Grazie al digitale la scuola non si ferma. Ma è davvero così?
di Giuseppe Bagni
presidente nazionale CIDI
In questo periodo di emergenza sono in pochi ad aver mantenuto un atteggiamento coerente e scientificamente sensato. Ancora meno i governanti che hanno saputo resistere alla tentazione di sfoggiare per scopi puramente elettoralistici il proprio potere territoriale, contribuendo a dare l’immagine di una Italia in pezzi nei suoi livelli decisionali, con scelte “fai da te” che hanno seminato caos e sconcerto in tutto il Paese, e dandoci anche un’idea più precisa di cosa potrebbe diventare con il regionalismo differenziato.
Ma ci si poteva almeno augurare che gli esperti di scuola rispondessero all’emergenza sanitaria senza trasformarla in un’occasione di propaganda dei propri “prodotti” vuota ipocrita e pericolosa.
Possibile che nessuno dica che una scuola che svolge “attività formative a distanza” è una scuola meno formativa?
Che “grazie al digitale la scuola non si ferma” è una tesi che può ragionevolmente sostenere solo un rappresentante di software?
Di fronte ad una emergenza come quella che stiamo vivendo è giusto e doveroso sperimentare tutte le risposte possibili, ma sapendo che sono valide solo in quanto emergenziali.
Se non si va a scuola la scuola si ferma.
Se gli studenti saranno connessi, e non più in contatto nelle loro scuole, la scuola si ferma.
Se si inviano compiti ed esercizi online agli studenti da svolgere ciascuno nel chiuso della propria camera (per quelli che ce l’hanno), la scuola si ferma.
La scuola solo su piattaforma non è scuola. È un pessimo surrogato che può essere scambiato per scuola solo da coloro che la vedono ancora come una successione di lezioni, poi di compiti sulle lezioni e infine interrogazioni sui compiti e le lezioni.
No, una cosa è quello che possiamo (e dobbiamo) fare adesso per bloccare la diffusione del coronavirus, dare sicurezza e ridurre il danno scolastico per i nostri ragazzi; un’altra è enfatizzare questi strumenti come fossero l’innovazione capace da sola di disegnare la scuola del futuro.
Se si vuol sostenere questo, allora per lo meno smettiamola di parlare di povertà educativa, di diseguaglianze, di inclusione e di didattica laboratoriale e innovativa.
Se la risposta sufficiente fosse un software e una piattaforma vuol dire che abbiamo scherzato.