L’emergenza per il Coronavirus ha portato allo scoperto un tema (che presenta molti aspetti: didattica a distanza, comunità virtuale, scuola attraverso il cloud, smart school, smart working, ecc.), che stava prendendo una strada priva sbocco, cioè quella della contrapposizione tra libri e web.
Le norme prodotte in funzione dell’emergenza per il Coronavirus mettono nero su bianco, in maniera anche un po’ confusa, metodologie e possibilità che già c’erano e che qualcuno stava già sfruttando. Sui social poi sono fiorite le testimonianze delle varie comunità scolastiche virtuali nate a seguito dell’emergenza o che già si stavano sviluppando. Così il dibattito su libri e web è tornato, ma sotto mentite spoglie, con il web che dimostra come possa essere utile e utilizzato, fermo restando che a casa e a scuola si possono continuare a leggere anche i libri.
Io credo non sia possibile percorrere la china che ha preso, nel frangente dell’emergenza, una parte del dibattito sulla scuola italiana e vada riaffermato un principio cardine molto semplice: è necessario e fondamentale che le scuole si dotino di curricoli digitali che siano di supporto al curricolo d’istituto o che interpretino in forma autonoma il digitale. Non si possono improvvisare classi virtuali, chat didattiche, cloud più o meno operativi o lezioni su you tube senza prima aver predisposto un lavoro progettuale frutto di ricerca e innovazione e ricerca sull’innovazione.
Il Miur ha finanziato nel 2016 per quasi due milioni di euro progetti nazionali per la redazione di Curricoli digitali: da quell’autunno del 2016 ci sono voluti tre anni per arrivare nel novembre del 2019 ad individuare i vincitori di quei progetti, che stanno aspettando (sempre da novembre) che vengano accreditati i fondi e autorizzate le spese per iniziare i progetti. Troppo tempo dunque e tutto troppo lento pur in presenza di soldi e di volontà. Però anche un monito: non si producono didattiche alternative in poco tempo e soprattutto non le si producono durante un’emergenza. Il processo progettuale deve essere graduale, ma non lento, innovativo ma non necessariamente rivoluzionario, attento alle esigenze degli studenti e dei docenti, collegato a device e a software facilmente utilizzabili, economici ed anche abbastanza sicuri da intrusioni.
Se la contrapposizione tra libri e web mi sembra una contrapposizione sterile che mette in secondo piano quello che è l’elemento centrale della scuola e cioè lo sviluppo armonico dell’apprendimento dello studente, lanciarsi in improbabili esperimenti a seguito della chiusura per una settimana delle scuole (in alcune regioni di meno, perché tre giorni di chiusura erano già previsti per Carnevale) significa avere in spregio la pedagogia, non conoscere la multimedialità, sottostimare il processo di apprendimento.
Esiste un passaggio eccezionale dell’Iliade che ci viene in aiuto. Achille si è ritirato sulle navi e i Mirmidoni non combattono più. Ettore fa uscite le truppe da Troia e incalza gli Achei che combattono con i piedi in acqua tanto avanti sono arrivati i troiani. Escono allora in battaglia i due Ajace che respingono i troiani combattendo appaiati e avanzando insieme, ma con metodologie diverse: Ajace Telamonio combatte e avanza da solo, poi si ferma a riposare e i suoi uomini tengono la posizione che ha conquistato; Ajace Oileo invece avanza mentre i suoi uomini da dietro tirano frecce sui troiani in sincronia con i suoi movimenti. Scrive Omero che i due eroi mitologici avanzano insieme come buoi in un campo da arare e i troiani indietreggiano. Diverse metodologie, un unico traguardo.
Ma anche un’altra cosa: precisione millimetrica di tempi e spazi, sincronia, fiducia nel vicino: tutte cose necessarie per frenare l’avanzata di Ettore, ma anche per mettere a punto una didattica efficace e non solo efficiente.
Per prepararsi a uscire in battaglia contro Ettore e in una situazione drammatica non si può improvvisare o sperimentare, bisogna mandare fuori i migliori perché loro sanno come si fa. E lo sanno perché le loro competenze vengono da molto lontano. Improvvisare, a causa di una emergenza, lezioni a distanza o condividere compiti on line se si è sempre agito di persona e su carta è il peggior modo di entrare in quella struttura didattica innovativa e digitale di cui l’Italia ha molto bisogno. E molto male fanno all’incedere corretto della didattica e dell’innovazione coloro che estremizzano la comunicazione, dando per scontato ciò che è processo, dando per trovato quello che è ancora ricerca. In situazione come queste e davanti a dibattiti surreali su argomenti discussi sul web prima che nei collegi docenti bisogna avere la capacità di pensare e costruire mappe di ricerca che producano una reale curricolarità. Il digitale ha bisogno di curricolo, anche perché non viene da lontano e non ha un programma, dunque si trova nella terra di nessuno, quella delle competenze nominate ma non declinate. Da ormai vent’anni la competenza digitale sta tra quelle chiave dell’area Ocse ed è stata assunta nei programmi di sviluppo per le scuole, di cui i PON sono solo l’esempio più eclatante. Da vent’anni c’è la competenza digitale inserita tra le otto competenze chiave, ma non c’è il curricolo, anzi si stanno sviluppando, quasi di pari passo, il BYOD (Bring You Our Device) e i tentativi di reprimere con mezzi artigianali un processo di sviluppo molto potente. Quello del web è un mondo complesso, dove si possono acquisire contemporaneamente dati, conoscenze, notizie, informazioni, fake news, bufale, stupidaggini e competenze che si intrecciano con confini spesso molto sfumati tra loro.
Se dunque è corretta l’idea ministeriale che la curricolarità digitale abbisogni di una progettualità che nasca da sperimentazioni dal basso, pare molto confusa l’idea che le scuole hanno nel complesso delle competenze digitali, di come si certificano, di come si valutano, di dove si valutano e – soprattutto – di come possano convivere con la repressione sull’uso degli strumenti di proprietà. Tutto questo ha bisogno di solidi curricoli d’istituto, che traccino i confini e in cui il web sia al servizio dell’apprendimento, permetta di costruire repositori e cloud accessibili e scientificamente approfonditi, che integri il sapere dentro strutture di controllo analitico di quanto viene divulgato e sviluppato.
Credo anche sia necessario che la curricolarità digitale parzialmente abbia un appiglio in alto (Università, Miur, Ricerca didattica) e parzialmente nasca da ricerche e azioni di istituto, esperienze che si consolidano strada facendo, formazione docenti e formazione studenti che vanno i pari passo. Sono le scuole che devono iniziare la ricerca e devono perseguire l’innovazione, perché lo ritengono necessario, non perché obbligate dal Ministero o dall’emergenza. Personalmente ritengo molto obsoleta l’dea che il circuito “Spiegazione e assegnazione compiti – Interrogazione o compito sulla spiegazione – Misurazione che si trasforma in valutazione” possa essere considerato virtuoso nel rapporto tra insegnamento e apprendimento, anche perché tiene fuori il rapporto ormai necessario e paritario nel percorso di apprendimento tra formale, non formale e informale nella valutazione degli studenti. La spinta all’innovazione, all’uso di tecnologie informatiche, allo sviluppo del BYOD, che viene anche dalla società civile, non penso stupisca più nessuno (semmai produce inspiegabili reazioni contrarie a difesa della carta, che di fatto nessuno attacca). Anche per questo i riferimenti governativi in relazione alla didattica a distanza, all’uso delle piattaforme, al rapporto con gli studenti in forma diversa da quella tradizionale deve collegarsi a quanto contenuto nei PTOF, non a livello formale, ma proprio a livello sostanziale. In questo come in quasi tutti i settori del sapere e della conoscenza nulla si inventa dall’oggi al domani, ma tutto è sperimentalmente possibile.
Penso non sia inutile ricordare quanto contenuto nel comma 10 dell’art. 21 della legge 59 del 15 marzo 1997 (la Bassanini Uno): “Le istituzioni scolastiche autonome hanno anche autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo nei limiti del proficuo esercizio dell’autonomia didattica e organizzativa.”
E quindi ribadisco quello che ritengo un concetto chiave: si può ricercare, sperimentare, innovare e sviluppare tutto (didattiche, pedagogie, pratiche, verifiche, valutazioni, metodologie, contenuti, ecc.), ma non si “deve” fare nulla perché ci viene imposto dall’alto o dall’emergenza, ma solo perché ci viene imposto dalla necessità di fare il meglio possibile per migliorare l’apprendimento degli studenti. Sta in questo la libertà di insegnamento, nel collegarla alle necessità dello studente, allo sviluppo della professione, all’attenta analisi di quanto viene proposto dal mondo scientifico, culturale, pedagogico. Non ritengo che un’emergenza debba stravolgere il corso degli eventi: se la didattica integrata col web è un valore positivo lo è in tutte le giornate dell’anno, come in tutte le giornate dell’anno è utile e bello leggere un libro, consultare un manuale, scoprire o conoscere qualcosa.
Certamente possiamo fare di più e di meglio e la mia speranza sarebbe di non vedere più docenti girare con obsoleti pacchi di fogli di carta da correggere (ma forse è una speranza un po’ vana), ma quella (in questo caso ben riposta e confermata nei fatti) di tanti docenti che sperimentano metodologie didattiche o modalità di valutazione alternative, mitigando così la passione per l’assegnazione di numeri alla ripetizione dell’identico (compiti e interrogazioni), Ma esternata questa speranza, in qualità di dirigente devo aiutare e favorire il processo di redazione curricolare, non farlo io con imposizioni o iniziative che minano la professionalità del lavoro dei docenti.