di Maria Chiara Acciarini
Difficile dire, in questo momento, quale sarà la sorte dei disegni di legge governativi che dovrebbero dare il via all’autonomia differenziata in tre grandi Regioni del Nord: Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna. Come su altri importanti temi, la discussione all’interno della maggioranza che governa il paese è piuttosto accesa. Basta ricordare la presa di posizione di Zaia e di Fontana di fronte alle proposte di “mediazione” di Conte: «Non firmiamo una farsa. Vogliamo un’autonomia vera, non un pannicello caldo».
È ormai chiaro che la Lega, spinta dai presidenti delle Regioni del Nord, tra i quali spicca, appunto, Luca Zaia, vuole “portare a casa” il risultato. Il Movimento 5 Stelle, forse a causa della crisi interna accentuata dalla batosta subita alle elezioni europee, è più dubbioso, anche se ufficialmente è favorevole alla maggiore autonomia concessa alle Regioni e ne ha accettato l’inserimento nel contratto di governo.
In ogni caso, l’autonomia differenziata potrà anche essere declinata in modo trovare, magari ricorrendo ad artifici degni del manzoniano Azzeccagarbugli, una convergenza fra Lega e M5S, ma è ben difficile che ne vengano realmente corretti gli aspetti più negativi. Si rischia così una spiccata frammentazione di un paese, già drammaticamente diviso sotto molti punti di vista.
Si andrà Verso la secessione dei ricchi? Se lo è chiesto Gianfranco Viesti in un importante saggio in cui esamina le principali conseguenze delle scelte del governo giallo-verde.
Un primo elemento sembra condurre a una risposta affermativa. L’autonomia differenziata è in stadio di avanzata attuazione per le tre Regioni che per prime l’hanno chiesta. Ma anche il Piemonte e la Liguria hanno avanzato le loro domande e il giorno in cui anche queste fossero accolte non esisterebbe più una regione del Nord dotata delle sole competenze ordinarie. Sarebbero tutte o a statuto speciale o ad autonomia rafforzata.
E ci sono due ulteriori, forti elementi di preoccupazione. Il primo: all’interno delle competenze “trasferibili” dallo Stato alle Regioni previste dall’art.116 della Costituzione, si è scelto, in particolare da parte della Lombardia e del Veneto, il passaggio di un numero massiccio di materie (23 per il Veneto, cioè pressoché tutte quelle possibili!). È un approccio marcatamente “ideologico” al tema dell’autonomia differenziata. Si vuole tutto e subito.
Ma non basta. Sono due gli aspetti dell’autonomia su cui i presidenti Zaia e Fontana si rivelano maggiormente attenti: il trasferimento di cospicue risorse finanziarie dallo Stato alle loro Regioni e la regionalizzazione della scuola. Temi assai differenti, ma legati da un visibile “fil rouge”, perché rappresentano entrambi un vero attacco all’unità del paese.
Innanzitutto, Lombardia e Veneto chiedono una compartecipazione fissa alle tasse nazionali (IRPEF e IVA) con cui finanziare le funzioni trasferite. Puntano a tenere sul territorio il 90% del gettito di questi due tributi. È la fine di qualunque principio di redistribuzione delle risorse basate sul principio dell’equità e della perequazione fra i vari gruppi sociali e le differenti parti del paese. Il tutto, tra l’altro, avverrebbe senza che siano stati preventivamente fissati – come, invece, la Costituzione prevede all’art. 117 – i livelli essenziali delle prestazioni, che devono essere validi su tutto il territorio nazionale, e senza quantificare i fabbisogni standard, che devono essere sganciati da qualunque riferimento al gettito fiscale territoriale.
Accanto al trasferimento delle risorse economiche, l’altro grande obiettivo è la regionalizzazione della scuola, sulle cui conseguenze è sufficiente richiamare l’incisivo giudizio espresso da Viesti: «la regionalizzazione della scuola fa storia a sé: è una scelta politica radicale che può indebolire gravemente una delle istituzioni fondamentali per la vita del paese e andrebbe senz’altro evitata». Come non essere d’accordo? Pur con alterne e discusse vicende la scuola è sempre stato uno strumento insostituibile per aiutare a superare le diseguaglianze sociali; ha consentito l’integrazione degli alunni stranieri; ha cercato di garantire a tutte le ragazze a tutti ragazzi le basi culturali per costruire la propria personalità e il proprio progetto di vita.
L’obiettivo dell’autonomia rafforzata sulla scuola richiesta da Veneto e Lombardia – più sfumata la posizione dell’Emilia Romagna, che richiede solo maggiori certezze organizzative – è quello di creare un sistema di istruzione caratterizzato dall’esasperazione dei caratteri provinciali del nostro tessuto culturale e dalla visione miope di una formazione appiattita sulle locali, contingenti esigenze del mercato del lavoro. A cui si potrebbe anche aggiungere un maggior controllo sugli insegnanti, i cui organici diventerebbero regionali. Che ci sia una volontà tutt’altro che latente di limitare la libertà di insegnamento lo dimostra il recente caso della professoressa di Palermo, punita per avere rispettato le opinioni dei suoi alunni e alunne.
A questo punto, più che di autonomia differenziata, si tratterebbe forse dell’inizio di una secessione attraverso con un atto di forte portata simbolica: spezzare quello che Asor Rosa ha giustamente definito «uno dei capisaldi di maggiore unità culturale, ideale, professionale del Paese»: la scuola.