I dati delle ultime rilevazioni sulla nostra scuola [1] hanno suscitato – e non solo fra gli addetti ai lavori – grande preoccupazione (anche se l’interesse sembra già svanito);.
I dati che qui si intendono segnalare riguardano in modo particolare
a. le diseguaglianze nei risultati, soprattutto tra Nord e Sud, a partire dalle competenze linguistiche e scientifiche e dalla situazione degli Istituti Tecnici e soprattutto dei Professionali;
b. la dispersione scolastica, che continua a concentrarsi nel passaggio più critico e anche meno presidiato del percorso scolastico del sistema: quello dal primo al secondo ciclo;
c. il disagio scolastico.
I pochi commenti, soprattutto fra addetti ai lavori, citano tra le cause di questi fenomeni – e qui ci si limita a questioni che interrogano chi fa scuola in prima persona –, soprattutto la demotivazione diffusa tra gli insegnanti (legata spesso ad una scarsa considerazione sociale del proprio lavoro, che azzera ogni orgoglio professionale) e la mancanza di una visione condivisa del fare scuola; ma anche un’idea spesso opaca della didattica e della valutazione formativa e la tendenza – sempre fra i docenti – a chiudersi dentro una visione dell’insegnare che trascura di mettere in primo piano la qualità della relazione e l’organizzazione degli ambienti di lavoro.
E l’orientamento?
Quale la sua rilevanza dentro il più ampio tema della dispersione scolastica, a cui pure si collega direttamente?
Riguardo a questo tema, che negli anni passati è stato oggetto di studi, dibattiti, formazione, nella percezione più diffusa sembra consista nell’aiutare i soggetti in formazione a scegliere, con maggiore cognizione di causa, il tipo di scuola più adatta a conclusione del primo ciclo, e i percorsi di vita lavorativa o l’indirizzo di studi universitari dopo la ‘maturità’.
Ma che possa essere una variabile importante della didattica e una attività capace di orientare il fare scuola su una più attenta centralità dello studente, non sembra esserci ancora consapevolezza diffusa tra gli stessi insegnanti.
Eppure, di orientamento, si parla almeno dagli inizi degli anni ‘70.
Si ricorderà che, tra gli Organi Collegiali esterni della scuola del 1974, era previsto il Consiglio scolastico Distrettuale (la cui area geografica di riferimento era, in prima battuta, più o meno uguale a quella degli attuali ambiti), che raccoglieva rappresentanti delle diverse componenti del mondo della scuola – scelti attraverso elezioni – e del territorio. Fra le sue competenze, piuttosto general generiche, solo una attribuzione era chiara: promuovere cultura e attività orientative dentro le scuole, anche col contributo delle rappresentanze politiche territoriali e del mondo del lavoro. E per questa voce – e solo per essa – il CSD disponeva addirittura di risorse finanziarie.
Sulla fine del CSD, e degli Organi collegiali esterni – e le diverse ragioni -, non è il caso qui di addentrarsi.
Comunque la legislazione scolastica successiva, soprattutto dagli anni ’90 ai nostri giorni, se ne è sempre interessata. Anche e soprattutto sotto gli impulsi provenienti dall’Europa che non solo hanno tenuta viva l’attenzione sul tema, ma hanno anche contribuito ad allargarne l’orizzonte. Se ne parla in modo specifico, nel Libro Bianco di Delors (‘93) e in quello di Cresson (‘95); in quest’ultimo, l’accento è posto, come è noto, sul Life Long Learning (LLL).
Conseguenti a queste Raccomandazioni europee, si registrano in Italia direttive e norme che – a partire dalle disposizioni del Ministero Berlinguer e subito dopo da quelle della legge Moratti (L. 53/2003), fino alle disposizioni della L. 107/2015 e oltre – arricchiscono il quadro di riferimento per le scuole. Senza sviluppare però una adeguata cultura dell’orientamento in grado di produrre effetti positivi e duraturi sul sistema scuola.
In altri termini: si è scritto, si è pensato, si è normato, ma la tematica – almeno è questa la percezione più diffusa – è ancora un po’ avvolta in una certa nebulosità che difficilmente permette di produrre iniziative e proposte organiche e incisive per la formazione e l’aggiornamento dei docenti. Non rivolte solo ad aiutare / supportare gli studenti a scegliere percorsi di studio o professionalmente formativi.
E questo anche perché il tema si intreccia, come è noto, con un insieme di altre problematiche socio-culturali, strutturali – difficili da affrontare e risolvere – che finiscono spesso col vanificare sforzi e aspirazioni.
Non è sempre facile anche oggi cogliere in modo diffuso la presenza di pratiche orientative viste come funzioni avanzate di una didattica motivante ed efficace, in grado di aiutare i ragazzi sia a conoscere se stessi e il mondo sempre più complesso che li circonda, sia a sviluppare una mentalità critica, sia a fare scelte consapevoli per il proprio futuro. E una didattica motivante ed efficace dentro pratiche orientative non può non essere volta a liberare le materie scolastiche dalla patina accademica che, soprattutto in passato, ha molto pesato, quasi sempre in negativo; ma anche a riconsiderarle nel loro valore d’uso nella vita quotidiana; anche fuori quindi dalle aule scolastiche.
Un po’ meno difficile, a seguito della obbligatorietà dell’Alternanza Scuola Lavoro (ASL), prevista dalla L. 107, è trovare scuole dove compiti orientativi si concretizzino in esperienze, non specificamente curricolari, dentro ambiti lavorativi disponibili e in iniziative utili, con la presenza di esperti e formatori.
Sappiamo però delle difficoltà e dei problemi di varia natura incontrati dalle scuole al riguardo e della trasformazione dell’ASL in Percorsi per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento (PCTO).
E ciò a ulteriore dimostrazione delle difficoltà che ancora incontrano le problematiche orientative a diventare, per le più diverse ragioni, una funzione promettente della didattica, o anche risorsa significativa di una scuola centrata sugli studenti, eccetera, eccetera.
Il livello di rilevanza – di certo non esaltante – attribuita all’orientamento nelle nostre scuole è esemplificato da un dato MIUR relativo allo scorso anno scolastico sul livello di credito del consiglio orientativo delle scuole sulle scelte delle famiglie dei ragazzi che concludono la secondaria di primo grado: oltre un quarto delle famiglie (25,3%) non opta per un indirizzo del secondo ciclo consigliato dalla scuola. A dimostrazione anche del livello – modesto, interpreto – di fiducia delle famiglie nella scuola.
A questo dato se ne affianca un altro: relativo allo scarto tra chi segue il consiglio orientativo e viene promosso e chi non lo segue ed è ugualmente promosso; uno scarto di soli 14,4 punti (94,7% contro 80,2%) [2].
Dato, anche questo, che qualche interrogativo – sul suo effettivo valore – certamente lo pone [3].
La segnalazione.
Riguarda un testo recentissimo: Il futuro oggi. Storie per orientarsi tra studi e lavori (FrancoAngeli 2019) (v. mia scheda allegata) di Ornella Scandella [4].
Il libro, che ha un approccio prettamente divulgativo, si compone di due parti. Nella prima, “Storie di orientamento”, il racconto delle esperienze di gruppi di persone di periodi diversi – dagli anni 50-60 ai nostri giorni – parte dalle narrazioni degli eventi, degli episodi e situazioni in cui sono maturate le scelte e si completa con riflessioni sulle scelte fatte e sull’orientamento in generale. Storie di successo, ma anche storie ambientate in contesti difficili.
Si tratta quindi di un repertorio di esperienze pensato come “strumento sia per far riflettere ciascun lettore sulle scelte fatte, sia da usare nell’ambito dell’attività di orientamento, in particolare secondo l’approccio dell’orientamento narrativo”.
La seconda parte, “Dalle storie alle pratiche di orientamento”, si compone di tre saggi [5].
Il primo offre una lettura interpretativa dell’orientamento che si focalizza sul ruolo dei genitori nel processo di orientamento dei figli; il secondo approfondisce il ruolo della scuola e le pratiche utili a supportare scelte di studio e di lavoro; mentre il terzo – particolarmente stimolante – si interroga sulle visioni dell’orientamento espresse nelle storie e “considera le risorse personali, evidenziate come utili nei percorsi di individuazione delle scelte: la passione, la curiosità, il coraggio, la perseveranza, la capacità di cogliere opportunità, il senso di autoefficienza”.
“Il senso di tali indagini è poterne trarre, come scuola, ispirazione circa decisioni da prendere in campo formativo e professionale e utilizzare le storie nella attività di accompagnamento dei processi di scelta, in contesti scolatici, università e strutture di orientamento. Aiutando così i giovani a capire le forze motrici delle scelte e cosa ne può derivare / cosa può accadere”.
Le ragioni
Una prima importante ragione è il tipo di approccio metodologico (orientamento narrativo [6]) utilizzato. Che avrebbe molto da offrire alle nostre scuole perché spinge sia a guardare – nelle storie specifiche di persone concrete – ai meccanismi intellettivi ed emotivi che si attivano di fronte alle scelte di vita e di studio e al peso delle circostanze esterne e dei condizionamenti socio-culturali; sia a considerare il peso – nelle scelte – delle caratteristiche personali ritenute strategiche[7].
Un approccio di tipo clinico quindi che potrebbe risultare di grande aiuto soprattutto nelle situazioni di disagio sociale e di disorientamento adolescenziale.
Una seconda ragione è rappresentata dai messaggi importanti – che sono anche linee operative sensate – che il libro trasmette attraverso le riflessioni a più voci sulle storie (dei protagonisti, persone in gran parte ‘arrivate’; dell’autrice; degli altri studiosi ed esperti).
Il primo dei quali è senz’altro che il tema delle scelte a cui sono chiamati i soggetti in formazione richiede, per essere opportunamente affrontato, professionalità e competenze di buon livello da parte delle scuole. Per cui, se le pratiche orientative appaiono oggi scolorite (e la loro irrilevanza spesso marcata), le ragioni potrebbero essere che la formazione specifica delle figure chiamate a farsene carico avrebbe bisogno di essere rafforzata; o che le scuole tendono a non valorizzarle adeguatamente (in termini di spazi orari, di attenzione più mirata e continuativa, ma anche di integrazione delle competenze).
Il secondo messaggio – esplicito soprattutto nei tre saggi della seconda parte – è così traducibile: l’orientamento che può far bene alla nostra scuola, ridarle smalto, renderla attrattiva – e quindi avere un ruolo nella lotta alla dispersione – è di sentirlo per quello che è (dovrebbe essere): funzione avanzata di un’idea di scuola centrata sullo studente e la sua riuscita; e quindi di una didattica in cui le varie pratiche di istruzione e formazione si rafforzano vicendevolmente.
In altri termini, l’efficacia di pratiche orientative – anche nella lotta alla diseguaglianza delle opportunità e al disagio studentesco – è, in buona misura, il risultato di professionalità – coltivate e consapevoli del loro ruolo – che sappiano
- guardare oltre il disciplinarismo (la chiusura dentro la ‘propria’ disciplina),
- lavorare insieme ai loro colleghi e far lavorare insieme i ragazzi
- valorizzare pratiche cooperative in grado di superare la separatezza, rispetto agli insegnanti di ‘materia’, delle figure con funzioni specifiche (counselor, tutor, ma anche genitori).
NOTE
[1] Soprattutto: Le Rilevazione INVALSI sui livelli di apprendimento rilevati nelle ultime classi delle scuole superiori poche settimane prima dell’esame di stato 2019; L’indagine triennale Ocse-Pisa (Programme for International Student Assessment) sulle competenze dei quindicenni; Rapporto Nazionale curato dall’INVALSI sui livelli di competenza raggiunti dai nostri studenti nelle prove standardizzate nazionali.
[2] Dati non diversi sono riportati in “Repertorio 2018”, voce Orientamento, di Susanna Granello
[3] Un analogo discorso che permetta riscontri sul giudizio orientativo a conclusione degli Esami di Stato del secondo ciclo, rispetto alle scelte degli studenti presenta, oggettive difficoltà ad essere qui riproposto per mancanza di dati complessivi e specifici al riguardo.
[4] Ricercatrice e docente anche in ambito universitario, è autrice di testi importanti sull’argomento. Si segnalano soprattutto, Tutorship e apprendimento, La nuova Italia 1995 e Interpretare la tutorship. Nuovi significati e pratiche della scuola dell’autonomia, FrancoAngeli, 2007
[5] Ne sono autori: del primo, Laura Nota, prof di psicologia dello sviluppo e dell’educazione uniPA); del secondo, Ornella Scandella; del terzo: Salvatore Soresi: studioso dello Studium Patavinum, esperto in psicologia dell’inclusione, orientamento, counseling
[6] “L’orientamento narrativo ha la peculiarità di dare ‘sviluppare la capacità di dare un ordine, un rilievo e un senso ai fatti della vita, diventare capaci di le situazioni nuove e inaspettate, di immaginare il futuro e di progettare soluzioni per costruirlo attivamente’ (Batini, Giusti, 2008)” (p. 149)
[7] Nel testo si citano, tra le altre: 1. saper approfondire e avere curiosità, ma anche conoscersi nelle attitudini e nelle aspirazioni possibili e imparare a valorizzarle; 2. capire i propri bisogni prioritari e sapere dare loro risposte realistiche, sfidando i propri limiti e gareggiando con se stesso; 3. accogliere consapevolmente l’influenza dei contesti di vita (le opportunità che talvolta si aprono inaspettatamente) quando permettono di affrontare al meglio i momenti di transizione.