Reclusi e divisi
di Giancarlo Cavinato
(Movimento di Cooperazione Educativa)
La scuola fa male?
E’ la domanda che pone il prof. Roberto Farné, docente all’Università di Bologna , Coordinatore del Corso di Laurea Magistrale in Wellness culture, a seguito delle problematiche sollevate dalle reazioni di dirigenti scolastici, insegnanti, genitori alla disgrazia del bambino deceduto dopo una caduta a Milano.
La scuola fa male se dà segnali di pericolosità dell’esperienza che è possibile condurre al suo interno e all’esterno.
La scuola fa male se separa, divide, mantiene ogni gruppo classe chiuso nella propria aula impedendo lo sviluppo di una sana prosocialità che si espleta anche nella positiva mescolanza che avviene nei momenti soglia (accessi, uscite, intervalli, dopomense,…) e nell’organizzazione di gruppi laboratorio per classi aperte, attività laboratoriali e di ricerca.
La scuola fa male se la sua organizzazione è ‘a canne d’organo’, a strutture parallele, nessun contatto e nessuna apertura.
La scuola fa male se sviluppa sedentarietà, lezione trasmissiva, saturazione fisica e psicologica per la staticità e la ripetitività della propria organizzazione degli insegnamenti.
La scuola fa male se fa vivere nel sospetto, nel timore, nell’iperprotezione.
Se evita accuratamente le forme di comunicazione, gioco, scambio e interazione, esperienza: le disposizioni delle circolari di cui parlano gli articoli di stampa in questi giorni avranno come effetto la riduzione, se non la scomparsa, delle visite d’istruzione e l’impoverimento generale della proposta formativa?
Si scrive in tali circolari ‘L’intervallo viene svolto sotto la stretta sorveglianza del docente in servizio.’ Una grande ipocrisia. Perché prima cosa facevano i docenti? Un’ipocrisia che copre il vuoto di iniziative di protesta in reazione ai tagli che hanno progressivamente impedito di garantire presenze adeguate di docenti e di collaboratori/collaboratrici..
Una scuola che fa bene non penalizza i soggetti più facili da colpire, cerca e trova soluzioni per favorirne la crescita, lo sviluppo psicofisico, la varietà di stimoli e proposte.
‘Non morire di sicurezza: il rischio come risorsa educativa’: è il titolo di un intervento che il prof. Farné svolgerà a Sacile a un seminario rivolto alla scuola dell’infanzia. Forse costruendo opportune strategie di autonomia, autocontrollo, gioco e simulazione si possono formare soggetti consapevoli e avvertiti dei rischi come sfide personali e sociali fin dall’infanzia. Non si impara la sicurezza a sei-sette anni senza una formazione precedente: senza sbucciature di ginocchia, bernoccoli, piccole ‘normali’ ferite.
Un patto educativo scuola-famiglia di reciproca fiducia e affidamento può evitare assurde penalizzazioni?