Questioni di cheating: il copiato e i compagni

bambini_maestradi Alessandra Fantauzzi

Il presidente uscì sulla porta con il foglio dell’ appello e cominciò a sgranare il rosario dei cognomi e nomi. Nel primo mattino di quel diciotto giugno, il profumo ostinato dei lillà , maledettamente in ritardo nella fioritura del giardino della casa di fronte sembrava fatto apposta per opprimerci. Il fiato era corto.
I nostri “presente” venivano sillabati, singhiozzati,sghignazzati, urlati, sibililati, sussurrati seguendo le partiture della nostra attesa. La versione di latino, seconda prova di quell’ esame di maturità, se ne stava piegata in una busta gialla, nel buio di chissà quale segreto cassetto: poche righe d’ inchiostro nero sulla carta bianca ,  nove o dieci solchi dai quali sarebbero germogliati i tralci che avremmo dovuto piegare alle nostre significazioni.
Eravamo ben consapevoli che non sempre le nostre operazioni di piegatura rispondevano al rigore filologico ed ermeneutico del testo e questa era la nostra angoscia di “agrimensori” della lingua di Plutarco e Virgilio.
– Fantauzzi Alessandra – chiamò la voce del presidente di commissione, biascicai il mio   “presente” e imboccai l’androne delle scale.
Nell’ Aula Magna il giovane sole estivo si rovesciava dai lucernari sui banchi disposti l’ uno dietro l’ altro. Faceva già un caldo bestiale.
Trovai posto in terz’ ultima fila, tirai fuori le penne e il mio stropicciato “Castiglioni Mariotti”. La Commissione entrò cercando di darsi l’aria solenne che l’ esame di Stato richiedeva, nonostante l’ effetto serra di quell’ aula esposta ad est.
Il presidente chiamò i tre in prima fila e la busta fu aperta :“Scripseram tibi verendum esse, ne ex tacitis suffragiis vitium aliquod exsisteret”, Plinio il Giovane esaminava gli inconvenienti della votazione segreta.


Tirammo un sospiro di sollievo: non avremmo dovuto inerpicarci nei “sottintesi” della costruzione di Tacito nè interpretare la brevitas della sua narrazione e   rischiare tra i calanchi della sua inconcinnitas col rischio di precipitare nell’ asimmetria del costrutto nè dipanare il filo del periodo  di Cicerone.
Plino il Giovane e il suo stile, “neutro e anodino”ci rassicuravano.
Il presidente accompagnando le parole con il leggero scuotimento della sua canizie folta, tagliata “alla mascagni”, ci  ammonì : “A chi venisse scoperto a copiare sarà ovviamente ritirato il compito e l’ episodio riportato a verbale, con le conseguenze sull’ intero corso dell’ esame che ben potrete immaginare”.
Tacque e ci lasciò a noi stessi, al nostro intuito, alle nostre conoscenze, alla nostra tempra ed alla nostra scaltrezza. Mi buttai a capofitto nella traduzione. La professoressa Mancini era un buon membro interno, anche se aveva il difetto d’ insegnare chimica ed essere umorale.
Ci conosceva e possedeva la necessaria autorevolezza e con quella autorevolezza, sollevando appena il sopracciglio destro, aveva cominciato a fare smorfie di disappunto in direzione della prima fila.
Sollevai il naso dalla versione e cercai di capire il perché di quelle “facce” quando incrociai lo sguardo terrorizzato ed implorante di Antonino, seduto proprio in prima fila.
Antonino non aveva mai avuto con la traduzione della prosa latina un rapporto sereno. Il suo straordinario estro di artista, la sua intelligenza vivida e sognante, la sua grazia di creatura che pareva attraversare la terra senza mai calpestarla, cozzavano con il rigore della prosa. Amava la poesia: Catullo,Albio Tibullo, Properzio; amava l’ eros, il tormento, l’ estasi, l’ elegia e sapeva anche tradurle ma di fonte al rigore logico, all’ argomentare incalzante dei prosatori, degli oratori e perfino degli storici era completamente disarmato.
Le sue risorse di intuizione, di insight che mirabilmente lo aiutavano a tradurre i tormenti di Catullo  risultavano tragicamente inservibili a fronteggiare Plinio Il Giovane. Lo sapevamo tutti.
Ben lo sapeva la professoressa Mancini e, infatti, le sue occhiatacce eloquenti da “vajassa de’ Pallunnette” erano un: “Maronna d’ o Carmene, aiutale tu! Stu babbasone ca’ s’ è zettat’ o primm’ banc’!”
Capii immediatamente e mi girai di lato, verso Sandro, che sedeva una fila davanti alla mia e che aveva partecipato con successo al “Certamen Ciceronianum Arpinas”.
Sandro si girò verso Antonio, Antonio verso Anna: dovevamo fare corpo, formare la “social catena”, dare fondo alle nostre abilità banditesche, alla nostra scaltrezza di pirati del compito in classe, al nostro coraggio di guerriglieri del “passaggio segreto”, senza esserci addestrati: come avremmo fatto senza la possibilità di fogli non vidimati, così sparpagliati, senza modo di alzarci per due ore, ad aiutare quell’ incauto cacciatore di farfalle?
Lanciavo verso Antonino segnali di rassicurazione e d’ intesa anche per tenere desta la sua attenzione a “ricevere il pallone” dal momento che la sua tempra di trasognato giocatore, rischiava di manifestarsi in modo clamoroso in quel periglioso frangente e, allo stesso tempo, cercavo la conferma della complicità con il centrocampo e le retrovie evitando di scoprirmi.
La mia controllata concitazione non sfuggì ad uno dei membri di commissione che mi ammonì: “Signorina, non si agiti e la smetta di disturbare i compagni!”.
Ero, come si dice, nell’ occhio del ciclone,   bruciata, da quel momento in poi inservibile all’ economia dell’ azione e dovevo battere in rititirata. Incrociai l’ ultimo supplichevole sguardo di Antonino e mi rificcai con il naso tra le pagine del Castiglioni Mariotti con la serenità di un boia alla sua prima esecuzione.
Dietro di me, allo scadere del tempo consentito per uscire una voce tremante: “Posso andare in bagno?” Era Eugenia. Chissà perchè pensai che si sentisse male e me ne preoccupai ma non feci ciò che avrei voluto fare, cioè accompagnarla. Eugenia mi passò davanti compita, seria, a timidi passi: teneva i fogli del compito svolto ,da consegnare prima di uscire, la regola era questa,   nella mano destra, come un breviario. Tentennò un brevissimo attimo all’ altezza della prima fila, poi con voce sommessa: “Signor presidente, professori della commissione, credo che nelle fotocopie della versione che ci sono state distribuite, vi sia un’ ombra che rende di difficle interpretazione la versione stessa.”
Il Presidente alzò gli occhi dalle scartoffie che stava leggendo con un “Perbacco! Vediamo..”
“Ecco qui.” Eugenia indicò un punto sulla carta. Il presidente si abbassò gli occhiali sul naso e annuì. Poi rivolto alla giovane professoressa con gli orecchini pendenti disse: “Mi dia l’ originale. Professori membri di commissione, ragazzi, darò lettura espressiva, ad alta voce, non solo del brano in ombra, ma dell’ intero testo. Vi prego di prestare attenzione ed apporre le chiarificazioni necessarie. Il tempo impiegato in questa operazione, diciamo , orientativamente 10 minuti, sarà aggiunto per tutti a procrastinare il termine di consegna.”
Poi rivolto ad Eugenia: “Signorina, torni a posto, uscirà fra un poco, così avrà modo di ricevere le chiarificazioni necessarie.”
Eugenia tornò a posto e il Presidente lesse ad alta voce la versione sbalordendoci tutti. La sua voce si appoggiava sulle pause, danzava sulle locuzioni, dipanava il filo di una lingua di duemila anni, chiarificava, insomma. Terminata la lettura chiosò: “Fine dell’ intervento chiarificatore. Professoressa Mantegna metta a verbale. Buon lavoro. La signorina che ha sollevato la questione può uscire.”
Eugenia si alzò, consegnò i fogli ed uscì.Non mi accorsi di quando rientrò: ero impegnata a districarmi tra un ablativo assoluto che sembrava indissolubile nonostante la lettura chiarificatrice e i grovigli del senso di colpa per aver abbandonato Antonino alla sua sorte.
Ogni tanto alzavo lo sguardo ma lo vedevo intento a scrivere: possibile che fosse così stizzito dalla mia “manovra avventata”, che aveva compromesso qualsiasi possibilità di fiancheggiamento,  da aver superato la disperazione con uno sdegnata rinuncia a cercare aiuto e a cimentarsi comunque nella traduzione?
O forse aveva avuto un insight?
Pensai molte altre cose e allo stesso tempo fronteggiai le lagnanze di Plinio contro chi aveva scritto, protetto dall’ anonimato, oscenità sulle schede durante votazione a scrutinio segreto. Mi dissi che Plinio non sarebbe sopravvissuto alla giornata di uno scrutatore in uno sperduto seggio dell’ Italia Repubblicana e mi riproponenevo di riderne con i compagni all’ uscita da quella seconda galleria, quando la voce di Antonino cinguettò : “Ho finito!”    “Maronna d’ O Carmene!”  esclamò la professoressa Mancini e non capii se la sua fosse un invocazione o un ringraziamento
“Venga giovanotto.” Invitò il presidente di Commissione.
Antonino con i suoi sandali alati e la sua leggerezza di aerea creatura, consegnò il compito, tornò al suo posto, prese il suo vocabolario ed uscì. Fui sollevata: rapidamente finii anch’ io e consegnai il compito. Scesi le scale con il cuore in gola pensando che avrei dovuto affrontare la sua stizza e forse anche quella degli altri compagni. Li trovai assiepati sul marciapiede di fronte al portone.
Si voltarono e scrosciò un applauso: pensai fosse sarcasmo ma vidi Antonino allargare le braccia e venirmi incontro : “Ecco a voi: Mata Hari!” esclamò ridendo. L’ ansia scemò e allargai le braccia a mia volta.
“Come è andata?” chiesi.
“Benissimo direi, ho copiato dalla migliore fonte della classe ma non dirò mai chi è perchè non ci crederesti.”
Aspettammo che uscisse anche il nostro membro interno, la professoressa Mancini. Uscì tardissimo, trafelata e accaldata. Ci salutò con un “Sia fatta la volontà del cielo! Voi ancora acca’ state? E’ andata di lusso, ma vui vagliu’ studiate! E nun me facite fa brutte figure sinno’ ve vatte! E stateve scetate quanne è o’ tiemp! Reattivi come l’ acido trifluoroacetico! O’ presidente è nu sant’ omme : sa tutto, vede tutto : è n‘ insegnante con la I maiuscola! Iatevenne a casa e ci vediamo il due luglio!”
Andò bene. I voti dati alla versione furono nella media della sufficienza. Fummo ammessi all ‘orale di quella formula di esame che per la prima volta in tanti anni, vedeva fra le materie sorteggiate “Storia dell’ arte”.
Antonino sostenne il suo esame con Filosofia e Storia dell’ Arte, il mio stesso giorno, il 2 luglio. Io fui la prima della giornata lui l’ ultimo, ed ebbi il privilegio d’ estasiarmi per il sua appassionata, appassionante, intelligente disquisizione, il suo parallelo fra la pittura di Hopper e la poetica di Pavese, così come oggi, a distanza di più di trent’ ann,i m’ estasiano le sue creazioni di moda, sculture sospese tra la terra e il cielo. A lui, agli altri compagni e al Presidente della Commissione di quell’ esame di Maturità Classica del 1984, ho ripensato la mattina del maggio di un paio d’ anni fa, quando nell’ esercizio del mio ruolo di sindacalista, mi sono imbattuta nella contestazione d’ addebito rivolta a tre colleghe.

L’ addebito contestato, fondamento giuridico dell’ avvio di una sanzione disciplinare era il cheating.
“Ma ch’ r’è stu cheating?” immaginavo la faccia della professoressa Mancini. Immaginavo di doverlo spiegare a lei austera e inflessibile vestale delle ossidoriduzioni.
“ Professoressa è accaduto questo: in una classe seconda della scuola primaria..”
“Fantau’, che grado di scuola è una scuola primaria?”
“In una classe seconda di una scuola elementare.”
“Ho capito: in una seconda elementare. Ma tu figlia mia devi parlare chiaro: che so’ tutti sti parole ca’ nun se capisce che vuo’ dicere?”
“ E allora professoressa deve sapere che dal 2000 la scuola elementare si chiama primaria e dal1999, anno della riforma che introduce l’autonomia scolastica il CEDE viene trasformato in INVALSI, Istituto nazionale per la valutazione del sistema dell’istruzione, con il compito di “vegliare” sull’efficienza e l’efficacia del sistema di istruzione. Nel 2004 l’Istituto viene riordinato dal ministro Letizia Moratti e ridenominato Istituto Nazionale per la Valutazione del sistema educativo dell’istruzione e della formazione con il compito di effettuare prove periodiche e sistematiche degli esiti di apprendimento. A partire dall’anno scolastico 2005/06 l’INVALSI predispone le prove nazionali e ne cura lo svolgimento….”

“O vire, mo me pare n’ enciclopedia. Ma iamme nanze, sinnò facimme notte!”

“Le prove, altro non sono che dei test standardizzati di profitto e vengono somministrate alla fine della seconda e della quinta elementare, in terza media e nelle classi che si apprestano a fare l’ esame di maturità..”

“Somministrate? E che so’? Pillole? E chi le somministra l’ infermiera? ”

“Professoressa ma se lei continua ad interrompermi non ne veniamo a capo! Sono quiz a risposta multipla, come quelli della patente se li ricorda? Uguali in tutte le scuole d’ Italia. In alcune classi vengono somministrate dagli stessi insegnanti della scuola che per l’ occasione vengono spostati nelle classi in cui non insegnano, in altre classi, dette “campione”, arrivano i somministratori esterni mandati dall’ Invalsi.”

“Azz! Dall’ Invalsi? Ma nun so’ insegnanti?”

“Certo che sono insegnanti!”

“E perchè li manna l’ Invalsi e no il Ministero ?”

“Sarebbe troppo lungo da spiegarle. L’ INVALSI, tiene particolarmente che non si verifichino episodi di cheating, non vuole che si copi insomma!”

“Ihii Fantau, manco noi durante i compiti in classe che facevate voi! Ma pecchè o chiammano ‘cheating’ e no copiatura se di una copiatura si tratta?”

“Perchè utilizzano l’ inglese che poi è la lingua internazionale degli statistici.”

“E questa scoperta dell’ acqua caura aveva bisogno di essere rinominata? Acca’ ce sta n’ mbruglie’!”

“ Dunque in questa seconda elementare viene somministrata la prova di matematica da due insegnanti che non sono le insegnanti della classe, una di loro è addirittura una supplente nominata per quel solo giorno. A salutare i bambini prima della prova va l’ insegnante di classe che li rassicura dicendo loro che la scuola non è una gara ma un percorso dove ognuno fa la sua parte, che si deve suonare tutti insieme. In quella classe ci sono bambini stranieri e al momento in cui vengono distribuite le prove, scritte in italiano, sono in difficoltà, qualcuno di loro comincia a piangere.”

“E se capisce, so’ piccirille!”

“Ognuno di loro usa la propria penna per rispondere, anche perchè nè l’ Invalsi, nè il Ministero, nè la scuola si curano di fornirle. Le maestre allora, si avvicinano ai bambini in difficoltà e li rassicurano, li incitano a rileggere.”

“Insomma fanno il loro dovere d’ insegnanti mi pare normale. Mi stupirei del contrario.”

“ Finisce la prova, i bambini vanno a casa. Uno di loro, racconta al papà che le maestre non solo li avrebbero invitati a copiare ma addirittura avrebbero dettato loro le risposte giuste, perchè la classe risultasse la migliore e loro le migliori maestre!”

“O’ piccerille rice chelle ca capite isse, comme fanne sempe i peccerelle. So’ peccerelle… E o’ pate? Comme faceva a nun capi’ ca chelle nun erano manco le insegnanti del figlio e non avevano interesse a fa’ risulta’ a classe migliore?”

“Il padre scrive al Dirigente.”

“O’ Dirigente? E che re’?”

“Al Preside, professoressa.”

“E o’ Preside nun straccia a’ lettera, o chiamm e le fa na’ lavate e’ cape? Nun le rice come si è permesso d’ infangare gli insegnanti stanne a sentere nu peccerille e’ sett’ anne? Sette anni! Gesù mio!”

“Il padre dice di aver scritto anche all’ Invalsi e il dirigente a quel punto avvia il procedimento disciplinare per le insegnanti. Nomina una commissione interna con il compito di verificare la legittimità delle prove, di verificare addirittura se i bambini hanno usato le penne cancellabili! Alle colleghe viene addirittura contestato di non aver vigilato sull’ uso delle penne!”

“O’ Maronna d’ o Carmene! E tu?”

“E io le ho rappresentate in patrocinio sindacale. Insomma sono stata una specie di difensore.”

“E comme è iuta a ferni’?”

“Assolte.”

“Brava: e fatte’ a parte tua! A parte e chi nsegna, di chi lascia il segno. Vire Fantau’ la scuola, e te lo può dire chi s’ è fatta vecchia a scuola, è sempre nu veliere. Int’ a na nave che va a vela ognuno adda’ fa’ o meglie, ma nun po’ esse na gara sinno’ se va a fonne, tutti. S’ adda’ fa assieme, s’ adda’ collabora’. E l’ insegnate, ogni insegnate è nu capitane: adda’ capi’ o mozzo e o’ timoniere, adda’ esse’ pront quanne arriva a’ burrasca e quanne o’ viente nun ce sta’, adda’ sape’ addo’ arriva’. Ma adda’ sape’ pure rischia’ e se perde. E se une se perde miezz o’ mare po’ pure trova’ na terra nuova, nu continente sconosciute, n’ isola ca nun era segnata ncopp a le carte geografiche: e chella è la cosa chiù bella che la scola fa: t’ aiuta a truva’ nu poste ca’ prima nun ce steva! T’ arricuorde il tuo esame e’ maturità, lo scritte e’ latine. E io o saccie: tu stive in ansia p’ Antonine e pure l’ ate cumpagne, e pur’ ie ce steva. E’ normale. Si t’ era venuta fatta, ca’ nun te facive scupri’ tu ci avarriste passat’ a versione. E o’ presidente o capitte. E quanne Eugenia ce farette vere’ chell’ ombra ncoppe e’ fotocopie, isse facette l’ Insegnante con la I maiuscola. Leggette a versione, a voce alta. Pecchè o’ facette? Pecchè aveva capito che dentro di voi, inta a te, int’ a Antonino, int’ a l’ ate cumpagne ce stevene e’ mappe pe’ scupri’ l’ America. Antonino a’ facette, isse stesse a’ versione: pijae nu sei, nu sei ca’ valeva ciente! E chelle era cheating? Fantau’ tu o ‘ sai qual’ è il significato della parola “compagni”? Cum panis, quelli che dividono il pane, o’ pane quotidiano, o’ pane che serve a campa’, o pane ca’ te fa a penza’, o pane ca te sierve a nun fa o’ schiave, a nun te sottomette manc a na burrasca, o’ pane ca’addora e’ pane. O’ presidente, chillu iorno la’, ve facette cumpagne, compagni, cum panis, pe’ sempre.Fantau’ a che serve st’ Invalsi m’ o rice a prossima vota.”