Perché l’autonomia scolastica è fallita?

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Un convegno promosso da Gessetti Colorati

Un convegno promosso da Gessetti Colorati

di Mario Maviglia

Sono vari i motivi che hanno portato se non al fallimento sicuramente al depotenziamento dell’autonomia scolastica in Italia.

 

1. Vi è stato in primo luogo un atteggiamento gattopardesco da parte dell’Amministrazione Centrale, impegnata (a parole) a favorire l’autonomia delle scuole, ma in realtà sempre più ossessivamente presente nella vita delle istituzioni scolastiche e non sempre per ragioni di supporto e di assistenza. In fondo, la vocazione centralista del nostro sistema scolastico non è stata mai definitivamente abbandonata. Negli ultimi anni in particolare le scuole sono state letteralmente sottoposte a vere e proprie forme di stalkeraggio burocratico con continue richieste di monitoraggi, relazioni, fornitura di dati, report et similia. In compenso l’Amministrazione ha riversato sulle scuole tutto ciò che poteva essere riversato in termini amministrativi e organizzativi.
La stessa istituzione delle reti di ambito (di cui alla L. 107/2015) può essere letta sotto questa luce, ossia come una ulteriore periferizzazione di una serie di incombenze amministrativo-contabili a carico delle scuole (vedasi l’organizzazione dei corsi di formazione a cura delle reti di ambito).
Va peraltro sottolineato che invece proprio sul piano del supporto su altri aspetti cruciali della vita delle istituzioni scolastiche l’Amministrazione scolastica (in tutte le sue varie declinazioni territoriali) ha dimostrato una grande fragilità mettendo in seria difficoltà la gestione del servizio scolastico da parte delle scuole (si pensi alla gestione delle graduatorie con aggiustamenti e ribaltamenti nel corso dell’anno scolastico, o alla gestione dei concorsi, o ancora all’assegnazione delle risorse finanziarie ecc.).
Difficile realizzare una matura autonomia in una situazione così caotica e problematica.

2. Probabilmente anche da parte delle singole scuole non vi è stata una adeguata percezione delle potenzialità sottese all’autonomia scolastica. C’è da chiedersi infatti quanto siano stati indagati e realizzati da parte delle istituzioni scolastiche i vari ambiti dell’autonomia richamati dal DPR 275/1999 (Autonomia didattica / Autonomia organizzativa / Autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo / Reti di scuole / Iniziative finalizzate all’innovazione).
L’impressione generale che se ne trae (in mancanza di dati empirici ufficiali sulla realizzazione dell’autonomia, e anche questo è significativo) è che alle stesse scuole sia sfuggito il senso e la portata di queste innovazioni e che esse abbiano preferito percorrere i più rassicuranti sentieri dell’ordinarietà e della tradizione. D’altro canto, a discolpa delle scuole e dei suoi operatori, va detto che l’autonomia è prima di tutto una prospettiva culturale e su questo versante poco è stato fatto per formare il personale.
Operare in autonomia vuol dire condividere una certa idea di scuola e di apprendimento, fare gruppo, agire tenendo conto delle caratteristiche e peculiarità del territorio. In quali momenti del loro iter formativo gli operatori scolastici abbiano potuto formarsi su questi cruciali aspetti della professionalità è difficile capire. Uno dei tanti paradossi della scuola italiana è proprio questo: a docenti, dirigenti e personale tutto viene richiesto di operare in una dimensione collegiale e di sistema, ma nessuno si preoccupa di formare le persone a questa dimensione. La formazione universitaria dei futuri docenti è fortemente contrassegnata da un training formativo caratterizzato da azioni a forte impronta individualistica, e la formazione in servizio per i docenti di ruolo spesso trascura la dimensione collegiale.
Come può un processo di autonomia essere implementato e dispiegare le sue potenzialità se questi sono i presupposti?

3.  Anche la figura del dirigente scolastico merita di essere considerata all’interno della riflessione che stiamo facendo. Il DPR 275/1999 delinea, per la verità in modo implicito, una figura di dirigente in grado di dare sostengo e sviluppo ai vari ambiti dell’autonomia elencati sopra. Se però si analizzano i vari bandi di concorso per dirigenti scolastici e i corsi di formazione allestiti dall’Amministrazione scolastica nei confronti dei dirigenti nel periodo dal 1999 ai giorni nostri non sarà difficile scoprire che questi aspetti sono stati alquanto trascurati o trattati in una declinazione essenzialmente amministrativo-burocratica. Oggi il dirigente scolastico si trova soverchiato da incombenze le più disparate (sicurezza, privacy, trasparenza ecc.) che sottraggono tempo ed energie alle dimensioni più vicine ai temi dell’autonomia.
Nella migliore delle ipotesi abbiamo davanti dei tecnocrati che con grande fatica portano avanti l’impresa educativa, intrappolati in una rete di adempimenti ed emergenze che lasciano poco spazio all’eleborazione culturale e (non sia mai!) pedagogica, in questo perfettamente allineati con un management amministrativo ministeriale che sembra sempre più lontano dalla capacità di comprendere e interpretare i concreti problemi del sistema scolastico.
Ma può una scuola intraprendere convintamente e consapevolmente un itinerario di autonomia se la sua figura apicale appare così frastornata nella delineazione di un ruolo che necessariamente deve fare i conti con la promozionalità, la relazione, la comunicazione e la condivisione?

4. Infine non può essere sottaciuto il fatto che anche dopo l’avvio dell’autonomia scolastica non è stata contesualmente avviata la riforma degli organi collegiali, sintomo della difficoltà di dare un contorno più preciso alle istanze di partecipazione attraverso la ridefinizione del ruolo delle diverse componenti all’interno del processo di autonomia. Si è persa l’occasione – almeno fino al momento attuale – di dotare la scuola di organismi partecipativi a supporto dell’autonomia anche in relazione alla complessa gestione del sistema delle azioni previste dal DPR 275/1999, più volte richiamate. Si tratta di immaginare degli organismi che, pur favorendo la partecipazione, possano operare in un’ottica di semplificazione e di snellezza, senza le pastoie burocratiche che sono sotto gli occhi di tutti. Per concludere, non sembra esservi allo stato attuale una reale volontà di sostenere il processo di autonomia delle scuole. E d’altro canto le stesse proposte di regionalizzazione del sistema di istruzione rischiano di istituire tanti “ministeri regionali” ancor più oppressivi e soffocanti rispetto a quello nazionale. Il problema, come si vede, non è solo di ingegneria istituzionale, ma di natura culturale e civile e attiene al significato che si attribuisce al ruolo che la scuola dovrebbe esercitare all’interno della società attuale