal divano di casa, nei nostri affetti e nei nostri gusci, magari con il cane vicino, nella nostra dimensione umana oltre che professionale. E i docenti?

Quelli che stanno facendo scuola a distanza sono elettrici, galvanizzati, presi in un vortice totalizzante, novelli “Alice nel Paese delle Meraviglie”. Si sentono utili, contenti, certamente anche molto stanchi perché il lavoro di preparazione è intenso e totalizzante: sanno di aver creato un ponte che senza questa opportunità ci avrebbe messo più tempo ad attivarsi. Le video lezioni di gruppo poi sono state spesso uno spasso, un clima da gita scolastica, ma molto proficuo. Insomma direi un successo: speriamo che tutto non sparisca insieme al morbo!

Ogni istituto ha organizzato e messo in piedi quanto possibile per raggiungere i propri studenti, dai bambini della scuola primaria fino alle sezioni dei corsi serali. Improvvisamente la domanda “cos’hai fatto a scuola”, posta ogni giorno dai genitori e alla quale spesso si sente rispondere un “niente” diventa inutile: un genitore ha ora il polso di quanto accade a casa, può seguire concretamente cosa il figlio fa e soprattutto che cosa il docente propone.
Stiamo assistendo al rovesciamento di un sistema: il docente con la funzione di controllo sugli studenti diventa controllato da chi, preoccupato per il protrarsi della mancata frequenza, comincia ad essere insofferente e si informa, chiede, sollecita, propone, confronta, giudica, valuta. In questa situazione i docenti dimostrano tuttavia molta disponibilità e collaborazione. In un’organizzazione che non ha mai contemplato il lavoro di docenza da casa, senza strumenti, senza formazione e senza organizzazione alcuna, i docenti hanno messo in campo le loro risorse, ognuno come ha potuto, considerando la propria funzione e la contingenza di un momento che vede nella scuola e nell’istruzione forse l’unica parvenza di normalità dove nulla è più normale.

Cosa avremmo fatto senza questa opportunità? Come avremmo sopperito senza la rete ad un periodo di chiusura così lungo e del quale non vediamo ancora la fine?
Ma intanto a scuola ancora non si torna, costringendoci a compiere ulteriori passi: le attività proposte in modo autonomo e indisciplinato vanno organizzate, definite e chiarite. Quanti sono gli studenti raggiunti? Con che modalità? C’è uniformità di proposte? E come valutiamo? Questi tutti i dubbi e i quesiti che, un passo alla volta ci troviamo ad affrontare ed emerge, con nuova insistenza, il problema maggiore di tutti i docenti: la valutazione. Anche in questa situazione, dove valutare è un’incognita perché dall’altra parte dello schermo ci potrebbe essere chiunque, la valutazione tenta di riprendersi il podio tra le attività del docente.
Anche nell’emergenza, quando l’accento dovrebbe essere posto sull’essenziale e cioè sul dare degli strumenti di apprendimento, la valutazione arrovella e strugge (tutto sommato comprensibilmente) le menti dei poveri docenti. È certamente importante dare valore a quanto i ragazzi producono e fanno, dare un feed-back, sollecitare, spronare, ma in questi frangenti una valutazione non può essere che positiva, perché se in classe a volte i ragazzi dormono, ma ci sono, on line basta un click e non ci sono più. Qual è dunque il fine di averli connessi con il mondo della scuola? Il voto? La burocrazia uccide l’umanità ed è in situazioni come queste che c’è bisogno di far sentire la vicinanza, più che usare una didattica a distanza, come ha ben detto la dott.ssa Giovanna Boda del MIUR.

In questi giorni molti hanno capito che forse non è la mail il canale comunicativo da preferire, che ci sono strumenti ed un mondo enorme a disposizione e soprattutto che c’è bisogno di formazione perché dal digitale non si torna indietro, perché la abilità e le competenze da coltivare sono altre e sono ormai evidenti, perché la didattica deve fare i conti con ambienti che, anche se non sono i nostri, questi ormai sono.
Se entrando in classe finora molti cellulari andavano depositati in un cassetto, forse ora andranno rivisti come risorsa e strumento e magari, non considerandoli più banditi, ma mezzo di studio, gli studenti li sostituiranno con qualche libro letto di nascosto, sotto il banco, come facevamo noi con le poesie decadenti.

Auspico pertanto che questa terribile esperienza, che stavolta è toccata a noi, non passi invano, ma ci arricchisca di esperienze preziose e upgrades notevoli.
Un ultimo pensiero vorrei mandarlo a noi dirigenti, che in questa situazione siamo stati in prima linea districandoci tra i non detti dei proclami e le interpretazioni dei DPCM susseguenti: se da un lato abbiamo sperimentato uguali forme di comunicazione a distanza, ci siamo sentiti molto più uniti, ma ancora una volta, purtroppo, sempre più soli.