La scuola alla ricerca della sicurezza: da ambiente educativo a carcere
Dopo il tragico evento di Milano si moltiplicano le “misure organizzative” predisposte dai dirigenti scolastici a tutela di una “sicurezza” impossibile da ottenere.
Le scuole stanno evolvendo.
Da ambienti di apprendimento a carceri.
C’è chi sostiene, giustamente, che siano misure completamente sbagliate, dal punto di vista pedagogico.
Ma c’è una questione culturale molto forte.
E ora siamo nella fase di “moral panic”. È del tutto evidente che non esistono luoghi “sicuri” al 100% e infatti le famiglie, ad esempio, continuano a mandare i bambini in palestre, campi sportivi, piste da sci: tutti luoghi dove ci si infortuna facilmente e nei quali la sorveglianza non è certo così ossessiva.
Intorno agli 11 anni vanno in giro in bicicletta, a 14 anni salgono su motorini e scooter, aiuto!
Ma a scuola no: a scuola tutto deve essere controllato, la vigilanza continua, una sorta di “catena del freddo” per cui il minore dovrà passare sempre dall’occhio di un adulto ad un altro.
A scuola non può esservi alcun rischio. Se c’è, è colpa di qualcuno, anche quando dipende soltanto dal caso.
Certo, lo stato pietoso di molte (troppe!) scuole non aiuta e, anzi, induce un senso di comprensibile insicurezza.
Ma se, al fondo, non si mette mano a questa mentalità iper-protettiva e rivendicativa (grazie agli articoli del Codice Civile e alle interpretazioni giurisprudenziali ultrarestrittive) le cose non potranno cambiare.
E così, nello scenario attuale, la pedagogia è diventata un “lusso” che non possiamo permetterci.