Didattica a distanza: luci e ombre

io_noiL’avvio delle attività di “didattica a distanza” sta aprendo un viavce dibattito in rete. Molti osservano che non tutti gli insegnanti sono adeguatamente preparati o che non tutte le famiglie sono attrezzate.
Abbiamo raccolto un po’ di pareri su questo tema.

 

 

Raffaele Iosa

A me pare che la vera notizia (non scontata) è un’altra: c’è un 0 grande moto professionale della grandissima parte degli insegnanti che sentono (pensa un po’) l’assenza dei loro ragazzi in un’epoca molto difficile. Insomma una categoria considerata rancorosa e lavativa si impegna oggi con un’empatia forse inattesa.
Io parlerei oggi non tanto di didattica a distanza ma di didattica di colleganza, nei limiti di come è possibile nella testa di ognuno. Questa è la novità da comprendere se è solo emotiva o strutturale, e cioè la scoperta che la gran parte degli insegnanti curano (i care) i loro ragazzi e ne sentono l’assenza. Insomma un variegato moto pedagogico che pur con tutti i limiti e le differenze segnala passione e amore.

Come, in forme ben maggiori, stanno facendo medici e infermieri. Insomma mentre l’ospedale intuba anziani per salvarli, le maestre creano un legame di senso della vita con i loro nipoti. Notate inoltre l’imbarazzo dei sindacati (tutti) aridi e capaci solo di cavilli burocratici e di non comprendere cosa accade in milioni di case italiane.
Io penso che questa rinascita dell’identità pedagogica se ben apprezzata può dare anche uno slancio ad una maturazione formativa di molti insegnanti per competenze non tanto e non solo tecnologiche ma didattiche di base. Davanti ad un’epoca complicata possono sgorgare pensieri nuovi. Anche nella vecchia prof che manda solo pagine da leggere ed esercizi, come fa in classe, ma anche lei messa forse un po’ in crisi dalla novità. Io sto raccogliendo mini storie strepitose. Mai come adesso. Cogliamo l’attimo, sperando che dal tragico possano spuntare fiori nuovi.

Nanni Omodeo Zorini

Proviamo a ragionare per un attimo sulla situazione oggettiva presente. Motivi di sicurezza per la pandemia impediscono contatti ravvicinati e quindi l’attività scolastica abituale in situazione e nel contesto normale.
Alcune parziali ma non diffusissime e non totalmente generalizzate strutture informatiche nelle scuole c’erano e ci sono.
Nessuno che poteva e doveva farlo ha operato per renderle davvero attive in collegamento con eventuali dotazioni già presenti nelle famiglie che potevano permetterselo.
È abbastanza casuale episodico e fortunoso ora il poterlo fare in questa sciagurata occasione.
La formazione non è avvenuta e ciò è imputabile a tutti quanti (Ministero, istituzione scolastica nel suo complesso e, da ultimi, i paralizzati e ormai praticamente impotenti organi collegiali).
Può darsi magari che l’occasione di emergenza faccia maturare esperienze significative Da poter poi trapiantare, comunicare e socializzare altrove? Un sistema un po’ arrangiaticcio.
Ma intanto qualcuno sta cercando di farlo in vari ordini di scuole.
Considerato che tutti quanti, operatori scolastici di ogni livello e genitori si è impossibilitati a ritrovarsi insieme fisicamente, forse varrebbe la pena di lanciare il problema aiutando e stimolando la riflessione, l’elaborazione di ipotesi, di proposte e di progetti. E’ opportuno parlarne e soprattutto dimostrare che eserciziari e compiti a casa dati con WhatsApp non sono assolutamente un autentico far scuola.
Non lo dimentichiamo.
Certo è che quello educativo e della formazione è un procedimento che avviene solo in un contesto di socializzazione e di relazione!

Roberto Maragliano

Poco tempo fa parlai e poi scrissi (in un libretto) di ‘zona franca’ alludendo al fatto che il digitale (in quanto espressione di una cultura novecentesca, destrutturante, reticolare, antifondamentalista) mette comunque in discussione la scuola, costringendola a trasformarsi, almeno in parte, e che nel panorama italiano c’erano luoghi o zone in cui questo impegno di trasformazione era già in atto, sia sul piano didattico sia su quello pedagogico/culturale.
Mi ricredevo insomma sulla possibilità di intervenire positivamente con misure generalizzate (dopo l’uno-due berlingueriano e renziano), per via di una condizione generale e forse strutturale tendente alla conservazione dello status quo (su cui oggettivamente convergono amministrazione, editoria, sindacato, università, associazionismo professionale e via elencando).
Ora è capitato quel che sappiamo. Chiuse le scuole tutti hanno dovuto aprirsi alla nuova esperienza. C’è chi aveva provveduto a pensarci prima, sia pure per una quota (una zona del suo impegno), e dunque sapeva a che cosa poteva andare incontro, e chi s’è trovato di fronte ad una grossa incognita.
In ogni caso, anzi in tutti e due i casi (e in quelli intermedi) il problema, lo si sta capendo, non è nell’uso delle tecnologie, nel senso che queste possono essere o diventare nella pratica tanto rigide o tanto flessibili quanto rigidi e flessibili sono i modelli di sapere e di disciplina cui si fa riferimento.
Lì sta il problema. Basti pensare al tema dello scrivere, che non è quello dello scrivere temi. La differenza fra partire da un foglio o da uno schermo bianco e partire da un testo presistente non ha a che fare con la tecnologia, ma con il sapere scrittorio e la didattica che ne deriva.
A seconda se faccio riferimento all’uno o all’altro modello uso quella o quell’altra tecnologia, oppure uso la stessa tecnologia in un modo o in un modo contrario. Discorso che rischia di diventare lungo e complesso (e comunque costringe ad uscire dal luogo comune de ‘i ragazzi non sanno scrivere perché sono distratti, perché fanno poca grammatica, ecc.’).
Ciò che sta avvenendo nella scuola italiana, per effetto del coronavirus, è la partecipazione collettiva ad un grosso, sia pure forzato, laboratorio di progettazione del futuro, non della tecnologia, ma della didattica e del sapere. Dopo, sarà più difficile sostenere posizioni del tipo ‘un tempo sì che la scuola funzionava’.

Franco De Anna

E se provassimo a cogliere l’occasione (triste) per qualche impegno di approfondimento più sensato? Discutere su “distanza” e primato della “relazione educativa” è francamente una raccolta di banalità in cui “tutti hanno ragione”.
Alle spalle, o se volete alla base sta la questione del rapporto tra ITC e processi di apprendimento. L’on line è solo una variante come tale legata a scelte condizionate contingentemente… altrimenti ce la giochiamo in una partita truccata tra chi dice “facciamo per il meglio” e chi rimarca “attenzione al peggio”.
In tale situazione di dibattito culturale inaccettabile rispetto alla situazione di emergenza, dove praticamente vale “cerchiamo di fare il possibile”, ci troviamo anche perché il primo fondamentale quesito “apprendimento e TIC” è stato “glissato” e, devo dire, proprio dalla componente conservativa della cultura scolastica. Spesso si dice che ogni conservatorismo è il prodotto della rivoluzione precedente.
Nel caso specifico mi sfugge la connessione

Marisa Faloppa

Un panorama variegato di modi per annullare le distanze… lezioni frontali, didattica attiva, empatia…
Il virus non annulla i metodi, non cambia le persone. E anche le famiglie restano quelle che sono: alcune non sono in grado di collegarsi alla rete, c’è chi non ha lo smartphone, chi non ha il televisore.
Ci sono ragazzi autonomi, altri che hanno bisogno di aiuto e c’è chi ha bisogno di aiuto solo per i compiti, chi per tutte le azioni quotidiane. È per questo che se la scuola online si sforza di tutelare il diritto all’istruzione dei ragazzi italiani dobbiamo essere consapevoli che alcuni sono in questo momento fortemente svantaggiati e dovremmo da subito e dopo l’emergenza adoperarci per colmare il divario.