Leggo diversi e in qualche caso “autorevoli” commenti sulle modalità operative di gestione della forzata chiusura delle scuole adottata nel diffondersi del coronavirus.
Non mi pare il caso di spendere parole sull’opportunità o perfino la necessità dei provvedimenti che hanno interrotto le attività scolastiche per un periodo significativo e per un tempo di fatto non prevedibile.
Mi sembra al contrario dirimente aprire una discussione il più possibile partecipata sui tanti risvolti che la questione presenta.
I toni, al limite del trionfalismo, usati da chi ha responsabilità di governo del sistema scolastico, sono a mio parere non solo fuori luogo ma francamente inquietanti per quello che possono prefigurare. Si afferma che il sistema, in tutte le sue articolazioni, è attrezzato o si sta attrezzando per organizzare la didattica a distanza. Sembra, a leggere non solo tra le righe, che siamo di fronte non ad una soluzione di emergenza come tale parziale e provvisoria, ma all’epifania di una nuova stagione segnata dalle “magnifiche sorti e progressive”.
Provo a esporre, con la sintesi che il luogo e il mezzo richiedono, alcune considerazioni.
1) la didattica a distanza non è, con tutta evidenza, assimilabile all’uso degli strumenti digitali, non solo compatibili ma a certe condizioni auspicabili nella strutturazione di percorsi e ambienti di apprendimento a scuola.
2) ci sono funzioni e obiettivi di natura formativa che traggono senso e possibilità dalla presenza delle condizioni culturali, organizzative e materiali che solo il sistema pubblico di istruzione e formazione può garantire.
3) pertanto, queste funzioni non sono un accidente storico da superare, tantomeno da surrogare.
4) i processi di apprendimento/insegnamento sono inseparabili, per loro intrinseca natura, dai contesti reali e socialmente significativi che li supportano e li connotano.
5) il sistema scolastico è al crocevia dei processi e dei relativi contesti.
6) ogni soluzione “tecnica” che ne prescinda va dunque verso la destrutturazione del sistema e verso un regime di fatto di descolarizzazione.
7) la didattica a distanza, se assume il contorno di una soluzione politico-culturale che esula dalla gestione dell’emergenza, e si appresta ad affiancare (e, in prospettiva, a sostituire) la funzione pubblica che svolge la scuola come luogo riconoscibile e materiale, confina l’educazione/istruzione a un ambito squisitamente privatistico. Capitolo finale di una privatizzazione con cui facciamo i conti da qualche decennio
Per ora mi fermo qui. Mi sembra che queste considerazioni, necessariamente sommarie, dovrebbero tenere alto il livello di vigilanza e attenzione nei confronti di quello che si sta muovendo, e della posta in gioco.
Spiace di aver dovuto registrare, finora, prese di posizione francamente troppo prudenti, quand’anche improntate a vibranti richiami all’importanza della “relazione” nei contesti di educazione.
Bisogna andare ben oltre posizioni prudenti ed espressioni eufemistiche verso la didattica a distanza. Dobbiamo denunciarne, con parole trasparenti e coraggiose, le insidie che nasconde.
Prima che “didattica a distanza” diventi “scuola surrogabile”.