Cosi perduta dentro i miei scarponcini marroni,con il grembiule nero e il cuore in gola, cominciai la mia prima elementare.
Il mio “ottobre rosso”: rosso come la cartella che mi aveva regalato mio nonno, rosso come gli aceri che puntinavano qua e là Pizzodeta, rosso come il fiocco di nylon che troneggiava sotto il mio mento a chiusura del colletto bianco.
Il Regolamento Scolastico del Circolo di Balsorano prevedeva per la scuola elementare, nel 1972: grembiule nero, colletto bianco, fiocco rosso in prima, verde in seconda, rosa in terza, azzurro in quarta, tricolore in quinta.
Era l’arcobaleno del “decoro scolastico”. I fiocchi ed il loro colore stabilivano a prima vista, e senza possibilità di equivoci , l’ appartenenza ad un gruppo classe, ed erano probabilmente una delle eredità del ventennio.
Ma noi, Balilla senza saperlo, li indossavamo con quel misto d’ orgoglio ed insofferenza che si riserva alle responsabilità infantili. Quel primo giorno mi accolse una giovane maestra senza orpelli e con gli occhiali spessi.
Mi pare si chiamasse Elvira. Sperimentai quanto nero e pesante fosse il tratto della mia matita che lasciava sbilenche scie sui quadretti che nessuna gomma riusciva a cancellare.
Rimediai un “malissimo” e conobbi quanto inutili possano essere le lacrime e il moccio sulla prima pagina di un quaderno. Due giorni dopo arrivò il maestro Pasquale, giovane e scarruffato, con un pullover beige e i jeans a vita bassa.
Fu lui, contestatore e capellone dall’ attaccatura alta, ad accogliere il disordine delle mie esse al contrario e trasformarlo nella meravigliosa armonia che schiude ai bambini l’universo della scrittura.
La mia cartella rossa diventò un oggetto magico dal quale usciva l’incantesimo del mio quaderno e la porta sul mondo del mio libro di lettura. Il maestro Pasquale ci portava, ogni fine mese, tra i sentieri e le mulattiere, a scoprire le nervature delle foglie e i pistilli dei fiori. Salivamo tra gli ulivi e i ginepri graffiandoci i polpacci con i rovi di more e biancospino, fino ai boschi di quercioli e rovette. Davamo un nome al mondo e i luoghi si popolavano di creature fatate o mitologiche. Costruimmo un pallottoliere con le ‘ pallucche’, le castagne americane che raccoglievamo a sacchi sotto gli ippocastani della piazza ed era così bello che perfino la storica maestra Ilde ce lo chiese in prestito.
I nostri fiocchi rossi erano sempre sciolti ma Pasquale ci insegnò perfino a riannodarceli tenendo gli occhi chiusi, soprattutto prima di giocare ad “acchiapparella”, per non dare una presa all’ avversario.
Il maestro Pasquale andò via a Giugno e l’ anno successivo andò ad insegnare in una scuola più vicina al suo paese, risparmiandosi lo strazio di un viaggio quotidiano di quaranta chilometri di strade di montagna. Io l’ho rivisto trent’anni dopo, quando era un collega di mia sorella che insegna nella nostra scuola, oggi Istituto Comprensivo di Balsorano.
All’ Istituto Comprensivo di Balsorano il regolamento prevede ancora gli stessi fiocchi degli stessi colori. L’ anno prossimo Lorenzo il mio pronipotino ne avrà uno: rosso come la nostalgia.