Alcune considerazioni sulla istruzione parentale

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di Mario Maviglia

La normativa

La possibilità di provvedere direttamente all’istruzione dei propri figli, senza fruire del servizio scolastico fornito dalle scuole statali o paritarie o non statali non paritarie, è prevista già da tempo dal nostro ordinamento giuridico. Il D.Lvo 16 aprile 1994, n. 297, all’art 111, comma 2, stabilisce che “i genitori dell’obbligato o chi ne fa le veci che intendano provvedere privatamente o direttamente all’istruzione dell’obbligato devono dimostrare di averne la capacità tecnica od economica e darne comunicazione anno per anno alla competente autorità.”
Queste scarne indicazioni normative sono state ripetutamente richiamate da successivi provvedimenti legislativi e amministrativi:
DM n. 489 del 13 dicembre 2001 sulla vigilanza dell’obbligo di istruzione;
D.Lvo 25 aprile 2005, n. 76, riguardante le norme generali sul diritto-dovere all’istruzione e alla formazione;
Legge 27 dicembre 2006, n. 296, che porta a 10 anni la durata dell’istruzione obbligatoria; 

D.Lvo 13 aprile 2017 n. 62 sulla valutazione degli alunni.

Dall’insieme di queste norme emerge che la possibilità di fare ricorso all’istruzione parentale (o homeschooling) è subordinata al requisito della capacità tecnica da parte dei genitori o della capacità economica. In sostanza se i genitori intendono provvedervi direttamente devono dimostrare di avere una preparazione culturale adeguata a fornire l’istruzione prevista per quel livello scolastico o, in alternativa, avere la capacità economica per provvedere tramite docenti privati o istitutori.

È importante sottolineare che la scuola non esercita un potere di autorizzazione in senso stretto verso le richieste di istruzione parentale dei genitori, ma un semplice accertamento della sussistenza dei requisiti tecnici ed economici.
Va pure sottolineato che, in relazione a quanto stabilito dal citato D.Lvo 62/2017, in caso di istruzione parentale, i genitori dell’alunno o coloro che esercitano la responsabilità genitoriale, sono tenuti a presentare annualmente la comunicazione preventiva al dirigente scolastico del territorio di residenza. Tali  alunni sostengono annualmente l’esame di idoneità per il passaggio alla classe successiva in qualità di candidati esterni presso una scuola statale o paritaria, fino all’assolvimento dell’obbligo di istruzione.

Il movimento Homeschooling

Fin qui la norma. Da un punto di vista di analisi quantitativa del fenomeno, navigando in rete si può facilmente verificare che il fenomeno della homeschooling [1] è diffuso soprattutto all’estero: negli Stati Uniti i ragazzi interessati sono più di 2 milioni, in Inghilterra sono circa 80 mila, 70 mila in Canada, 4 mila in Francia e 2 mila in Spagna (dati relativi al 2018).
In Italia sono 5126 i ragazzi che utilizzano questa forma di istruzione (dati ufficiali MIUR relativi all’a.s. 2018-2019)[2], anche se il fenomeno appare in costante aumento[3].
Non è dunque in discussione la libertà di scelta da parte delle famiglie che presentano i requisiti illustrati sopra. Si tratta semmai di capire le ragioni di tale scelta e i risultati conseguiti. Va però sottolineato che mentre alcune famiglie utilizzano l’istituto dell’istruzione parentale per una forte sfiducia nei confronti del sistema scolastico (soprattutto per quanto concerne gli esiti del processo di apprendimento, anche in relazione alle disfunzioni organizzative della scuola), altre vi fanno ricorso essenzialmente per motivi ideologici in quanto, dal loro punto di vista, la scuola propone ai bambini modelli educativi che condizionano la sfera morale del loro sviluppo (es. la cosiddetta teoria gender, no vax ecc.), e altre ancora si ispirano al modello della homeschooling che propone un progetto educativo alternativo a quello del sistema scolastico storicamente inteso. Infatti, se si analizzano i siti dei fautori di questo progetto (in particolare www.controscuola.it e www.educazioneparentale.org) si può facilmente rilevare che coloro che aderiscono a questo orientamento lo fanno da una parte per motivi ideali e pedagogici e dall’altra in quanto non hanno fiducia nel tipo di educazione e insegnamento impartito dal sistema scolastico, troppo scandito – dal loro punto di vista – in tappe predefinite, verifiche, voti. Viceversa, viene privilegiato un approccio educativo basato sull’esperienza personale e sulla ricerca favorendo “un percorso da autodidatti da subito, quindi non proponiamo loro alcuna nozione preconfezionata e non li sottoponiamo ad alcun tipo di esaminazione. Stiamo imparando accanto ai nostri figli, osservandoli e sostenendoli nelle loro ricerche e scoperte. Il fatto di essere i protagonisti di un cammino la cui direzione è sconosciuta, rende l’avventura ancora più emozionante e imprevedibile. Questo ci permette anche di costruire un percorso assolutamente originale, che non riprende nessuno schema già in uso.”[4]

Una capacità molto curata – sempre a detta dei fautori di questo movimento – è quella di “avere una mente inquisitiva e la capacità di imparare in autonomia. Ogni bambino ha un bagaglio di domande infinito, e il nostro compito è semplicemente quello di mantenere viva la fiamma della conoscenza. Lo facciamo in molte maniere, per esempio facendoci in primis noi tante domande e poi valutando con loro le possibili risposte. Tutti i bambini hanno questo spirito di ricerca ma, troppo spesso, esso viene soffocato in nome del sistema educativo tradizionale che non incoraggia il pensiero divergente e riempie le teste degli studenti con nozioni già pronte. Le lezioni vengono assimilate temporaneamente per poi essere rigurgitate nel momento del test. Questo tipo di esercitazione sterile uccide il pensiero critico.”

Tutto ciò dovrebbe portare ad essere più curiosi. Molte attività, infatti, sono basate su esigenze di soluzione concreta di problemi quotidiani, come per esempio “imbiancare la casa, oppure trovare i soldi per una bicicletta nuova o programmare una vacanza”, creando progetti, ciascuno con il proprio scopo ben definito.
I bambini vengono incentivati in questo modo “a trovare le opportune soluzioni a quelli alla loro portata, mentre per quelli più complicati chiediamo comunque e sempre la loro opinione. Più di una volta la loro freschezza ci ha permesso di trovare una soluzione originale, alla quale noi adulti non saremmo arrivati da soli. Li incoraggiamo quindi a procedere per tentativi, suggerendo di riprovare se falliscono e congratulandoci con loro per le conquiste ottenute. Questo processo alimenta la loro autostima e la sicurezza di poter sormontare qualsiasi ostacolo che la vita gli presenterà. Così saranno esperti di problem solving, una dote impagabile.”

Volendo sintetizzare in alcune parole chiave il progetto educativo della homeschooling (almeno per quanto concerne la versione italiana e secondo quanto riportato dai loro fautori), questi sono i punti caratterizzanti:

  1. Libertà. I bambini vengono sollecitati ad agire liberamente, senza condizionamenti e a scoprire le proprie passioni, come presupposto per avere una vita piena in futuro anche in campo lavorativo. Libertà vuol dire avere la possibilità anche di sbagliare e di apprendere dagli errori.
  2. Felicità. I bambini vengono educati a trovare in se stessi la felicità e non negli oggetti che si posseggono o nel denaro o nei voti. “Fin da piccolissimi noi lasciamo ai nostri figli la propria privacy, la libertà di intrattenersi da soli: giocando, leggendo, immaginando, costruendo. L’ozio creativo e solitario è da noi largamente valorizzato con risultati positivi. La felicità si raggiunge da soli. Non ho praticamente mai sentito i miei figli lamentarsi di essere annoiati. Piuttosto che l’algebra o il nome dei fiumi del centro America, si dovrebbe insegnare a essere felici. Il bambino che non sperimenta questo grado d’indipendenza rischia, una volta adulto, di attaccarsi in maniera morbosa ad un’altra persona, oppure di colmare il vuoto esistenziale con dei passatempi come i social o lo shopping, oppure peggio ancora, con il cibo.”
  3. Indipendenza. I bambini vengono aiutati e sollecitati a rendersi sempre più indipendenti nelle loro attività quotidiane. “Li lasciamo sbagliare un numero infinito di volte, ricordandoci che sbagliando s’impara. L’indipendenza conduce alla libertà… senza aver bisogno di un insegnante o di un genitore (o in un futuro lontano di un capo) che gli dica cosa fare, essi sanno cosa vogliono raggiungere e trovano da soli il modo per realizzare i propri sogni. Se lungo il cammino hanno bisogno di qualcuno che li aiuti, sanno bene a chi rivolgersi e in quali termini.”
  4. Compassione. Per compassione si intende empatia verso il prossimo che dovrebbe portare alla felicità reciproca. come fonte di benessere.
    “La tolleranza va di pari passo con la compassione, e si allena conoscendo persone di diverse etnie, gruppi sociali e stati fisici.”
  5. Cambiamento. I bambini vengono educati ad adattarsi al cambiamento, ad accogliere le sfide della vita, anche quando le cose non vanno come erano state progettate.

 Alcune considerazioni critiche

Analizzando in modo critico questo progetto pedagogico, va detto innanzi tutto che non esistono – almeno in Italia – ricerche empiriche che supportino quanto dichiarato dai fautori della homeschooling o istruzione parentale. In particolare non si sa se, in senso longitudinale, i bambini che hanno fruito di questo approccio abbiano sviluppato effettivamente le capacità elencate sopra e con quale margine di differenza rispetto ai bambini che hanno frequentato il tradizionale sistema scolastico. In mancanza di dati empirici dobbiamo quindi condurre una riflessione critica tenendo conto dei risultati della ricerca psico-pedagogica degli ultimi decenni.

Alcuni aspetti, in particolare, appaiono fragili nel modello educativo della homeschooling:

  1. La coincidenza di ruolo tra genitore e istitutore/insegnante può essere fonte di criticità nello sviluppo psicofisico del bambino. Ogni genitore esercita, direttamente o indirettamente, consapevolmente o meno, funzioni anche “istruttive” nei confronti dei figli, e non solo educative. In questo modello però vengono assunte dai genitori anche quelle funzioni istruttive più formali che generalmente vengono svolte da professionisti della didattica (i docenti), come ad esempio gli apprendimenti di base e le conoscenze previste dai diversi livelli scolastici. Non è solo questione di competenza professionale (i genitori, sotto questo profilo, potrebbero essere professionalmente più attrezzati dei docenti), ma di gestione della relazione di insegnamento-apprendimento. Nella relazione genitore-figlio, infatti, inevitabilmente assumono una certa prevalenza gli aspetti emotivo-affettivi che, pur presenti nella relazione insegnante-bambino, vengono maggiormente diluiti in vista del raggiungimento di un obiettivo di apprendimento.
  2. L’asimmetria che caratterizza il rapporto educativo tra un adulto e un bambino/minore rischia di essere “annacquata” in un rapporto troppo sbilanciato in senso affettivo. Non è detto che ciò debba avvenire nell’istruzione parentale, ma il rischio c’è, anche perché tutte le attenzioni vengono rivolte ad un solo soggetto e non ad una classe. In altre parole, vi può essere un eccesso di “codice materno” a scapito di quello “paterno”, con tutte le disfunzioni nello sviluppo che sono state messe in luce dalla letteratura psicopedagogica[5].
  3. La classe rappresenta una sorta di microcosmo sociale all’interno del quale i bambini possono sperimentare e vivere in modo consapevole le regole della convivenza civile. L’altro contesto è sicuramente la famiglia, ma nella cultura italiana la famiglia rappresenta il centro degli interessi degli individui, anche a scapito della comunità che richiede invece cooperazione. Anche per queste ragioni socio-storiche, il privare il bambino della frequenza di questo microcosmo può portarlo a non acquisire adeguatamente le forme di convivialità e relazionalità sociale.
  4. Il processo di insegnamento-apprendimento, oggi più di ieri, tende ad aiutare gli alunni a sistematizzare le conoscenze. E’ vero che i ragazzi possono acquisire una mole di dati, informazioni e conoscenze a prescindere dalla scuola: basta accendere un computer o utilizzare un telefonino; ma quando e dove hanno la possibilità di dare un senso a questa massa di dati? In teoria, i ragazzi potrebbero avere più nozioni dei loro docenti, ma la scuola offre loro la possibilità di collocarle in un orizzonte di senso, di dare loro un significato, di costruire quadri interpretativi per meglio capire il reale, altrimenti le nozioni rimangono appiccicate alla memoria, senza connessioni tra loro, come una insalata mentale mal amalgamata, come succede nei quiz televisivi. La scuola aiuta questo processo di sistematizzazione non solo attraverso l’intervento dell’insegnante, ma anche mediante la condivisione della vita scolastica con i compagni che consente di mettere a confronto opinioni, pensieri, idee e comportamenti diversi[6].
  5. Uno degli aspetti più deboli della homeschooling è proprio la mancanza di questa agorà che consenta ai bambini di confrontare con altri bambini e altri adulti (non legati da un vincolo affettivo naturale!) idee, posizioni, sentimenti, conoscenze, comportamenti. In fondo la conoscenza è un processo di costruzione sociale[7], che nasce nell’interazione con gli altri, con la diversità delle situazioni e delle persone.

In conclusione, per tutte le ragioni esposte sopra, riteniamo che i bambini debbano frequentare una normale scuola, insieme ai loro coetanei e a contatto con una pluralità di figure adulte.
Ci sembra che la scelta dell’istruzione parentale o homeschooling risponda più alle esigenze degli adulti di “preservare” il bambino da un ambiente considerato poco attento alle sue esigenze individuali, emotive e intellettive. E forse soddisfa i bisogni narcisistici degli adulti di voler “forgiare” il piccolo secondo i propri desideri inconsci, ma in realtà, come recita il poeta Gibran, i figli “non vi appartengono benché viviate insieme”[8]. Noi pensiamo invece che si cresce e si apprende meglio nel rapporto e nell’incontro con gli altri. E poi, nella vita professionale e lavorativa, occorre fare i conti con una realtà contrassegnata da tante diverse individualità, idee, opinioni, stili. La scuola, sotto questo profilo, è una palestra ineliminabile.

[1] A. Knepper (2018), Progetto Homeschooling: come pianificare un anno di educazione parentale adatto alla vostra realtà famigliare, Park Day Publishing Libreria online; E. De Marchi (2017), I nostri figliuoli. Primo manuale di educazione parentale e homeschooling, Scrivere edizioni, Libreria universitaria online; E. Di Martino (2017), Homeschooling. L’educazione parentale in Italia, CreateSpace Independent Publishing Platform, Scotts Valley, California; https://www.controscuola.it/; https://www.homeschool.com/

[2] E. d’Albergo, G. Moini (2019), Politica e azione pubblica nell’epoca della depoliticizzazione, Università Sapienza, Roma

[3] M. Maviglia (2020), Sopravvivere a scuola. Manuale di istruzione, Edizioni Conoscenza, Roma

[4] https://www.controscuola.it/perche-homeschooling-prepara-per-futuro-scuola/

[5] L. Pati (a cura di) (2014), Pedagogia della famiglia, Editrice La Scuola, Brescia; F. Fenzio (2018), Manuale di consulenza Pedagogica in ambito Familiare, Giuridico e Scolastico, Youcanprint, Tricase-LE; D. Simeone (2011), La consulenza educativa, Vita e Pensiero, Milano; Bowlby J. (1976), Attaccamento e perdita, Boringhieri, Torino

[6] L. Czerwinsky Domenis (2000), La discussione intelligente. Una strategia didattica per la costruzione sociale della conoscenza, Erickson, Trento;  J. S. Bruner (2000), La cultura dell’educazione. Nuovi orizzonti per la scuola , Feltrinelli, Milano; P. Boscolo (2012), La fatica e il piacere di imparare, UTET, Torino

[7] P. L. Berger (1997), La realtà come costruzione sociale, Il Mulino, Bologna; L. S. Vygotskij, Pensiero e linguaggio, (orig. 1934, trad.it. 2007), Giunti Editore, Firenze

[8] G.K. Gibran (1981), Il Profeta, Guanda, Parma